Il 2018 ha segnato una svolta per la trasformazione dell’Europa in una società più sostenibile e circolare. L’anno è iniziato con buone notizie per i pionieri dell’innovazione, grazie alla nascita della prima Strategia europea per la plastica. A ciò sono presto seguiti negoziati in cui le parti hanno stabilito i nuovi obiettivi per l’utilizzo delle risorse per le energie rinnovabili in Europa, e a ottobre il tutto è stato completato con la pubblicazione della versione aggiornata della Strategia europea per la bioeconomia. Si è trattato di un anno intenso per la Commissione europea, in particolare per i commissari quali Jyrki Katainen, responsabili per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività. Questo perché per rendere una società sostenibile, non è sufficiente rendere i processi circolari e utilizzare risorse biologiche come materie prime, ma è anche necessario occuparsi del benessere di tutti. Perciò il lavoro e la crescita svolgono un ruolo cruciale in questo processo, e rappresentano una sfida importante quando si tratta di trasformare i modelli economici. Abbiamo discusso con il Commissario Katainen del ruolo della Commissione europea nel facilitare questa transizione e creare nuove opportunità per tutti i cittadini europei.

 

Secondo la Commissione europea, sia l’economia circolare sia la bioeconomia hanno un potenziale enorme in termini di creazione di nuovi posti di lavoro. In che modo contribuiranno alla crescita economica? 

“L’economia circolare sarà una fonte di nuovi posti di lavoro negli anni a venire perché aumenterà la produttività e aiuterà l’Unione europea a importare meno risorse da altri paesi. In pratica spenderemo meno soldi sulle importazioni, e allo stesso tempo cercheremo di mantenere il valore delle materie prime in Europa il più a lungo possibile, riciclando più e più volte i prodotti e le materie prime seconde. Anche la bioeconomia ha un enorme potenziale in termini di occupazione e crescita. La maggior parte delle materie prime utilizzate per i prodotti della bioeconomia provengono dalle nostre aziende agricole, dalle foreste e aree costiere, e pertanto la bioeconomia offre un’importante possibilità di diversificazione del reddito in questi settori. Si stima che le industrie biobased possano creare circa un milione di posti di lavoro entro il 2030.” 

 

In che modo la Commissione europea pensa di gestire la potenziale perdita di posti di lavoro che potrebbe aver luogo in seguito a questa transizione? 

“In alcuni settori in cui la domanda di materie prime subirà un calo a causa dell’economia circolare è necessario trovare meccanismi che aiutino le persone a trovare nuovi posti di lavoro. Alcuni Stati membri hanno molta esperienza in queste transizioni. Per esempio in Finlandia quando aziende del settore TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) quali Nokia, stavano licenziando molti dipendenti, è stato creato un meccanismo per aiutare le persone a trovare nuovi posti di lavoro, ricevere formazione o diventare essi stessi imprenditori. Questo significa che abbiamo già dei fondi sociali a disposizione, che è il modo per aiutare gli Stati membri a ottenere finanziamenti per i loro progetti. Ciascuna situazione però è un caso a sé, e il sostegno finanziario deve essere adattato ai vari bisogni. Quindi l’economia circolare biobased costituisce una fonte di crescita e di nuova occupazione, ma allo stesso tempo alcuni lavori potrebbero essere diversi da quelli attuali. Questo ci porta al secondo punto che necessita della nostra attenzione: le competenze. La Commissione può fare molto poco nel campo dell’educazione e della formazione. Ma visto che è in atto un processo di evoluzione in cui le attività, le carriere e i posti di lavoro stanno cambiando, gli Stati membri devono reagire e offrire una formazione adeguata.” 

 

Abbiamo parlato di economia circolare e di bioeconomia come di due concetti separati. Ma se vogliamo arrivare a un livello superiore di sostenibilità bisogna accorparli. La Commissione sta lavorando per una bioeconomia circolare? 

“La bioeconomia è l’aspetto rinnovabile dell’economia circolare. L’economia circolare non riguarda sempre le risorse rinnovabili, anche se potrebbe anche essere così, ma la bioeconomia incoraggia a provvedere alla sostituzione delle rimanenti materie prime a base fossile. Come ho detto in precedenza, è una buona cosa per l’Europa perché ci permette di utilizzare le nostre materie prime invece di importarne, come facciamo nel caso del petrolio. 

