Il 22 ottobre 2020 è iniziato al teatro No’hma a Milano il decennio del mare. L’evento divulgativo “Verso la generazione oceano”, organizzato dalla Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco (IOC-UNESCO), ha voluto promuovere la decisione presa dalle Nazioni Unite di dedicare il decennio 2021-2030 alle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile. Il 71% della superficie terrestre è infatti coperta da acqua e la sua salvaguardia rappresenta un tassello cruciale per poter garantire un futuro desiderabile per tutta l’umanità.

Mari in pericolo

L’oceano, considerato come unico corpo d’acqua salata, non si trova oggi in buono stato ecologico: nel giro degli ultimi cento anni, infatti, l’uomo ne ha cambiato la composizione chimico-fisica e ha alterato la qualità delle acque e degli ecosistemi marini. Ciò è avvenuto sia attraverso l’immissione di sostanze nocive per le forme di vita marine (dagli 8 milioni di tonnellate di plastiche che finiscono in mare ogni anno, ai fertilizzanti e pesticidi usati nell’agricoltura), sia, indirettamente, attraverso il cambiamento climatico provocato dalle emissioni di gas serra in atmosfera.
Il riscaldamento globale ha causato un
aumento di circa 1/1,5°C della temperatura media dell’oceano, comportando l’aumento di volume del mare a seguito del processo di espansione termica (l’acqua più calda si espande) e in conseguenza alla fusione dei ghiacci. Francesca Santoro, specialista di programma della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO, mette in guardia: “La velocità con cui l’oceano sta aumentando di livello è di 3,6 mm all’anno. Ciò significa che se nei prossimi anni si riusciranno a contenere le emissioni si arriverà al 2100 con un aumento di 0,43 metri; se invece non verranno prontamente messe in atto azioni drastiche di contenimento si arriverà ad un innalzamento di circa 1 metro. Conseguenze deprecabili saranno principalmente inondazioni sempre più frequenti, intere città sommerse e aumento delle migrazioni.” Per quanto riguarda i servizi ecosistemici dell’oceano, non si può non parlare del suo ruolo di carbon sink: esso assorbe infatti il 30% della CO2 emessa in atmosfera. Ma più i gas serra aumentano più l’oceano ne assorbe, diventando così sempre più acido. “Più del 50% delle barriere coralline sono oggi andate perse proprio a causa dell’acidificazione” continua Francesca Santoro. Altro elemento preoccupante si riscontra nell’enorme perdita di diversità biologica conseguente al sovra-sfruttamento delle risorse ittiche, tanto che, come comprovano i dati redatti dalla Banca Mondiale, circa il 90% degli stock ittici marini è oggi sfruttato o sovrasfruttato. Ciò significa che, nel 2050, si potrebbe assistere al collasso della pesca commerciale. In sintesi, a causa dell’azione antropica, la grande massa acquatica sta oggi diventando sempre più calda, sempre più acida e sempre più povera d’ossigeno e di specie.

Soluzioni per un oceano sostenibile

Data la drammatica situazione in cui versano le acque del pianeta, l’obbiettivo che le Nazioni Unite si sono poste per il prossimo decennio è quello di gestire l’oceano in modo più sostenibile e resiliente. La scommessa è legata alla possibilità di agire celermente, investire nella ricerca e nelle tecnologie così da migliorare una situazione già grandemente compromessa.
La Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO, ente che fornisce agli Stati membri delle Nazioni Unite degli strumenti di cooperazione per lo studio degli oceani, si è prefissata come obbiettivo da raggiungere
entro il 2030 quello di avere un oceano sano, resiliente, produttivo, sicuro, predicibile, che coinvolge e che ispira. “Sano vuol dire lavorare sulla riduzione dell’inquinamento causato dall’introduzione in mare di plastiche (micro e macro) e dall’immissione di azoto e fosforo derivanti dai fertilizzanti e pesticidi usati nei sistemi agricoli. La sfida è quella di ridurre la plastica monouso e sostituirla con materiali organici.” afferma Francesca Santoro. Inoltre, dato il fatto che l’agricoltura riveste una forte pressione sull’integrità degli ecosistemi marini, un importante contributo dovrebbe essere dato dalla riforma della PAC, ammesso che sia rivista la proposta emersa recentemente dal trilogo. E così anche la pesca dovrà avvenire secondo target di sostenibilità, in un contesto di totale trasparenza di utilizzo delle risorse ittiche e zero tolleranza nei confronti delle pratiche illecite (come ad esempio la pesca da traino, pratica che compromette irrimediabilmente l’integrità dei fondali marini). “Per oceano produttivo si intende proprio la necessità di controllare lo sfruttamento delle risorse ittiche, aumentando la rete delle aree protette al 30% della superficie marina. Le zone sottoposte a tutela permettono infatti alle specie di rigenerarsi al loro interno, così che possano poi migrare e ripopolare altri areali”, continua Santoro. Al fine di proteggere e restaurare il patrimonio biologico risulta interessante anche il contributo dato dalle soluzioni cosiddette “nature-based”, che implicano la conservazione di ecosistemi naturali e il ripristino di quelli alterati dall’uomo. Esempi sono la ripiantumazione delle mangrovie lungo le coste tropicali o della poseidonia oceanica nel mar Mediterraneo. Tali specie infatti mitigano gli effetti distruttivi della forza motrice delle onde, delle alluvioni e delle inondazioni, proteggendo le coste e limitandone l’erosione.

Collaborazione e sensibilizzazione per proteggere il mare

Punto nodale su cui si sta spendendo la commissione UNESCO è quindi una ricerca scientifica innovativa e rivoluzionaria, che possa portare a soluzioni concrete e sostenibili per il pianeta. Per raggiungere questo obbiettivo è però necessario che il sapere scientifico si metta al servizio della società, al fine non solo di innovare i sistemi produttivi, ma anche di modificare i comportamenti delle persone e di influenzare i decisori politici nelle loro scelte. “Ciò di cui oggi abbiamo bisogno è un approccio trans-disciplinare e trans-settoriale, che coinvolga attivamente e in modo sinergico politici, ricercatori e popolazione tutta. La sensibilizzazione è infatti un pilastro fondamentale su cui si basa il piano d’azione delle Nazioni Unite: le persone devono cambiare atteggiamento e capire che anche le scelte e le azioni quotidiane possono avere un impatto significativo non solo sul benessere del mare, ma anche sulla loro stessa salute. Verranno a tale scopo attivati progetti di citizen science, per cui il coinvolgimento attivo dei cittadini nella raccolta e nell’interpretazione dei dati scientifici sarà un contributo significante nella comprensione e nella salvaguardia dell’oceano”, conclude Francesca Santoro. Questo decennio, oltre che una grande sfida, sarà quindi una grande opportunità per cambiare le rotte lungo le quali si sta dirigendo il futuro del pianeta e dell’umanità.