“L’essenziale è invisibile agli occhi” scriveva Antoine de Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe.

Il suolo è un elemento fondamentale per l’esistenza della vita sulla Terra: fornisce il 95% del cibo che mangiamo e contiene più carbonio di tutte le piante e dell’atmosfera messe assieme. Perché allora ci facciamo così poca attenzione?

Ne parla a Materia Rinnovabile David R. Montgomery, professore di Scienze della Terra e dello Spazio all'Università di Washington a Seattle e autore di The Dirt Trilogy con Anne Biklé, serie di libri che ha aperto la strada per uno studio più approfondito delle relazioni tra suolo e società.

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David R. Montgomery

Non è facile riassumere gli aspetti chiave e le scoperte contenute nel suo lavoro ma quali sono le tre principali lezioni che ha imparato dal suolo?

“Penso che le lezioni che ho appreso dal suolo coincidano con le ricerche per i tre libri che ho scritto sul tema. La prima è che le civiltà che non si prendono cura del suolo non durano e che c’è una relazione stretta tra il modo in cui le popolazioni si prendono cura del territorio e il modo in cui questo si prenderà cura dei loro discendenti.

La storia di molte civiltà segue una linea narrativa comune. Crescendo ed espandendosi, la maggior parte di queste non è riuscita a tutelare la salute del suolo, iniziando a degradare sempre di più i territori agricoli. Ciò ha portato a un declino dei raccolti, alimentando la necessità di nuove terre. L’erosione del terreno si è tradotta in una capacità agricola inadeguata a sostenere le crescenti esigenze della popolazione, portando ad espansioni e migrazioni forzate e infine al declino queste civiltà. Questa è una lezione che ancora non è abbastanza conosciuta: in parte perché si svolge in un arco di tempo molto più lungo di quello a cui la maggior parte delle persone presta attenzione, superiore a una vita umana, in parte perché è invisibile a occhio nudo.

La seconda grande lezione che ho imparato scrivendo il libro The Hidden Half of Nature con Anne (Anne Biklé, autrice, biologa e moglie di Montgomery, nda), è che i danni che abbiamo inflitto al suolo possono essere invertiti in un arco di tempo più breve del previsto e che questo è realizzabile grazie ai microrganismi presenti al suo interno, che diventano catalizzatori di fertilità.

Il terzo grande insegnamento, venuto dal terzo libro Growing a Revolution, è che c’è una via d’uscita che ci permette di continuare a produrre cibo senza danneggiare il suolo: si chiama agricoltura rigenerativa.
Credo che ciò di cui abbiamo bisogno sia un cambiamento profondo rispetto al nostro modo di relazionarci al suolo iniziando a vederlo per quello che è: fondamento dell’agricoltura e perciò base della nostra civiltà. Dobbiamo abbracciare l’idea che la ricostruzione dell’ecologia del suolo e la sua salute siano fondamentali per il futuro dell’agricoltura e della vita umana sulla Terra.

L’intera vita biologica al di fuori degli oceani dipende dai nutrienti che il terreno produce e conserva. Questi circolano attraverso l’ecosistema, passando dal suolo alle piante e agli animali, per poi tornare sempre nel suolo.”

Progetto senza titolo

The Dirt Trilogy

Più della metà di tutta la biodiversità terrestre è nel suolo, il cibo che mangiamo e la salute dell'essere umano sono – come lei ha sottolineato – indissolubilmente legati alla salute del suolo. Perché pensa che la “metà nascosta della natura” non venga quasi mai citata a fronte del suo ruolo così centrale per l’esistenza della vita umana?

“Penso che sia per il fatto che la vita microbica è invisibile e non possiamo percepirla con i nostri sensi: ci vogliono strumenti tecnologici specifici per vedere un batterio. Inoltre le relazioni biologiche all'interno del suolo, per esempio tra i funghi e le piante, sono molto complesse e di recente scoperta. Ci è voluto lo sviluppo di nuove tecnologie, come quelle relative al sequenziamento genico, per iniziare a studiare le interazioni tra queste minuscole forme di vita invisibili ad occhio nudo.

