L’Australia è il sesto paese del mondo per estensione. Ricco di risorse naturali e trainato da uno spiccato dinamismo economico, il paese guidato dal primo ministro Scott John Morrison non ha ancora una propria strategia sulla bioeconomia, ma certamente ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo da protagonista nello sviluppo di questo settore a livello globale. 

Tutto ciò grazie soprattutto all’iniziativa presa dallo Stato del Queensland, che nel 2016 ha presentato un proprio piano decennale focalizzato sulla creazione della bioindustria del futuro: Queensland Biofutures, 10-Year Roadmap and Action Plan. “La nostra visione è per un settore dei bioprodotti e delle biotecnologie industriali sostenibile e orientato all’export da un miliardo di dollari, che attragga significativi investimenti internazionali e crei posti di lavoro ad alta intensità di conoscenza e ad alto valore a livello regionale. La bioindustria del futuro potrebbe avere un effetto trasformativo sull’economia del Queensland, ma ciò non accadrà senza l’impegno del governo. Noi siamo determinati a vedere diventare realtà un forte e sostenibile settore dei bioprodotti e delle biotecnologie industriali”, si legge nella prefazione del documento che punta ad affrancare nel medio-lungo termine la regione nord-orientale dell’Australia dall’impiego delle fonti fossili. 

Se il Queensland è alla guida della transizione verso la bioeconomia, l’intero paese, pur in assenza di una strategia, sta comunque dimostrando con i fatti di puntare in modo deciso su un futuro sempre più biobased. L’economia che rappresenta la dodicesima realtà mondiale e che conosce una crescita ininterrotta dal 1991, ha infatti implementato negli ultimi anni una serie di politiche per favorire la crescita del settore bioenergetico, testando nuovi tipi di materia prima che vanno dagli scarti agricoli e forestali alle alghe.

 

Il Queensland vola a biofuel

Tra i molti passi compiuti verso la bioeconomia australiana, per il Queensland l’utilizzo di un biocarburante avanzato (biojet) nel sistema di rifornimento dell’aeroporto di Brisbane rappresenta certamente una pietra miliare che posiziona la città al fianco di Los Angeles, Oslo, Stoccolma, Ginevra e Chicago come uno dei pochi aeroporti per l’aviazione sostenibile.

La sperimentazione avviata tra il 2017 e il 2018 mette le basi per il futuro di Brisbane come centro regionale per i biocarburanti, con una bioraffineria capace di produrre biojet sostenibile dalla biomassa locale. È il risultato di una collaborazione tra Virgin Australia, il governo del Queensland, Brisbane Airport Corporation, il produttore americano di biocarburanti Gevo, Inc. e i partner della catena di distribuzione Caltex e DB Schenker per approvvigionare e miscelare biocarburante avanzato per aviazione con il tradizionale carburante usato all’aeroporto di Brisbane.

Il progetto potrebbe accelerare l’uso di biocarburanti per l’aviazione in altri aeroporti del Queensland, a beneficio degli agricoltori delle principali regioni agricole dello Stato – tra cui Cairns, Townsville, Mackay, Bundaberg e Toowoomba – grazie a una maggiore domanda per la biomassa locale, come la canna da zucchero, e a una maggiore occupazione nel settore.

 

Il settore delle bioenergie

L’Australia ha una necessità: aumentare la propria sicurezza energetica, stimolando lo sviluppo regionale e riducendo al contempo le emissioni di gas a effetto serra. Attualmente, la bioenergia rappresenta circa l’1% della produzione di elettricità in Australia e il 7% della produzione di elettricità rinnovabile. Mentre i biocarburanti rappresentano tra l’1 e il 3% del consumo di carburante complessivo. La maggior parte dell’attuale capacità bioenergetica dell’Australia deriva dalla cogenerazione di bagassa. 