Una delle misure concrete che stiamo portando avanti ora affinché la bioeconomia possa diventare una parte sostenibile dell’economia circolare consiste nel creare standard di qualità per le plastiche biobased. Ci sono tanti tipi di bioplastiche sul mercato, ma non sono necessariamente del tutto sostenibili. Anche se migliori delle plastiche ricavate dal petrolio, alcuni di questi prodotti non sono biodegradabili, oppure se si degradano si scompongono in microplastiche che poi entrano nella nostra catena alimentare. Vogliamo ridurre la quantità di petrolio utilizzato per la plastica, ma vogliamo anche fare in modo di sbarazzarci delle microplastiche. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di criteri di sostenibilità: stabilire standard qualitativi è una delle misure più importanti. Un altro esempio è l’obiettivo di migliorare gli standard per l’utilizzo di nuovi biocarburanti. La silvicoltura deve essere sostenibile affinché i carburanti siano prodotti in modo sostenibile. Una volta che questo nuovo obiettivo sarà definito, ci sarà un significativo miglioramento dei biocarburanti negli anni a venire.”

 

In termini di biocarburanti, pensa che ci sia stata una carenza di proposte concrete all’interno della nuova Strategia per la bioeconomia per il raggiungimento sostenibile dei nuovi obiettivi dell’Unione europea in campo di bioenergia?

“Si, è vero. E la questione va presa seriamente, perché anche se le materie prime biologiche sono migliori di quelle basate sui combustibili fossili, dobbiamo assicurarci che l’intera catena di valore sia sostenibile. Per esempio, se incrementiamo l’utilizzo di biomasse forestali dobbiamo assicurarci che la gestione forestale sia sostenibile, ossia che la foresta venga rinnovata più rapidamente di quanto non sia sfruttata. Nella visione della Commissione europea, l’economia circolare costituisce il lato industriale della protezione del clima, la cui intera catena di valore deve essere sostenibile. Sappiamo che esistono numerose opportunità per l’utilizzo di biomassa proveniente dalle foreste, certo più di quanta ne stiamo utilizzando al momento, ma dobbiamo assicurarci che le foreste vengano gestite in modo adeguato.”

 

Alcuni ecologisti sostengono che gli sforzi devono concentrarsi sul ridurre la plastica, piuttosto che sul cercare alternative quali la bioplastica. In quale misura la Strategia europea per la plastica si focalizza sulla prevenzione? 

“In realtà più ricicliamo la plastica, meno abbiamo bisogno di plastica vergine, in questo senso la produzione complessiva di plastica diminuirà. Perciò riciclare è una parte importante della prevenzione del consumo di plastica. In secondo luogo, più produciamo e ricicliamo plastiche biobased, meno avremo bisogno del loro equivalente basato su fonti fossili. La plastica è un buon materiale perché è molto leggero rispetto ad altri materiali quali il vetro. Se si considera solo il punto di vista delle materie prime il vetro può sembrare più sostenibile, ma l’impronta di un materiale più pesante può essere maggiore rispetto a quella di un prodotto più leggero (per esempio, a pari volume serve maggiore energia per spostarlo, ndr).

C’è poi il problema enorme dello spreco alimentare che la plastica può aiutarci a prevenire. In questo campo dobbiamo fissare standard superiori per gli imballaggi in plastica, in grado di conservare gli alimenti a lungo e al tempo stesso di essere riciclati più e più volte, cosa che sfortunatamente in larga parte non avviene.

Come incentivo concreto per gli Stati a migliorare la circolarità abbiamo introdotto un contributo all’interno della proposta per il Quadro finanziario pluriennale (QFP) per il 2021-2027. Si tratta di un contributo e non di una tassa, che sarà direttamente proporzionale alla quantità di rifiuti da imballaggi in plastica non riciclabili generati in ciascun Stato membro (0,80 euro al kg).”

 

Grandi società quali Coca-Cola e Danone hanno recentemente firmato un impegno volontario ad affrontare il problema dell’inquinamento da plastica (il New Plastics Economy Global Commitment). In che misura questo tipo di impegni può contribuire a contrastare lo spreco di plastica? 