Immaginate di provare a studiare l’ecologia di diversi tipi di batteri in una comunità intorno alle radici di una pianta. È sotto terra quindi non la si può vedere, per studiarla bisogna scavare e disturbarla. Non solo: si tratta di organismi monocellulari che osservati al microscopio sono per lo più uguali. Le nuove tecnologie emerse negli ultimi due decenni hanno dato ai ricercatori la possibilità di porre nuove domande. Quando si tratta di studiare il mondo microbico, la difficoltà arriva dalla necessità di osservare non solo i comportamenti dei singoli organisimi ma comprendere le interazioni ecologiche tra le comunità di microbi. Pensiamo al modo in cui le persone interagiscono con i gruppi: se si studia una persona singola non si può comprendere il funzionamento del gruppo.

Una seconda parte della risposta è che il suolo è sotto i nostri piedi e fuori dalla nostra vista. Tendiamo a darlo per scontato perché è ovunque e cambia abbastanza lentamente. Studiamo di più come ottenere il massimo da un determinato terreno quest’anno e meno come curarne la salute nel corso del secolo.

Come sono cambiate la percezione e la comprensione del suolo negli ultimi anni?

“Nel 2007 quando è uscito Dirt: The Erosion of Civilizations (primo libro della trilogia scritto da Montgomery, nda) non c’erano dibattiti a livello di policy sul tema della salute del suolo. Esistevano scienziati che ne parlavano ma c’era poca consapevolezza tra gli agricoltori e gli agronomi sul ruolo della salute del terreno nella produzione agricola. La situazione oggi è molto cambiata. Vedo sempre più persone interessate a saperne di più sul ruolo della biologia del suolo. Non solo agricoltori ma anche nutrizionisti (il suolo degradato è, infatti, la causa principale dell’impoverimento dei minerali negli alimenti) e ambientalisti che guardano al suolo come a un luogo dove immagazzinare enormi quantità di carbonio. C’è molto interesse da parte di diverse aree della società civile ma non vedo ancora molto sostegno a livello politico. Se sottoscriviamo la teoria della storia secondo la quale è necessario che la società civile mostri interesse riguardo a un tema affinché i politici prestino attenzione e comincino a sostenerlo, potrebbe essere un buon segno.”

Per quanto riguarda la crisi climatica, il suolo potrebbe essere un grande alleato in quanto immagazzina enormi percentuali di carbonio. Qual è il potenziale del ripristino dei suoli degradati nella lotta contro il cambiamento climatico, e come potremmo supportarlo effettivamente?

Il suolo contiene più carbonio di quello immagazzinato nelle piante e nell’atmosfera messe insieme, e può contenerne di più a seconda della vita al suo interno. In terreni devastati dall’uso eccessivo di fertilizzanti sintetici, il suolo passa dall’assorbire carbonio a rilasciarlo. Il carbonio esiste in molte forme, prevalentemente come biomassa vegetale e materia organica quindi i due modi principali per catturare e immagazzinare il carbonio sono piantare alberi e stimolare la creazione di materia organica nel terreno.
Si tratta di un serbatoio di CO2 enorme e di grande potenziale: se potessimo aumentare il contenuto di materia organica nel suolo del pianeta di un paio di punti percentuali, compenseremo notevolmente le emissioni mondiali provenienti dai combustibili fossili. È difficile farlo però, perché bisogna adottare pratiche che ricostruiscano costantemente la materia organica del suolo e mantenere tali pratiche nel tempo. Un buon modo per farlo è diminuire drasticamente le pratiche di aratura, piantare specie erbacee di copertura e far crescere una diversità di colture. Ciò che queste pratiche, alla base dell’agricoltura rigenerativa, ottengono è aumentare la popolazione microbica, e quindi la biodiversità nel suolo, stimolando la creazione di materia organica. Tuttavia, se qualcuno arriva dopo mezzo secolo e ricomincia ad arare tutto, piantando monocolture, i benefici si annullano completamente. Il suolo è un serbatoio importante ed efficiente per l’immagazzinamento del carbonio, ma è anche molto fragile.”

