Un euro investito nel 2010 genera un valore aggiunto di 10 euro nel 2025. Nello stesso arco di tempo 35.000 euro investiti in ricerca e innovazione creano un posto di lavoro a tempo pieno. È questo l’impressionante potenziale di crescita offerto dalla bioeconomia all’Unione europea, secondo stime della Commissione rese pubbliche nel 2012 quando fu lanciata la strategia “Innovare per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa”. 

Messa così, la ricetta per la crescita economica dei prossimi decenni sembra banale: investire nella bioeconomia. Ma, per un’Unione europea ancora alle prese con la più pesante crisi economico-finanziaria della sua storia e con una politica di austerità che lascia pochi margini di manovra, il tema principale è trovare i denari da investire. Possibilmente all’interno di una strategia definita che eviti inutili sprechi e che sia effettivamente ecosostenibile.

Dunque la domanda semplicissima è: ci sono i soldi? La risposta non lo è altrettanto, perché per capire come finanziare la bioeconomia bisogna districarsi tra una serie numerosa di programmi, fondi e partnership pubblico-private.

Andiamo con ordine, quindi. Innanzitutto c’è il programma Horizon 2020 della Commissione europea che mette sul tavolo oltre 70 miliardi di euro per attività di ricerca e innovazione nel periodo 2014-2020. Altri 80-100 miliardi di euro saranno investiti in infrastrutture, logistica e nei cosiddetti motori dell’innovazione attraverso il Fondo di sviluppo regionale europeo. Ancora 70 miliardi dal Fondo sociale europeo per investimenti in innovazione e integrazione sociale, servizi all’impiego, educazione permanente e formazione all’imprenditorialità. Più di 100 miliardi di euro per lo sviluppo rurale dal Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale, e per investimenti marittimi e nella pesca dal Fondo marittimo e per la pesca europeo. Infine, 66 miliardi per progetti ambientali e di creazione di reti di trasporto trans-europee. Totale: circa 400 miliardi di euro.

Ai fondi strutturali si affianca la partnership pubblico-privato “Bio-Based Industries Joint Undertaking” che – nel periodo 2014-2020 – prevede investimenti nel settore dei prodotti biobased pari a 3,7 miliardi di euro. Di questi 975 milioni saranno resi disponibili dalla Ue, prendendoli dai fondi di Horizon 2020, mentre Bic (il Bio-based Industries Consortium di cui fanno parte le imprese) contribuirà con 2.730 milioni di euro. 

Complessivamente i progetti finanziati dalla partnership in questa prima fase sono dieci: sette di ricerca, due demo e un flagship. Quest’ultimo rappresentato da First2Run coordinato da Novamont, unica impresa fino a ora a essersi aggiudicata il contributo. Al progetto coordinato dall’impresa italiana Bic ha assegnato lo scorso giugno, in collaborazione con quattro imprese e una università, un finanziamento di 17 milioni di euro a fondo perduto. 

Il progetto è finalizzato a dimostrare la sostenibilità tecnica, economica e ambientale di una bioraffineria integrata altamente innovativa, in cui colture oleaginose a basso input (per esempio il cardo), coltivate in zone aride e/o marginali, vengono impiegate per l’estrazione di oli vegetali da convertire attraverso processi chimici in bio-monomeri (principalmente acidi pelargonico e azelaico) ed esteri per la formulazione di bioprodotti quali biolubrificanti, cosmetici, plastificanti e bioplastiche. I co-prodotti della filiera saranno valorizzati per la produzione di mangimi animali, altri prodotti chimici a valore aggiunto ed energia da scarti al fine di aumentare la sostenibilità della catena del valore. 

 

 

Standardizzazione, attività di certificazione e divulgazione saranno parti integranti del progetto, così come lo studio dell’impatto sociale dei prodotti provenienti da fonti rinnovabili. Il progetto supporta sviluppi connessi a impianti primi al mondo già costruiti e che hanno visto, a oggi, un investimento dei partner privati di oltre 300 milioni di euro.

Nelle intenzioni dei promotori, il Bio-Based Industries Joint Undertaking creerà occupazione, specie nelle zone rurali, offrendo ai cittadini europei prodotti nuovi, sostenibili e realizzati localmente. Le industrie biobased aumenteranno la competitività dei paesi dell’Unione attraverso la reindustrializzazione e la crescita sostenibile, con la nascita di nuove catene di valore ottenute attraverso l’interconessione di settori diversi. 

