Se Ellen MacArthur è la signora dell’economia circolare, a Walter R. Stahel (nato il 9 giugno 1946) può benissimo essere riconosciuto il titolo di padre di questo modello economico. Stahel ha avuto influenza nello sviluppo del campo della sostenibilità, sostenendo “l’estensione della vita dei beni – le filosofie di riutilizzo, riparazione, rilavorazione, adeguamento tecnologico” come vengono applicate alle economie industrializzate. Se la gestione dei rifiuti rappresenta solo una metà del modello circolare, con i suoi cicli chiusi e la rinascita dei materiali, la vita dei prodotti rappresenta l’altra metà. L’estensione della vita utile dei beni come strategia di prevenzione dei rifiuti, l’utilizzo di prodotti come servizi e l’efficienza nell’uso delle risorse attraverso la dematerializzazione dell’economia industriale sono i pilastri del suo pensiero. Stahel ha dedicato la sua vita allo sviluppo di questi concetti, fondando nel 1982 il Product-Life Institute di Ginevra, in Svizzera, una società di consulenza finalizzata alla promozione di queste idee. Il suo libro The Performance Economy (Palgrave, 2010) è un’enorme raccolta di casi di studio in cui vengono analizzate le performance di produzione e consumo mostrando come la performance sia un indicatore chiave del vero business circolare. Ora che l’economia circolare è una filosofia che fa tendenza, Stahel è tornato sulla scena e lavora a stretto contatto con la Ellen MacArthur Foundation alla diffusione delle sue idee presso gli attori economici. Materia Rinnovabile l’ha intervistato per contestualizzare meglio cosa sono l’economia circolare e la vita dei prodotti nel 2017.

Lei è uno dei padri fondatori dell’economia circolare. Come la definisce?
“È un’economia incentrata sulla gestione delle scorte di risorse umane, naturali e di prodotti, mantenendo il loro valore come beni, estendendo la vita utile degli oggetti e – dal punto di vista tecnologico – aggiornando i prodotti più a lungo possibile.”

Quando si rese conto che l’economia lineare non rappresentava la filosofia di sviluppo adeguata?
“Nel 1973, quando l’Europa subiva la prima crisi dei prezzi del petrolio e viveva l’aumento della disoccupazione. Allora suggerii alla Commissione europea di cercare le possibilità per sostituire l’energia con la forza lavoro. E cominciammo a pensare ai materiali. La conclusione del rapporto del 1976 stilato per la Comunità europea da me e Geneviève Reday era la definizione dell’economia circolare; e lo rimane tuttora. Nel 1981 poi pubblicammo il rapporto in forma di libro: Jobs for Tomorrow.”

Oggi c’è un grande fervore riguardo al concetto di economia circolare. Quali sono i rischi? Potremmo trovarci di fronte a qualcosa di simile a quanto successo con il greenwashing che seguì l’introduzione del concetto di green economy?
“Il rischio principale relativo all’economia circolare è il progresso tecnologico e scientifico. Se viene sviluppata un tecnologia di livello superiore per i beni – per esempio come avvenuto nel passaggio dalla macchina da scrivere ai word processor o dalle auto a benzina a quelle elettriche – i vecchi oggetti potrebbero essere comunque riutilizzabili in un altro contesto geografico, per esempio in paesi privi di una rete elettrica nazionale. Se viene sviluppata una tecnologia di livello superiore per i materiali – per esempio il progetto Two-Teams per la produzione di carta (una metodologia innovativa promossa da The Confederation of European Paper Industries – CEPI, nda) contrapposta alla produzione tradizionale – i processi di riciclo potrebbero essere messi a rischio. Il successo di un’economia circolare per i beni di consumo dipende dalla cura che ci si prende di essi, dallo sviluppo nelle persone di una nuova relazione con i beni – la funzionalità invece della moda – un approccio amorevole contrapposto a quello “usa e getta”. La cura è un presupposto per gestire qualsiasi capitale, che sia naturale, culturale, umano o costituito da beni prodotti industrialmente.”

Lei ha lavorato sul tema dell’economia di performance. Quali sono gli assunti chiave?
“Negli anni ’90 ho definito la performance economy in scritti e articoli come functional service economy (economia di servizio funzionale, nda), e nel 2006 ho pubblicato queste idee nel mio libro The Performance Economy per renderle accessibili a un pubblico più ampio. Nella performance economy si vende l’utilizzo dei beni come servizio – come succede con hotel, taxi e trasporto pubblico – come anche quello di molecole come servizio, cioè un leasing di sostanze chimiche. Mantenendo la proprietà dei beni e delle risorse in essi contenute, gli attori economici sono costretti a mantenere all’interno delle loro aziende tutti i costi legati ai rischi e alla produzione di materiale di scarto, il che rappresenta un forte incentivo economico verso la prevenzione di perdite e produzione di rifiuti. In cambio gli attori economici acquisiscono una sicurezza riguardo alle risorse per il futuro. La performance economy rappresenta il modello di business più sostenibile nell’economia circolare – in termini sociali, ecologici e finanziari – ma implica un’affidabilità illimitata riguardo alla performance di beni e materiali.”

