Sull’isola di Inhaca, in Mozambico, c’è uno dei più straordinari osservatori sulla vita oceanica che abbia visitato come giornalista. Dal 1951, l’Estação de Biologia Marinha Eduardo Modlane raccoglie e classifica specie marine - molluschi, pesci, mammiferi, alghe - tenendo d’occhio quelle a rischio estinzione. I fattori che impattano sulla biodiversità marina in queste acque sono molteplici: le estrazioni di gas, la contaminazione da microplastiche provenienti dall’India, la pesca illegale nelle aree protette, l’eccessivo sfruttamento del legname delle mangrovie (fondamentali per la riproduzione di molte specie), l’overfishing dei grandi pescherecci commerciali. Eppure, il mare è fonte di proteine a basse emissioni (siano esse vegetali o animali), offre servizi ecosistemici per contrastare il cambiamento climatico (l’oceano è il nostro grande termostato globale), ed è un generatore di economia grazie a turismo e commercio. Infine, come tutti i luoghi naturali, offre ristoro alla mente e al corpo.

Mare sconosciuto

Durante la visita all’isola mi ha sorpreso come anche una piccola stazione marittima continui a scoprire nuove specie mai classificate prima. D’altronde conosciamo meno la geografia oceanica di quanto si conosca quella della superficie lunare.
La fascinazione per il mondo sottomarino è relativamente nuova, arrivata persino dopo quella per il mondo ctonio: basti pensare che l’incredibile Mundus subterraneus di Athanasius Kircher uscì nel 1665. Fino al XVII secolo, sulle mappe cartografiche apparivano spaventosi mostri marini, simbolo del mistero che avvolgeva la conoscenza al di sotto della superficie dell’oceano. Da metà Ottocento, completata la mappatura dei peripli della terraferma, i mari, dominati in superficie dalle potenze coloniali, cominciano ad attirare l’interesse degli esploratori. Un interesse consacrato nel 1869 con la pubblicazione di 20.000 leghe sotto i mari, scritto dall’immaginifico Jules Verne. Da allora il mondo sottomarino ha interessato esploratori come l’oceanografo Jacques Cousteau, che per primo ha svelato molti dei segreti degli abissi, il regista James Cameron, che ha raggiunto con il suo Deepsea Challenger i 10.989 metri sotto il livello del mare, o l’ingegnere militare Gustav Berling che realizzò nei cantieri Krupp di Kiel, in Germania, il primo Unterseeboote, capostipite dei famosi U-boot per dominare anche le profondità oceaniche.

Eppure, nonostante gli sforzi di molti, i fondali in mare aperto, oltre i 50 metri di profondità, sono rimasti inesplorati per gran parte del Novecento. Troppo difficili da raggiungere, troppo inquietanti e misteriosi. Non valeva la pena nemmeno pensare di sfruttarli economicamente, visto che sulla terraferma regnava ancora l’abbondanza.

La tutela dell’oceano comincia dalla sua conoscenza

Ancora oggi l’oceano rimane in buona parte inesplorato. Non conosciamo che una piccola parte delle specie abissali, ignoriamo cosa si celi davvero sotto i fondali (anche se l’appetito per le materie prime sta spingendo l’acceleratore su deep sea mining ed estrazione ultra-deep di petrolio e gas), siamo ignari di molecole e organismi che potrebbero rivoluzionare la scienza, celati nelle bocche di vulcani abissali o sotto i ghiacci antartici.
Ma soprattutto non cogliamo in pieno il fondamentale ruolo che l’oceano svolge nella sfida climatica e nella tutela della biodiversità. Senza mari in salute non ci può essere una civiltà umana prospera. E la tutela dell’oceano parte dalla conoscenza, ci ricordano i tanti scienziati intervistati per questo numero di Materia Rinnovabile: Diva Amon, Peter Haugan, Roberto Danovaro e Francesca Santoro. Abbiamo voluto quindi dedicare un intero monografico della rivista al rapporto tra il mondo marino, la nostra società e l’economia degli oceani, meglio nota come blue economy.
Per noi della redazione e per i giornalisti che hanno lavorato a questo numero è stata una continua scoperta: dal ruolo delle alghe alla pesca sostenibile, dallo sfruttamento della materia sottomarina alla catastrofe delle microplastiche, dalle innovazioni nei trasporti all’economia circolare dei prodotti marini. Non aspettate oltre: tuffatevi nella lettura!

Immagine: Jodocus Hondius, 1609-1633, Amsterdam (Boston Public Library, Norman B. Leventhal Map Center Collection. Digital Commonweath, Massachusetts Collection Online, public domain image).

Scarica e leggi il numero 45 di Materia Rinnovabile sull'oceano e la blue economy.