In queste tragiche ore dove si commemorano i morti, si contano i danni, si cerca di tenere sotto controllo l’onda di piena arrivata oramai al mare, con un occhio sempre al meteo, c’è chi volgarmente ostenta affermazioni negazioniste sul climate change. "Il cambiamento climatico non è un dogma, sono fenomeni già visti", così Lucio Malan, FdI, riferendosi all'alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna la paragona ad altri eventi come quello del Polesine del 1951 o di Firenze del 1966.

Ma non c’è tempo ora per questo rumore di fondo che si perpetua al solo fine di avere un’arma retorica in più nel giochetto delle parti della politica: l’Emilia Romagna sancisce l’ennesimo punto fermo per l’azione politica sul cambiamento climatico e sui processi oramai inevitabili di adattamento. Ovunque su Tv e giornali è ripartita la solfa del “non si è fatto abbastanza”, dei “miliardi stanziati ma mai spesi”, del “tutto sarà ricostruito come prima”.
Sono 20 anni, forse ancor di più che si ripetono sempre le stesse cose dopo tragedie analoghe. “Tutte sempre più evitabili se solo si intervenisse davvero sul dissesto idrogeologico che coinvolge il 94% dei Comuni italiani e si agisse strutturalmente secondo il principio della prevenzione”, ricorda Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord e da sempre una voce sulla difesa del territorio.

Italia regno del cemento: serve uno stop al consumo di suolo

Il tema chiave è quello dello stop al consumo di suolo come politica di adattamento.
L’Italia è il regno del cemento, terzo Paese in Europa per consumo di suolo, patria delle seconde case, del patrimonio del mattone, spesso realizzato in territori fragili dove le colate sigillano in maniera totale i suoli permeabili non consentendo all'acqua di fluire naturalmente fino a quando non rompe gli argini o i canali tombati. Grandi opere, mega vasche in cemento, nuove autostrade, supermercati a non finire, parcheggi, nuove piste di atterraggio: un continuo costruire “per far muovere l’Italia”, per “creare lavoro”, per riscaldare una minestra economica dal sapore stantìo.

“Deve emergere il tema del negazionismo del consumo di suolo. In queste ore stanno circolando tutte le motivazioni e giustificazioni del caso, ma si nega che la crisi climatica sia enfatizzata dalla sedimentazione del consumo di suolo”, racconta al quotidiano Linkiesta Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano e autrice del libro Ecolove (ed. Ambiente 2022). “L’Emilia-Romagna, ricordiamo, è la prima regione d’Italia per cementificazione in aree a rischio alluvione. Nella coscienza collettiva non si è capito che un terreno impermeabilizzato, oggi, è una bomba a orologeria”.

Non serve nemmeno ripetere i dati degli edifici abbandonati o degli appartamenti vuoti (10 milioni di case disabitate in Italia, record in Valle d’Aosta con il 56% delle abitazioni chiuse) e le cifre della riqualificazione degli edifici. Se vogliamo davvero lavorare per rendere i terreni resilienti serve mettere un vero stop definitivo all’uso del suolo. Non si può più procrastinare: ridurre l’impermeabilità del suolo è una strategia chiave per l’adattamento climatico con una serie importanti di co-benefici.

Innanzitutto si favorirebbe la ricarica delle falde, sempre più scariche, e si ridurrebbero gli impatti delle alluvioni. Se ad esempio non avessimo perso decine di migliaia di ettari di suolo avremmo garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi d’acqua piovana. Aumenterebbero poi i servizi ecosistemici legati alla qualità dell’aria e all’assorbimento di CO2, che in Pianura Padana soprattutto rimane un grande problema. In città favorirebbe il benessere psico-fisico delle persone oltre che contribuirebbe a ridurre le temute isole di calore urbane che hanno impatti reali sulla salute dei cittadini. Non solo stop ma anche depavimentazione: piazze, parcheggi, strade, edifici abbandonati, da eliminare per riportare il suolo alla luce.

Una legge sul suolo per prevenire i rischi del clima

Una politica di adattamento climatico fatta attraverso una legge del suolo è un intervento radicale nella paciosa politica italiana. Adottarla significa fare un balzo in avanti nella gestione del territorio, parimenti alla penetrazione delle rinnovabili nel paesaggio italiano. Sarebbe una legge con un chiaro impatto economico per palazzinari, speculatori, il popolo della rendita immobiliare che alzerà tutti gli scudi possibili per difendere il proprio feudo di 120 metri quadrati, magari lasciati sfitti come depositi bancari da usare al momento della necessità oppure affittati a studenti per cifre sempre più alte. La legge dovrebbe rivedere anche i meccanismi con cui si sostengono le casse dei Comuni, dato che ad oggi i proventi dei diritti edificatori e altre tasse sugli edifici di nuova costruzione servono a rimpinguare gli introiti comunali. Su questa tematica è urgente aprire il dibattito perché il nodo della questione risiede proprio sulla questione economica degli edifici: l’economia italiana ha un grave sbilanciamento sui beni immobili e una cattiva gestione dell’economia di questi.

Ne prenda atto chi in parlamento è referente della legge del suolo e chi si dovrà occupare dell’implementazione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Il consumo zero e la depavimentazione sono una necessità: per non creare l’ennesimo conflitto ambientale è arrivato il momento per aprire una commissione parlamentare ad hoc sull’economia del settore edilizio/immobiliare. Solo affrontando il cuore del problema si potrà arrivare ad una soluzione duratura che avrà un impatto concreto sulla questione del dissesto idrogeologico-climatico.

Immagine: Wolfgang Hasselmann (Unsplash)