Lei ha anche svolto ricerche molto approfondite sul concetto di vita di un prodotto; e ha anche un gruppo di lavoro che si occupa di questo. Cosa dovrebbe fare oggi una persona che si occupa di progettazione quando si accinge a ideare un nuovo prodotto?
“I progettisti, inclusi gli architetti, hanno due limitazioni. Prima: sognano l’immortalità il che significa che le cose devono essere nuove, uniche e di moda; e il fatto che perdono il controllo dei loro beni nel momento della vendita. Uno può progettare un’auto che durerà cinquant’anni, ma se l’acquirente ha un incidente e con l’auto nuova si schianta contro un muro, la vita del prodotto è breve. Il miglior approccio per i progettisti consiste nello sviluppare soluzioni sistemiche, oggetti fisici come concetti modulari con componenti standardizzati e soluzioni virtuali/digitali invece che materiali. In molti casi questa è una sfida assolutamente nuova.”

Pensa che ricercatori e progettisti siano al corrente della filosofia dell’estensione del periodo di vita?
“L’estensione della vita del prodotto e l’economia circolare sono concetti sconosciuti nelle scuole e nelle università che preparano economisti e ingegneri per l’ottimizzazione dei processi produttivi; e lo sono anche ai tecnici che escono da queste scuole. La conoscenza e il know-how dell’estensione della vita dei prodotti appartengono a molte Pmi e ai manager di flotte, come ferrovie, linee aeree e forze armate. Una delle principali sfide consiste nel trasferire questa conoscenza nelle aule scolastiche e nelle sale riunioni per accelerare il passaggio a un’economia circolare.”

La moda e l’obsolescenza programmata sono due acerrimi nemici del modello di economia circolare. Come possiamo risolvere il problema della morte prematura indotta dei beni?
“Le soluzioni tecniche per superarlo consistono nello sviluppare soluzioni modulari con componenti standardizzati; le soluzioni commerciali sono il noleggio o il leasing dei beni invece della vendita. Se la proprietà rimane del produttore o della società di gestione di flotte, la moda e l’obsolescenza manderebbero in bancarotta il proprietario, il quale pertanto starà molto attento a non investire in beni di questo tipo. I consumatori trasformati in utenti hanno una serie di diverse soluzioni: avviare un repair cafè o simili innovazioni sociali al fine di disaccoppiarsi dai produttori; limitarsi a noleggiare o prendere in leasing oggetti come borsette o indumenti, un’opzione anche questa che garantisce flessibilità e scelta; comprare beni dotati di una garanzia di lunga durata, attualmente ne esistono a dozzine sul mercato.”

I prodotti come servizio sono un elemento chiave dell’economia circolare: quali sono le principali sfide in termini di proprietà e di legislazione correlate al passaggio dal possesso al noleggio/leasing/condivisione?
“Gli elementi chiave di un’economia circolare sono i cicli di riutilizzo e di estensione della vita utile dei beni – per esempio eBay, riparazione e rilavorazione, che sono opzioni percorribili dal proprietario-utente – e i loop di riciclo dei materiali, un’opzione disponibile per chi gestisce i rifiuti. I prodotti come servizio rappresentano un modello di business della performance economy che permette di intensificare l’utilizzo dei beni, ma richiede il mantenimento della loro proprietà, Questa è un’opzione disponibile solo per i produttori (come la Rolls Royce che vende potenza a ore invece di turbine di jet) o per i gestori di flotte (linee aeree, compagnie marittime che vendono servizi di trasporto).”

Non pensa che usando solo beni come servizi si perdano alcuni beni finanziari, e quindi le famiglie potrebbero impoverirsi?
“La gente dovrebbe comprare quei beni che aumentano di valore, come le case, ma noleggiare quelli che perdono valore, come auto e smartphone. Seguendo questa regola le famiglie vedranno aumentare i loro beni finanziari a lungo termine; lasciamo che qualcun altro perda soldi in beni che finiscono in discarica. L’Internet of Things e si basa sull’utilizzo dei beni come servizi: la gente vive già profondamente inserita in un’economia di servizio senza sentirsi derubata.”

Qual è la sua opinione riguardo al Circular Economy Package dell’Ue?
“Il Circular Econmy Package si basa ancora sul vecchio pensiero economico lineare che deve essere sostituito dalla valutazione delle scorte o dei beni. Sul lato delle risorse, dovrebbe prevederne la conservazione, e non strategie per la gestione dei rifiuti; dovrebbe dare la massima priorità al riuso e all’estensione della vita utile dei beni e dei componenti (scorte), perseguendo gli obiettivi della EU Waste Directive del 2008, e considerare il riciclo dei rifiuti (flusso) come ultima opzione. Di conseguenza, il Pacchetto dovrebbe delineare politiche di incentivazione per trasformare gli odierni gestori dello smaltimento di rifiuti ecologicamente motivati in gestori delle risorse economicamente motivati, creando mercati che rendano i beni usati e i componenti ai produttori per il riuso/rilavorazione.
Gli obiettivi espressi come percentuale di riciclo dei rifiuti (flussi) dovrebbero essere rimpiazzati dalla percentuale annuale massima di perdita di risorse (perdita di scorte); per i beni usati poco questi sono mondi separati.
Sul lato sociale, il Pacchetto ignora il potenziale di creazione di impiego e i meccanismi per sfruttare questo potenziale per la prevenzione dei rifiuti e lo sviluppo regionale e locale. E ignora la cruciale necessità di fornire gli strumenti per trasferire questo sapere e know-how dell’economia circolare dalle pmi e dai manager che gestiscono flotte a tutte le classi e alle sale riunioni delle aziende: un programma Erasmus sull’economia circolare per studenti e manager.”

Product-Life Institute, www.product-life.org