 

Crescita e sostenibilità al centro del Piano Juncker

E crescita economica, sostenibilità ambientale, nuova occupazione sono proprio gli obiettivi dichiarati dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker all’atto del suo insediamento. Per realizzare questi obiettivi ambiziosi, la Commissione ha presentato, il 26 novembre 2014 a Strasburgo, il cosiddetto Piano Juncker articolato su tre direttrici: 1. la nascita di un Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis); 2. la creazione di una riserva di progetti credibile e di un programma di assistenza per veicolare i progetti di investimento lì dove sono più necessari; 3. la definizione di un programma per rendere l’Europa più attraente per gli investitori e per rimuovere le strettoie regolamentari.

Il Feis avrà un dotazione di 21 miliardi di euro: 16 garantiti dal bilancio Ue e 5 dalla Banca europea per gli investimenti (Bei). In base a stime prudenti basate sull’esperienza storica, si prevede che il Fondo sbloccherà investimenti con un effetto leva pari a 15 volte la dotazione iniziale: ovvero almeno 315 miliardi di euro nel triennio 2015-2017. L’idea di base è che l’impulso iniziale fornito dal Fondo riuscirà a mobilizzare la liquidità presente nel sistema finanziario e attualmente non utilizzata per investimenti a causa della mancanza di fiducia. 

Oltre alle risorse generate dal Feis, altri 20-35 miliardi di euro di investimenti potrebbero essere immessi nell’economia reale mediante la massimizzazione della leva dei Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020. 

Lo scorso giugno la Commissione Ue ha firmato l’intesa con la Banca europea per gli investimenti per la costituzione e la governance del Fondo, confermando nelle linee guida per i contributi nazionali, tramite le banche di promozione nazionale, le piattaforme per gli investimenti e i cofinanziamenti, che questi se in forma una tantum verranno esclusi dal computo del deficit. Finora sono nove i paesi che hanno deciso di contribuire: Italia, Francia, Germania, Polonia, Gran Bretagna, Spagna, Lussemburgo, Bulgaria e Slovacchia. Confermato anche che i finanziamenti tramite il Feis non verranno considerati aiuti di stato, mentre gli interventi degli stati membri di cofinanziamento dovranno essere comunque valutati, pur avendo una corsia preferenziale con un tempo di esame non superiore alle sei settimane. All’Europarlamento è affidato un ruolo di monitoraggio e supervisione, insieme alla Corte dei conti Ue. 

Ma come impatterà tutto questo sulla bioeconomia? Secondo John Bell, direttore della Direzione Bioeconomia della Commissione europea, “il Fondo Feis è disponibile anche per gli investimenti nella bioeconomia e prevede quindi notevoli opportunità in aggiunta ai finanziamenti disponibili tramite Horizon 2020”. Lo stesso Bell assicura che “come parte del piano di investimenti sarà attuata anche una tabella di marcia ambiziosa per rendere l’Europa più attraente per gli investimenti ed eliminare le strozzature normative”. 

La sfida di Bruxelles è mantenere una legislazione semplice, non andando al di là di quanto strettamente necessario per raggiungere gli obiettivi politici e per evitare sovrapposizione di livelli di regolazione. 

Per vincere questa sfida è stato messo in campo il programma Refit (Regulatory Fitness and Performance Programme) che si impegna a definire un quadro normativo semplice, chiaro e prevedibile per i lavoratori, le imprese e i cittadini. Come a più riprese richiesto dai rappresentanti dell’industria europea. Sotto Refit, la Commissione presenterà l’intero corpus legislativo Ue su base continuativa e sistematica per individuare gli oneri, le incoerenze e le misure inefficaci e le azioni correttive individuate. Alcuni dei settori di interesse della bioeconomia per i quali sono già stati avviati i controlli di Refit sono i rifiuti e l’alimentazione.

 

Occorre un quadro regolatorio più semplice e coerente 

Insomma, la strategia europea prevede da una parte finanziamenti per la bioeconomia, dall’altra la creazione di un quadro regolatorio semplice, stabile e coerente per attrarre quegli investimenti che, secondo gli addetti ai lavori, nell’ultimo periodo si sono spostati verso Stati Uniti, India e Cina. 