La chiara volontà politica è favorire una crescita continua e sostenibile del settore, grazie a una certezza nel lungo termine per gli investimenti e a un’accresciuta consapevolezza da parte della comunità dei cittadini. In questa prospettiva nel 2015 è stato lanciato l’Australian Bioenergy Fund dalla Clean Energy Finance Corporation (CEFC), una green bank di proprietà del governo di Canberra che gestisce complessivamente 10 miliardi di dollari americani per progetti di energia pulita. Il fondo Bioenergy è un fondo azionario per la bioenergia e l’energia dai rifiuti, compresi i rifiuti agricoli e forestali, in cui il CEFC ha impegnato 100 milioni, con altri 100 i messi da investitori privati, per investire in nuove tecnologie che consentano di accrescere l’impiego di scarti agricoli e forestali o di alghe per la produzione di nuove energie e carburanti biobased. Queste tecnologie avanzate consentono lo sviluppo sostenibile dell’industria bioenergetica senza competere con l’agricoltura tradizionale per terra e risorse, come nel caso della tecnologia sviluppata dall’Università di Melbourne per ricavare biodiesel da biomassa microalgale. 

A ottobre 2018 a nome del governo australiano, l’Agenzia australiana per le energie rinnovabili (ARENA) ha annunciato un finanziamento di 23 milioni di dollari per lo sviluppo del primo progetto di energia da rifiuti nell’Australia Occidentale, che ha l’obiettivo di ridurre i rifiuti destinati alla discarica. 

Sviluppato insieme da Macquarie Capital (Australia) Limited e Phoenix Energy Australia Pty Ltd, l’impianto da 668 milioni di dollari sorgerà nell’area industriale di Kwinana, a 40 km a sud di Perth. La struttura produrrà energia dai rifiuti, con una capacità elettrica di circa 36 MW sufficiente per alimentare 50.000 famiglie e recuperando fino a 400.000 tonnellate all’anno di rifiuti solidi urbani non riciclabili provenienti dalla raccolta porta a porta. L’impianto sarà anche in grado di trattare rifiuti commerciali e industriali e rifiuti di costruzione e demolizione, ottenendo un sottoprodotto di ceneri comunemente usato come base stradale o nel settore delle costruzioni in Europa.

L’impianto di Kwinana sarà di proprietà di un consorzio di cui fanno parte tra gli altri Macquarie e il Fondo olandese per le infrastrutture (DIF). L’impianto di Kwinana sarà di proprietà di un consorzio di cui fanno parte tra gli altri Macquarie e il Fondo olandese per le infrastrutture (DIF). In questo progetto – la cui conclusione è prevista per la fine del 2021 – la Clean Energy Finance Corporation prevede di investire fino a 90 milioni di dollari. L’impianto sarà realizzato da Acciona e gestito da Veolia; si prevede che creerà più di 800 posti di lavoro durante la costruzione e 60 posti di lavoro a tempo pieno una volta operativo.

Secondo l’amministratore delegato di ARENA, Darren Miller, “ogni anno in Australia vengono prodotti più di 23 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, questo progetto potrebbe aiutare a deviare i rifiuti non riciclabili dalle discariche e recuperare energia nel processo”.

 

I grandi player della biochimica

Non c’è solo l’energia nella bioeconomia australiana. Due delle più dinamiche società della chimica biobased a livello mondiale hanno il proprio quartier generale in Australia. Si tratta di Circa Group e di Leaf Resources.

La prima, basata a Parkville nei pressi di Melbourne, è stata fondata nel 2006 con lo scopo di creare un business sostenibile che convertisse la cellulosa non alimentare in prodotti chimici rinnovabili ad alte prestazioni. La cellulosa è il polimero più abbondante e rinnovabile al mondo. Milioni di tonnellate di cellulosa sono sottoutilizzate ogni anno e Circa vede una chiara opportunità di ricavarne più valore.