Nel terzo libro della Trilogia, Growing a Revolution, lei mostra come sia possibile rigenerare grandi aree agricole in un periodo di tempo breve, riducendo l'utilizzo di combustibili fossili e pesticidi, con un maggiore profitto nel medio e nel lungo termine per gli agricoltori. Quali sono allora i principali ostacoli da superare per rendere l’agricoltura rigenerativa una pratica convenzionale?

“Dici bene, esiste già una soluzione al problema del suolo degradato continuando a produrre, il problema è che la chiamiamo agricoltura ‘alternativa’. Penso che le tre questioni principali da affrontare per far sì che le pratiche rigenerative ‘alternative’ diventino convenzionali siano l’informazione, la politica e i sussidi.
Una delle maggiori rivelazioni che ho avuto durante tutta la ricerca per la stesura della trilogia è quanto l’idea moderna che l’uso intensivo di prodotti chimici sia necessario per nutrire il mondo si basi su una condizione di partenza di un suolo degradato. Infatti, con terreni sani non si ottengono grandi benefici in termini di resa aggiungendo grandi quantità di fertilizzante.
Il confronto con gli agricoltori riguardo l’agricoltura rigenerativa è già iniziato, ma serve un periodo di transizione e ci sono dei costi a esso associati. In primo luogo, c’è bisogno di attrezzature diverse per piantare efficacemente le sementi e questo è un costo reale di capitale non trascurabile. In secondo luogo, se si prende un terreno che è stato coltivato intensivamente con l'utilizzo massiccio di sostanze agrochimiche per 100 anni e dove le piante sono quindi impregnate di azoto e fosforo, e all’improvviso si smette di applicare il fertilizzante, si avranno enormi problemi: dai bassi rendimenti dei raccolti alle coltivazioni poco sane e per nulla resilienti. Questa transizione può richiedere alcuni anni per arrivare al punto in cui il calo della resa che otterremo sarà compensato dalle minori spese per il fertilizzante e il carburante. Sono rimasto però colpito da quanto breve possa essere breve questa transizione nella realtà. Mi piacerebbe vedere che i governi iniziassero a sovvenzionare la transizione verso pratiche rigenerative e contribuissero a mitigare il rischio di effettuare tale transizione. Perché altrimenti la maggior parte degli agricoltori esiterà a provare qualcosa di completamente nuovo.

Su questa transizione esistono poi alcuni ostacoli per quanto riguarda l'informazione e l'educazione a tali pratiche. Molti professori di agronomia e molti agricoltori sono stati formati partendo dalle basi dell’agricoltura convenzionale moderna: aratura estesa e continuata del terreno, alto impiego di prodotti agrochimici e uso intensivo di pesticidi. Modificare il modo in cui le persone pensano può essere molto difficile. Vedo molto interesse tra i giovani agricoltori per le pratiche rigenerative perché non sono stati ancora ‘educati’ in maniera convenzionale, ma anche in una fetta di agricoltori esperti, ormai consapevoli del fatto che l’attuale sistema agricolo non può funzionare ancora a lungo. Abbiamo tutti bisogno che gli agricoltori rimangano in attività perché ci danno di che vivere, ma dobbiamo chiederci che tipo di aziende agricole vorremmo avere in futuro e qual è il percorso per arrivarci.”

È anche una questione culturale. Una questione che comprende uno spostamento dell’attenzione dai comportamenti individuali ai doveri condivisi verso obiettivi comuni. Cosa possono insegnarci alberi, batteri e funghi riguardo la convivenza attiva e la vita in simbiosi?

Nel suolo possiamo trovare molte lezioni sull'importanza della diversità nel costruire sistemi sostenibili e duraturi. Pensate ai rapporti simbiotici che contribuiscono alla salute delle piante, vale lo stesso per le nostre socieà: la capacità umana di progredire come specie è aumentata considerevolmente quando abbiamo iniziato a lavorare insieme e a specializzarci in cose diverse. Penso che questa sia una lezione molto importante, ma sempre poco celebrata, su come funziona la natura. Abbiamo avuto la tendenza a pensare agli ecosistemi terrestri come a un’incessante competizione tra elementi che cercano la supremazia, ma la natura è anche – e spesso – simbiosi perfetta.