E in questo quadro si colloca il Bioeconomy Investment Summit convocato dalla Commissione europea a Bruxelles il 9 e 10 novembre.

“Sarà l’occasione – afferma Bell – per definire un programma di alto livello per ulteriori investimenti nella bioeconomia. Lo scopo della manifestazione è creare lo slancio politico e di consenso in seno alla Commissione e, ove possibile, negli stati membri, per implementare una normativa che incoraggi gli investimenti in innovazione nella bioeconomia.” Ciò a sua volta dovrebbe contribuire a realizzare al meglio il potenziale della bioeconomia creando occupazione e crescita economica anche nelle aree rurali e costiere.

 

 

Programma Horizon 2020 della Commissione europea, www.horizon2020news.it

Partnership pubblico-privato “Bio-Based Industries Joint Undertaking”, www.bbi-europe.eu

Video “The Juncker Plan for Investment in Europe: What is the EFSI?”, tinyurl.com/njnkmas

Il Bioeconomy Investment Summit si terrà a Bruxelles il 9 e 10 novembre, tinyurl.com/q9tgpvp

 


 

Intervista a Josko Bobanovic, Sofinnova Partners

 

L’innovazione che apre le porte alla ripresa

 

“Se la bioeconomia non verrà riconosciuta come il motore trainante dell’economia dell’Ue rischiamo di prendere decisioni che potrebbero impedirne la crescita. A livello della nostra micro-scala ciò probabilmente si concretizzerà in una situazione in cui continueremo a sviluppare nuove startup basate su tecnologie partorite nella Ue, ma a portarle su scala industriale altrove. Il che, non serve dirlo, rappresenterebbe un’importante perdita per l’economia della Ue a lungo termine.” 

Lo afferma – in questa intervista per Materia Rinnovabile – Josko Bobanovic, partner del Sofinnova Green Seed Fund dedicato a diffondere attività legate alla chimica rinnovabile e alla bioenergia. Sofinnova Partners è una società di investimento in capitale di rischio con sede a Parigi.

Con Bobanovic parliamo degli investimenti nella bioeconomia, del ruolo del capitale di rischio nel sostegno alla crescita di nuove compagnie e delle politiche europee per lo sviluppo del settore.

 

Perché oggi può essere vantaggioso investire in aziende nel settore della bioeconomia?

Alla Sofinnova guardiamo agli investimenti esclusivamente attraverso la lente della redditività con una chiara comprensione del fatto che tutte le nuove tecnologie seguono un certo percorso verso la redditività. Oggi le aziende del settore della bioeconomia si trovano davanti un’opportunità senza precedenti sul fronte del business grazie all’innovazione che stanno portando sul mercato. I clienti sono in cerca di nuove performance, materiali e soluzioni migliori, in gran parte già disponibili grazie alle recenti soluzioni della bioeconomia, specialmente attraverso avanzamenti nella biotecnologia ma anche mediante la capacità di produrre utilizzando materie prime differenti, spesso più economiche e con un prezzo più stabile. Allo stesso modo i processi petrolchimici sono stati ottimizzati al massimo e ne è stato già spremuto ogni singolo centesimo di guadagno. La bioeconomia improvvisamente apre le porte a nuovi processi con maggiori guadagni o redditività su piccola scala, rendendoli quindi estremamente attrattivi. Uno dei chiari esempi nel nostro portfolio di investimenti è BioAmber (Bioa, per la Borsa di New York), azienda produttrice leader di acido succinico a base biologica, che utilizzando la sua tecnologia di fermentazione ha reso accessibili una serie di nuove applicazioni dell’acido succinico grazie alla sua economicità.

 

Quali sono i più importanti investimenti operati da Sofinnova in aziende appartenenti al settore della bioeconomia negli ultimi 2 o 3 anni?

È una domanda alla quale è sempre difficile rispondere – come chiedere a dei genitori quale dei loro figli preferiscono – ma lasciatemi fare un esempio che, dal nostro punto di vista, ha il potenziale per cambiare profondamente l’aspetto di tutta la bioeconomia.