Utilizzando il processo Furacell, di cui è proprietaria la società, Circa produce quantità industriali di Levoglucosenone, una molecola piattaforma altamente funzionale con molte applicazioni industriali potenziali, inclusi prodotti farmaceutici, agro-chimici, alimentari e avanzati. La società guidata da Tony Duncan sta inoltre costruendo un portafoglio di prodotti derivati da Levoglucosenone in diversi settori chimici specializzati con un mercato in crescita come i bio-tensioattivi, gli aromi, i prodotti agrochimici, i biopolimeri e i biosolventi, come nel caso del biosolvente Cyrene. Quest’ultimo è stato sviluppato in collaborazione con il Green Chemistry Center of Excellence (GCCE) dell’Università di York, nel Regno Unito, con particolare attenzione al mercato dei solventi da nelle industrie farmaceutiche e chimiche speciali pari a 900mila tonnellate. Cyrene è un’alternativa a base biologica ai solventi tradizionali come NMP (N-Metil-2-Pirrolidone), DCM (cloruro di metilene) e DMF (Dimetilformammide), che sono sotto pressione regolatoria in tutto il mondo a causa della loro tossicità. Tuttavia, la società australiana vede opportunità per Cyrene che vanno al di là della semplice sostituzione. Come parte del piano di scalabilità dell’impresa, nel 2015 Circa ha costituito una joint venture con la norvegese NorskeSkog. Insieme, hanno costruito FC5 nello Stato australiano della Tasmania, un impianto dimostrativo commerciale da 6,5 milioni di dollari con una capacità di 50 tonnellate all’anno per Cyrene. Gli scarti di cellulosa certificati e rinnovabili provenienti dalle operazioni di fabbricazione della carta e dalla silvicoltura vengono utilizzati come materia prima per produrre Levoglucosenone e Cyrene. In Europa Circa fa parte del consorzio ReSolve, un progetto finanziato da Horizon 2020 da 4,3 milioni di euro, che mira a sostituire i tradizionali solventi a base di fossili classificati come sostanze estremamente problematiche (SVHC) ai sensi del regolamento REACH europeo.

A Darra, vicino a Brisbane nel Queensland, si trova Leaf Resources, che ha sviluppato un processo innovativo basato sul glicerolo, un rifiuto generato dalla produzione del biodiesel. L’innovazione di Leaf Resources si chiama Glycell, il processo che abbatte efficacemente la biomassa vegetale in zuccheri cellulosici e lignina economici e puliti. La società australiana riesce a ottenere un maggiore recupero della cellulosa e una conversione molto più rapida agli zuccheri, ma l’assoluta svolta è la capacità di recuperare il glicerolo a una purezza più elevata e rivenderlo con profitto.

Il processo Glycell può produrre zuccheri cellulosici a circa 50 dollari alla tonnellata, a fronte di una media di mercato da altre fonti pari a 200 dollari alla tonnellata. Gli zuccheri cellulosici sono una materia prima importante per i prodotti chimici verdi rinnovabili, come bioplastiche e biocarburanti, prodotti i cui mercati hanno un valore di molti miliardi di dollari e crescono rapidamente. Riducendo drasticamente il costo della materia prima principale per prodotti chimici, plastiche biobased e biocarburanti, il processo Glycell ha il potenziale per cambiare il volto della produzione globale rinnovabile.

Leaf Resources, che nel 2016 ha siglato un importante accordo di collaborazione con la danese Novozymes, leader mondiale nel mercato degli enzimi (ne detiene circa il 50%), e con Claeris, società di primo piano per la costruzione di impianti industriali a basso impatto ambientale, sta portando avanti in Malesia la costruzione di un proprio impianto commerciale: una bioraffineria che sarà localizzata a Segamat, nello Stato dello Johor nel Sud del paese.

La società del Queensland ha firmato un memorandum di intesa con Agnensi Inovasi Malaysia (AIM), l’agenzia governativa malese per l’innovazione e con la Malaysian Bioeconomy Development Corporation, l’agenzia che ha lo scopo specifico di sviluppare la bioeconomia nel paese asiatico. E ha costituito proprio con Claeris una joint venture, Leaf Malaysia, per portare avanti il progetto.

Al suo attivo, Leaf, le cui azioni sono quotate alla borsa australiana, vanta anche un brevetto per l’estrazione di silice dalla lolla di riso. I risultati iniziali mostrano che la silice viene estratta in una preziosa forma amorfa e dopo l’estrazione la biomassa è pronta per il processo Glycell. Questa è un’opzione a lungo termine, ma potenzialmente fornisce una fonte di biomassa molto economica.