“Abbiamo bisogno di una vasta gamma di misure, ma comunque queste campagne costituiscono un buon esempio che dimostra come le aziende possano davvero trasformare il proprio modello di business e diventare sempre più sostenibili in termini di utilizzo della plastica. Si tratta di un buon esempio per le altre aziende che non si sono ancora mosse in questa direzione. In quanto organismo regolatore europeo dobbiamo fare in modo che possa emergere un nuovo mercato sostenibile del riciclo, e questa è la ragione per cui le proposte alle quali mi sono riferito prima, ossia la creazione di standard qualitativi per gli imballaggi in plastica, sono molto importanti. Questo tipo di campagne servono creare pressione sulle aziende da parte di loro pari, ma devono comunque essere poi seguite da nuovi regolamenti. Per esempio, il mercato delle bioplastiche ha bisogno di regolamentazione per poter essere redditizio, e perché possa avere alle spalle una logica di mercato. Altrimenti ci troveremo sempre in una situazione in cui i prezzi convenienti del petrolio la fanno da padrone sul mercato della plastica, ed è davvero necessario metter fine a questo malsano circolo vizioso.”

 

L’ultima versione della Strategia sulla bioeconomia ha introdotto una Piattaforma di investimenti tematica per la bioeconomia circolare, del valore di 100 milioni di euro. In che misura questa rilancerà gli investimenti del settore privato nell’industria biobased? 

“Questi 100 milioni sono rivolti soprattutto all’innovazione. Abbiamo bisogno di innovazione. Dobbiamo davvero investire in nuovi modelli di business, ma anche in nuovi prodotti che siano più sostenibili. In questo senso il sostegno dell’Unione europea all’innovazione è molto importante, ma voglio anche segnalare che la Comunità europea sta aiutando quegli Stati membri nei quali il riciclaggio non si sta sviluppando in modo altrettanto efficiente. In termini concreti, le Direzioni Generali stanno organizzando eventi nei paesi che sono rimasti indietro, durante i quali gli attori industriali, le aziende e le autorità locali sono invitate a considerare le opportunità potenziali. Quindi stiamo fornendo servizi di consulenza tecnica per gli Stati membri, e offriamo loro esempi di come altri paesi o regioni siano riuscite a migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti e diventare più circolari. Anche qui il settore privato svolge un ruolo importante, perché non tutte le regioni e i comuni sanno quali siano i tipi di tecnologie attualmente disponibili. Più il settore pubblico è in grado di modernizzare la gestione dei rifiuti, migliori saranno le opportunità per il settore privato di investire in quelle aree e tecnologie. Ci troviamo nel mezzo di una trasformazione consistente e rapida. Ho avuto molti riscontri da chi si occupa di riciclaggio, che sostiene che la propria attività è in forte espansione al momento. In alcuni paesi le aziende sono addirittura in difficoltà, e devono assumere sempre più persone e produrre attrezzatura per il riciclaggio in misura sempre maggiore. Si tratta di un segnale positivo, ma dobbiamo assicurarci che l’Europa intera stia al passo e che non si creino divisioni su questo aspetto.”

 

Infine, quali progetti metterebbe in evidenza in termini di lavoro e crescita per il 2020?

“Visto che Materia Rinnovabile ha sede in Italia, vi propongo un esempio italiano. L’Italia ha fatto ampio utilizzo del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), che fa parte del piano Juncker (Piano di investimenti per l’Europa), specialmente per le piccole e medie imprese (pmi). A oggi l’Italia ha mobilitato più di 440 miliardi in nuovi investimenti in tutta Europa, e ha offerto sostegno a quasi 800.000 pmi. L’Italia ha utilizzato il FEIS in modo così attivo che circa 400.000 pmi hanno già ottenuto dei finanziamenti. Questo è molto significativo, dato che si tratta di un paese alquanto dinamico dal punto di vista imprenditoriale. Tutte queste aziende che hanno ottenuto finanziamenti tramite il FEIS probabilmente assumeranno nuovo personale, o quantomeno diventeranno più competitive sul mercato. E questo è solo uno strumento che abbiamo utilizzato con successo in tutta Europa, ma soprattutto in Italia. Il Piano di investimenti per l’Europa, il Piano Juncker, mira a creare 1,5 milioni di posti di lavoro entro il 2020. E anche questa è una cifra considerevole.” 

 

 

Ce, “Bioeconomy Strategy” ottobre 2018, tinyurl.com/y9w6qjfg

Ce, “A European Strategy for Plastics in a Circular Economy”, gennaio 2018; ec.europa.eu/environment/circular-economy/pdf/plastics-strategy.pdf