Comet Biorefining è una società canadese che produce glucosio di alta qualità dalla biomassa lignocellulosica (legno, scarti agricoli ecc.): dopo aver provato il processo su una scala di 10 tonnellate al giorno, si sta attualmente preparando a costruire il suo primo impianto a livello commerciale. Lo zucchero, principalmente glucosio, rappresenta la materia prima chiave per molti processi basati sulla fermentazione. Oggi questi zuccheri sono ricavati da fonti alimentari come il mais o la canna da zucchero. In generale si prevede che la fase iniziale dello sviluppo bioeconomico si baserà su zuccheri commestibili, ma la sua crescita arriverà con l’accesso a zuccheri a base lignocellulosica sia per far fronte al dibattito “cibo contro carburante” sia, soprattutto, per eliminare l’alta volatilità dei prezzi dei prodotti. La Comet offre una soluzione basata su un equipaggiamento standard che è economicamente sostenibile a livello di impianti modesti (40.000 tonnellate all’anno), quindi con minori CapEx (capitali spesi per l’acquisto di macchinari), producendo zuccheri di alta qualità a meno di 250 dollari a tonnellata. Questa tecnologia, una volta provata su scala commerciale, permetterà all’intera industria della fermentazione a valle di abbandonare gli zuccheri a base alimentare. 

 

 

Quali sono i parametri che considerate prioritari quando decidete di investire in una società?

Gli investitori di capitali di rischio scommettono sulle persone. Cerchiamo veri imprenditori disposti a muovere le montagne per creare la società che sognano. Spesso diciamo che un team mediocre può distruggere una grande tecnologia, ma un grande team può trasformare una mediocre tecnologia in un successo. La loro ambizione è sempre costruita su tecnologie altamente differenziate e ben protette che possono essere applicate su scala industriale con un ragionevole investimento di capitali e indirizzate a mercati ampi.

 

In che modo l’ambiente politico influenza le vostre scelte?

L’ambiente politico non guida le nostre scelte: basiamo sempre le nostre decisioni su un’economia che esclude qualsiasi intervento governativo diretto, come i sussidi. Un chiaro esempio del pericolo è rappresentato dall’industria dell’energia solare negli ultimi anni. Detto questo alcuni elementi dell’ambiente politico aiutano le nostre società a raggiungere la scala commerciale più rapidamente. Questi possono includere garanzie, prestiti o garanzie sui prestiti, incentivi fiscali, decisioni legislative o mandati. In alcune parti del mondo c’è un’evidente competizione tra differenti livelli di governo (nazionale, regionale o cittadino) per promuovere condizioni favorevoli per la realizzazione della bioeconomia. Ciò viene valutato molto seriamente dalle società nel nostro portfolio quando devono scegliere dove industrializzare le loro tecnologie.

 

Dal suo punto di vista di investitore, come considera le politiche di austerità perseguite dall’Unione europea? Potrebbero avere effetti negativi sullo sviluppo della bioeconomia?

Siamo globalmente interessati alle economie in espansione, anche se il giudizio su come viene realizzata la crescita e che tipo di politiche macroeconomiche la agevolano va al di là delle nostre competenze. 

Allo stesso modo riconosciamo che l’unione monetaria è un nuovo esperimento e stiamo collettivamente imparando a farci i conti. Nel breve periodo desideriamo che si riconosca che diversi settori dell’economia – specialmente la bioeconomia – sul lungo termine non hanno lo stesso potenziale. Di conseguenza, se la bioeconomia non verrà riconosciuta come il motore trainante dell’economia della Ue, rischiamo di prendere decisioni che potrebbero impedirne la crescita. A livello della nostra micro scala ciò probabilmente si concretizzerebbe in una situazione in cui continueremo a sviluppare nuove start-up basate su tecnologie partorite nella Ue, ma a portarle su scala industriale altrove. Il che, non serve dirlo, rappresenterebbe un’importante perdita per l’economia della Ue a lungo termine.

 

 

La Commissione europea organizzerà per i prossimi 9-10 novembre a Bruxelles il Bioeconomy Investment Summit. Potrebbe elencarci tre punti che vorrebbe sottoporre all’attenzione del summit per promuovere lo sviluppo degli investimenti nella bioeconomia?

Premetto che l’Ue si trova in una posizione privilegiata: ha la più grande base di popolazione in un mercato comune con una chiarissima affinità per l’economia biobased e un potenziale agricolo, forestale e industriale altrettanto attrattivo. Attraverso vari programmi la Commissione ha storicamente fatto un discreto lavoro nel supportare la ricerca innovativa e la sua pre-commercializzazione.