 

Ricerca e innovazione

In Australia, in attesa di una strategia, il governo ha fornito orientamento politico e sostegno in diverse aree tematiche della bioeconomia, in particolare per quanto riguarda l’aumento del valore aggiunto delle risorse agricole, forestali e marine. In termini di focus governativo, la maggior parte delle politiche legate a questo metasettore possono essere caratterizzate come strategie di ricerca e sviluppo. Nel 2013, il governo australiano ha definito quindici priorità di ricerca strategica per il futuro, che integrano anche temi chiave della bioeconomia, non solo nel campo bioenergetico ma anche nel monitoraggio e nella gestione degli ecosistemi e nell’ottimizzazione dell’alimentazione e della salute.

Lo sviluppo delle biotecnologie è stato particolarmente incoraggiato dalla politica nazionale in materia di biotecnologia e dalle strategie di comunicazione che sensibilizzano sull’importanza e i benefici della moderna biotecnologia per il settore agricolo e per quello industriale. Inoltre, nel 2011 il governo australiano ha pubblicato due studi sulle bioraffinerie che indagano il potenziale delle catene del valore della biomassa tropicale e temperata.

Al fine di promuovere le capacità di ricerca in settori chiave della conoscenza, quali le bioscienze e le biotecnologie, il governo ha sviluppato nel 2011 la “Strategic Roadmap” per l’infrastruttura di ricerca australiana. A seguito del piano di investimenti per la ricerca pubblicato nel 2012, il sostegno a importanti infrastrutture di ricerca è stato identificato come un elemento chiave e proseguito nel quadro della “Strategia nazionale per le infrastrutture di ricerca collaborativa (2013-2016)”. Inoltre, la Strategic Roadmap del 2011 per l’infrastruttura di ricerca australiana ha supportato numerose infrastrutture e reti relative alla bioeconomia, in modo specifico nei campi della scoperta biologica integrata, delle collezioni biologiche, delle biotecnologie per materiali avanzati e industriali, nonché dei biocarburanti di prossima generazione.

Nel 2015, il ministero dell’Industria e della Scienza ha lanciato il “National Marine Science Plan 2015-2025”, che si concentra sullo sviluppo del valore aggiunto dell’economia del mare (blue economy), proteggendo al contempo gli oceani e le risorse marine australiane. La Marine Science Strategy delinea i cosiddetti “passi di 10 anni per il successo”: le aree prioritarie di ricerca individuate sono la creazione di strumenti di supporto decisionale scientifico per le politiche e l’industria; la costruzione di un sistema di modellizzazione oceanografica; lo sviluppo di basi marine nazionali e programmi di monitoraggio a lungo termine; partnership industriali e governative; formazione scientifica marina in un contesto più interdisciplinare; investimenti in navi da ricerca; la realizzazione dell’esplorazione, mappatura e monitoraggio di ecosistemi marini, favorendo collaborazioni nazionali.

Oltre a queste strategie nazionali di innovazione, l’Australia Meridionale ha pubblicato una strategia di bioeconomia regionale “Costruire una bioeconomia nell’Australia Meridionale 2011-2015”.La strategia per la bioeconomia dell’Australia Meridionale è orientata al business e identifica tre elementi strategici d’intervento. In primo luogo, essa mira a garantire l’accesso al capitale di rischio. In secondo luogo, vuole favorire la creazione di infrastrutture come i cluster. In terzo luogo, offre assistenza allo sviluppo commerciale e assistenza nell’area marketing alle nuove attività. Per sviluppare la bioeconomia locale è stato coinvolto anche il Centro di ricerca tecnica VTT finlandese. La più grande organizzazione di ricerca applicata multitecnologica nel Nord Europa, su richiesta del governo dello stato dell’Australia Meridionale, ha studiato le condizioni delle industrie del settore forestale nella regione del cosiddetto Triangolo verde e ha esaminato il valore aggiunto che può essere raggiunto attraverso produzioni ad alta tecnologia. Il governo locale ha invitato il VTT a identificare modi per aumentare la produttività dell’industria forestale e delle segherie della regione ea promuovere la cooperazione tra le imprese. Il Centro di ricerca finlandese ha raccomandando sette percorsi futuri per la regione. Tre hanno un orizzonte temporale di circa 3-5 anni, il resto si estende oltre i 10 anni.