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Un esempio di simbiosi mutualistica nel suolo: la micorriza. In questo caso gli organismi portano avanti il loro ciclo vitale a stretto contatto l'uno con l'altro traendo benefici reciproci, sia di natura nutrizionale sia di altro tipo

La cosa che Anne ed io abbiamo sottolineato in The Hidden Half of Nature è che le relazioni simbiotiche, in particolare a livello microbico, sono estremamente efficaci.
Un’altra grande lezione che possiamo imparare dal suolo è riciclare e reimmettere come risorse gli scarti dei nostri processi produttivi. L’economia della natura è un'economia perfettamente circolare, dove gli scarti prodotti da un organismo diventano l’input per un altro. Non ci sono rifiuti: tutto è così brutalmente e meravigliosamente efficiente, tutto diventa qualcos’altro.

Il rapporto Onu del 2015 sullo stato globale del suolo sostiene che ogni anno perdiamo lo 0,3% della nostra capacità di produzione agricola a causa del consumo del terreno. Sembra un numero piccolo, ma non lo è se lo si guarda in un periodo più esteso: in 100 anni quello 0,3 diventa il 30%. Per me questa è, e dovrà essere sempre di più, una grande questione politica globale alla pari con le questioni climatiche e di accesso all’acqua. Purtroppo non riceve ancora altrettanta attenzione.”

Cosa pensa dei sostenitori del cibo farm-free che supportano la crescita della produzione alimentare in laboratorio? Che posto occupa la tecnologia nel ripristino del suolo e nel futuro del sistema alimentare?

“Stiamo ancora studiando e imparando cosa effettivamente rende il cibo più nutriente per gli esseri umani. Ci sono composti chimici che le piante producono in risposta agli stimoli che ricevono dalla coltivazione nel terreno e dall'interazione con le comunità di microbi. Sostanze come vitamine, minerali e composti fitochimici che hanno un effetto benefico per la salute umana. Non sappiamo quasi nulla di quali problemi la nuova tecnologia creerà, che saranno imprevedibili e spesso involontari. Quando l’agricoltura convenzionale moderna è stata lanciata a metà del 20° secolo, con la sua enfasi sui pesticidi e fertilizzanti chimici, era la scienza più avanzata sul tema e aveva l’obiettivo primario di sfamare un numero crescente di persone e aumentare i rendimenti dei raccolti. È riuscita in questo secondo obiettivo, ma allo stesso tempo ha tagliato i valori nutrizionali del cibo. Invece di sostenere che tutta l’agricoltura dovrebbe essere eliminata perché il modo in cui stiamo coltivando ora è sbagliato perché non cambiamo il modo in cui coltiviamo? Qui la tecnologia può, e deve, venirci in aiuto.

Le argomentazioni contro la carne delle diete a base di vegetali (plant-based diets) si basano sul presupposto che ogni modo in cui alleviamo i nostri animali è sbagliato. Il problema è che se si guarda al potenziale di diverse parti del mondo di produrre cibo, un bovino fa qualcosa di molto utile: trasforma la cellulosa in cibo commestibile. Nelle zone delle grandi praterie (native grasslands) ha molto senso pascolare il bestiame e poi mangiarlo o nutrirsi di quello che produce. Ora, se l’argomento del vegetarianesimo e del veganesimo si basa sul non voler uccidere un essere senziente, è una decisione etica e morale e la rispetto profondamente. Ma se vi chiedete che tipo di cibo ha senso coltivare, ci sono luoghi nel mondo in cui ha senso che il pascolo sia la forma di agricoltura dominante perché l’acqua è scarsa. La questione che viene spesso tralasciata riguarda come viene coltivato il cibo. La risposta se sia d’aiuto per il clima o per l’alimentazione dipende tanto da come quell’animale o quella pianta sono stati allevati quanto da ciò che effettivamente sono.
Dobbiamo rimodellare la natura della nostra economia agricola. Questo danneggerà alcune aziende esistenti molto potenti, ma creerà anche l’opportunità di farne crescere di nuove ed è questo ricambio che guiderà l’economia del futuro.”

Per approfondire: scarica e leggi il numero #31 di Materia Rinnovabile dedicato al suolo