Per quanto riguarda i punti da evidenziare, per prima cosa riteniamo carente la capacità di accelerare la crescita a scala industriale delle varie tecnologie mediante un supporto finanziario non diluitivo che, insieme al nostro forte impegno, aiuterebbe le società a colmare questo gap di finanziamento. L’Ue ha un bilancio ampio e dovrebbe usarlo per diversificare strategicamente il rischio connesso a portare a scala industriale tecnologie che rappresentano il futuro del continente. Secondo: uno dei meccanismi chiave per promuovere la crescita della bioeconomia passa attraverso l’investimento in fondi di capitale di rischio che si specializzano sul campo e idealmente ne vedremo emergere molti altri in Europa nei prossimi anni. Terzo: è necessario un meccanismo di incentivazione per grandi società che sono disposte a rischiare nell’espansione della bioeconomia e a fare squadra con start-up che portano nuove tecnologie sul mercato. Al meeting di Bruxelles la Sofinnova sarà rappresentata dal nostro presidente Denis Lucquin che parteciperà alla discussione su come i meccanismi della Ue possono promuovere ulteriori investimenti nella bioeconomia.

 


 

Intervista a Dirk Carrez, Executive Director Bio-based Industries Consortium

 

L’accesso alla finanza è un problema critico

 

“L’accesso alla finanza è un problema critico. In passato non esistevano molti fondi dedicati. Oggi si può avere accesso a una varietà di fondi differenti, inclusi quelli della European Investment Bank (Eib), Horizon 2020, Bbi Ju, European Structural and Investment Funds, banche private, senza dimenticare il Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) o il cosiddetto Juncker Investment Plan. L’accesso e l’efficacia restano un problema. Si stanno cercando sinergie tra diversi fondi dell’Ue, ma la verità è che il panorama del finanziamento è troppo frammentato con diverse procedure tra istituzioni, regioni e organizzazioni che rendono l’intero processo molto lungo e complesso”. È quello che Dirk Carrez, Executive Director del Bio-based Industries Consortium, dice nella sua intervista per Materia Rinnovabile.

Con Carrez parliamo della Bio-based industries Joint Undertaking e dei piani dell’Ue per finanziare la bioeconomia.

 

Cos’è esattamente la Bio-based Industries Joint Undertaking? E perché è importante sostenere la bioeconomia europea?

La Bio-based Industries Joint Undertaking (Bbi Ju) è l’entità legale fondata nel 2014 per amministrare e gestire la partnership pubblica-privata da 3,7 miliardi di euro sulle industrie biobased. La Commissione europea e il gruppo industriale multisettore, il Bio-based Industry Consortium, hanno unito le forze per mettere in sicurezza un settore emergente e sviluppare la bioeconomia attraverso bandi annuali per nuove proposte, perseguendo progetti di ricerca e innovazione e includendo progetti sperimentali e impianti di produzione “pilota”. Si tratta di uno strumento relativamente nuovo a livello europeo. Fino a poco tempo fa gran parte della ricerca e sviluppo finanziata dall’Europa veniva dislocata in altre parti del mondo. Gli European Framework Programmes, e specialmente il nuovo programma Horizon 2020, hanno in qualche modo cercato di contrastare questa tendenza concentrandosi sull’innovazione. La Ju come pure la Bbi stanno – quindi – andando oltre nella catena dell’innovazione. La Bbi non si fermerà alla fase di ricerca o a una fase pilota, ma porterà avanti progetti dimostrativi, creando impianti di produzione su piccola scala che potranno poi essere utilizzati per esplorare elementi come proof-of-concept, sostenibilità e competitività. Verranno integrati persino i cosiddetti flagship projects che godranno di finanziamenti specifici per gli impianti di produzione pilota in Europa. Naturalmente questi finanziamenti saranno disponibili per gli aspetti innovativi di questi impianti e non per l’intera infrastruttura. Mentre questo approccio già esiste in molte altre parti del mondo, in Europa è completamente nuovo. La Bbi sta usando la biomassa e i rifiuti europei per generare prodotti di alto valore e immetterli sul mercato. Al centro di questo processo ci sono avanzate bioraffinerie e tecnologie innovative che convertono le risorse rinnovabili in sostanze chimiche a base biologica, materiali e combustibili, permettendo alla Ue di ridurre la sua dipendenza dalle limitate risorse fossili. È importante sostenere una simile iniziativa a livello europeo, perché elimina i rischi da un settore emergente e crea le condizioni strutturali per usare a proprio vantaggio le risorse rinnovabili, le tecnologie e il know-how industriale presenti. 

 

In questo contesto, qual è il ruolo del Bio-based Industries Consortium?

Il Bio-based Industries Consortium (Bic) è il partner privato nella partnership pubblica-privata sulle industrie biobased. Il Bic supporta la Bbi Ju con un contributo di 2,7 miliardi di euro. Di questi 975 milioni sono usati per sostenere attività di ricerca e innovazione, mentre 1,7 miliardi vengono elargiti sotto forma di attività aggiuntive, come gli investimenti in infrastrutture. Bic è composto da un peculiare mix di settori: agricoltura, agroalimentare, biotecnologie/fornitori di tecnologie, silvicoltura/industrie cartiere, chimica, energia e utilizzatori finali. Fondato nel 2012 per rappresentare collettivamente il settore privato nella Bbi, oggi Bic conta quasi 80 membri industriali puri (grandi imprese, piccole e medie imprese e gruppi di piccole e medie imprese) e circa 150 membri associati (organizzazioni di ricerca e tecnologia, università, associazioni, piattaforme tecnologiche). Un ruolo fondamentale di Bic è dirigere lo sviluppo dei Work Programmes annuali della Bbi Ju, in partnership con la Commissione europea. Inoltre Bic è coinvolto in attività di supporto finalizzate alla creazione di un ambiente politico e finanziario favorevole alle industrie biobased. L’introduzione nel pensiero mainstream del concetto di bioeconomia è essenziale per gli investimenti e per l’accettazione da parte della cittadinanza. Per questo Bic cerca costantemente nuove opportunità di partnership per promuovere i benefici della bioeconomia tra gli stati membri, le regioni, i settori, gli investitori e i consumatori della Ue.

 

A quali progetti sono andati i primi finanziamenti? E quali sono i vostri piani per il futuro?

Nel giugno 2015 – come risultato del primo bando indetto nel luglio 2014 – Bbi Ju ha approvato il finanziamento di 10 progetti per un totale di 120 milioni di euro. Sette saranno progetti di ricerca che affronteranno le sfide specifiche della catena di valore, come sostenibilità, tecnologia e competitività. Due progetti dimostrativi proveranno la fattibilità tecnologica ed economica dei sistemi e dei processi delle bioraffinerie per produrre sostanze chimiche dal legno e ottenere – dalla polpa di barbabietola da zucchero – prodotti ad alto valore per detergenti, cura personale, pitture, rivestimenti e materiali composti. Infine, il progetto principale su scala industriale farà uso di cardi, piante da olio sottoutilizzate coltivate su terreni aridi e marginali, per ricavare oli vegetali da convertire in prodotti a base biologica (bio-lubrificanti, cosmetici, bio-plastiche). Anche i sotto- e i co-prodotti del processo saranno valorizzati per produrre energia, mangimi zootecnici e sostanze chimiche a valore aggiunto. 

La prima tornata di progetti delle Bbi ha avuto un effetto propulsivo: per 50 milioni di euro di denaro pubblico dalla Ue, sono stati 70 i milioni di euro da investimenti privati. E questo è solo l’inizio. Nel maggio del 2015 la Bbi Ju ha lanciato un bando da 100 milioni di euro per le proposte di progetti flagship riguardanti le materie prime lignocellulosiche, la valorizzazione della cellulosa e l’innovativo processo di recupero e conversione di zucchero dai rifiuti solidi urbani. Il 25 agosto è stata pubblicata la seconda parte del bando, questa volta focalizzata sulla ricerca e la dimostrazione. Complessivamente il budget stanziato per questo bando è di 106 milioni di euro: 28 per ricerca e innovazione, 12 per tecnologie per bioraffinerie innovative ed efficienti, mentre 64 milioni saranno stanziati per le dimostrazioni pratiche e 2 per le azioni di coordinazione e supporto.

 

 

Nell’Unione europea ci sono diversi fondi a sostegno della bioeconomia. Come possiamo coordinarli per evitare sprechi di denaro e supportare in modo significativo la bioeconomia?

L’accesso alla finanza è un problema critico. In passato non esistevano molti fondi dedicati. Oggi si può avere accesso a una varietà di fondi differenti, inclusi quelli della European Investment Bank (Eib), Horizon 2020, Bbi Ju, European Structural and Investment Funds e di banche private. Senza dimenticare il Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) o il cosiddetto Juncker Investment Plan. L’accesso e l’efficacia restano un problema. Si stanno cercando sinergie tra i diversi fondi della Ue, ma la verità è che il panorama del finanziamento è troppo frammentato in diverse procedure tra istituzioni, regioni e organizzazioni, il che rende l’intero processo molto lungo e complesso. La situazione negli Stati Uniti, per esempio, è molto più semplice, e ciò spesso porta a un vantaggio competitivo sull’Europa. Quindi sarà cruciale per la Ue, i governi, le regioni e le altre organizzazioni sovvenzionanti mettere in pratica queste sinergie teoriche per rendere l’investimento in Europa un processo uniforme.

 

Per quanto la riguarda, quanto è importante il supporto alla domanda di prodotti biobased mediante un sistema di approvvigionamento verde pubblico? L’US BioPreferred Program potrebbe essere un modello realistico per l’Europa?

Credo che la certezza del mercato sia una sfida notevole. Oggi all’interno della bioeconomia c’è un importante mercato per i biocarburanti, creato e stimolato da politiche di incentivazione. Comunque, le politiche non sono immutabili e recentemente sono state soggette a un importante dietrofront per i biocarburanti di prima generazione. Molte società che hanno fatto partire i finanziamenti, ora si trovano a dover fermare la produzione perché non è chiaro quale sarà l’andamento delle cose. Da ciò emerge che la stabilità è la chiave per attrarre investimenti. E ciò vale per tutti i prodotti biobased.

Sostenere la domanda di prodotti a base biologica mediante un sistema di approvvigionamento pubblico può certo essere un fattore trainante positivo. Anche se copiare l’US BioPreferred Program a livello della Ue non avrebbe, secondo me, lo stesso impatto che ha avuto negli Stati Uniti, dato che ogni stato membro o regione ha il proprio sistema di approvvigionamento. Occorre analizzare quale sistema potrebbe rappresentare un buon incentivo per sostenere la domanda di prodotti biobased in Europa. È quanto si sta facendo all’interno di un gruppo di esperti di prodotti a base biologica, coordinato dal Dg Grow della Commissione europea. Speriamo si arrivi a definire un buon modello per la Ue.

 

Come considera le politiche di austerità perseguite dall’Unione europea? Potrebbero avere effetti negativi sullo sviluppo della bioeconomia?

Per ora non mi aspetto effetti negativi. Prima di tutto il budget della Bbi Ju non ne è assolutamente influenzato. Inoltre il nuovo piano di investimenti dovrebbe fornire ulteriori opportunità per quelle società che vogliono investire in innovazione o impianti di produzione nell’area dei prodotti biobased. Oggi diversi dei nostri membri stanno trattando con la European Investment Bank per ottenere prestiti o garanzie per investimenti futuri. È un segnale molto positivo: vuol dire che c’è volontà da parte della nostra industria di investire nella bioeconomia europea. 

 

La Commissione europea organizzerà per il 9 e 10 novembre a Bruxelles il Bioeconomy Investment Summit. Può elencarci tre punti che vorrebbe sottoporre all’attenzione del summit per promuovere lo sviluppo della bioeconomia?

Il mio primo punto riguarda la frammentazione del finanziamento pubblico e le complesse e lunghe procedure, come accennavo prima.

Il secondo si riferisce alle regioni. Più regioni della Ue devono cominciare a pensare alle opportunità che hanno rispetto a materie prime come i rifiuti, i prodotti agricoli o la silvicoltura. Le regioni dell’Europa dovrebbero analizzare come utilizzare i fondi di sviluppo regionale e altri fondi per attrarre investimenti, e come sviluppare nuovi prodotti e nuovi mercati per creare nuovi posti di lavoro.

Infine, è importante coinvolgere maggiormente gli azionisti “non convenzionali”. Un buon esempio è rappresentato dai settori industriali che attualmente non hanno grande familiarità con i prodotti dell’area biobased (non alimentari). Le città e le municipalità sono un altro buon esempio. Possono co-investire in impianti innovativi per convertire i loro rifiuti urbani in prodotti ad alto valore aggiunto. In tutti questi casi occorre esplorare e costruire nuove catene di valore e nuove partnership.