I mezzi proposti per aumentare la produttività a breve termine sono l’uso più efficiente delle risorse di legname, l’aumento del valore della produzione per il settore edilizio e la necessità di sfruttare le opportunità offerte dalle materie prime in fibra e dai flussi collaterali industriali. Secondo il VTT, la scansione a raggi X del legname potrebbe aumentare il volume di resa del 5%, equivalente a un fatturato annuo extra di 70 milioni di dollari australiani (circa 46 milioni di euro) per le segherie di grandi dimensioni. La scansione viene utilizzata per analizzare la struttura interna del legno e identificare l’uso ottimale.

L’implementazione delle raccomandazioni a lungo termine del VTT richiede la costruzione di nuove bioraffinerie per la produzione di prodotti altamente raffinati, come materiali assorbenti e membrane, tessuti a base di cellulosa, prodotti chimici e polimeri a base biologica e nanocellulosa.

Lo studio in due fasi è stato cofinanziato dal governo dello Stato e dal governo federale. L’Australia Meridionale vanta notevoli risorse forestali: oltre 340.000 ettari di foreste di piantagioni. Queste consistono principalmente in pino ed eucalipto. L’industria della segheria fornisce lavoro a circa il 35% della popolazione nella regione del Triangolo verde dell’Australia Meridionale.

 

 

Queensland Biofutures, 10-Year Roadmap and Action Planhttps://statedevelopment.qld.gov.au/resources/plan/biofutures/biofutures-10yr-roadmap-actionplan.pdf

Circa Group, www.circagroup.com.au 

Leaf Resources, http://leafresources.com.au

National Marine Science Plan 2015-2025https://www.marinescience.net.au/wp-content/uploads/2018/06/National-Marine-Science-Plan.pdf

 


  

Intervista a Marco Baccanti
di M. B.

Marco Baccanti oggi è il Chief Executive di Health Industries SA, organizzazione del governo dell’Australia Meridionale.

 

L’Australia supporta l’innovazione e la sostenibilità

 

Marco Baccanti è Chief Executive di Health Industries, agenzia per lo sviluppo economico del settore delle scienze della vita del governo dello Stato dell’Australia Meridionale, con capitale Adelaide. Forte di un team di professionisti con esperienza internazionale nel settore, l’organizzazione si occupa delle politiche di incentivazione del settore industriale, della ricerca e del relativo trasferimento, dello sviluppo infrastrutturale dello stato, dell’attrazione di investimenti, del supporto alle imprese nel territorio e alle startup. In questa intervista con Materia Rinnovabile ci racconta come il governo dello Stato australiano sta supportando la bioeconomia e l’innovazione in generale.

 

Negli Stati Uniti la definizione di bioeconomia comprende l’area delle biotecnologie per la salute. In Europa queste sono invece escluse, perché si preferisce ragionare sulla base delle sfide sociali da affrontare. Come viene definita la bioeconomia in Australia?

“L’approccio australiano è sempre pragmatico, semplificato, in questo senso direi anglosassone. Pertanto il concetto di bioeconomia qui ha un’accezione semplice: risorse, energia, trasformazione di materie prime rinnovabili, bioraffinerie per la valorizzazione dei residui di produzioni agricole, farming ecc. L’associazione del concetto di bioeconomia con le biotecnologie per la salute non avviene, sono concetti considerati distanti.”

 

In che modo l’Australia Meridionale supporta la bioeconomia e l’innovazione?

“Negli ultimi anni l’azione del governo statale ha dedicato molti investimenti e iniziative legislative innovative al settore delle fonti di energia sostenibili. Sono stati finanziati progetti molto importanti, tra i quali la realizzazione del maggiore parco batterie al mondo, collegato agli impianti eolici di generazione elettrica, realizzato in tempi molto brevi in collaborazione con Tesla. E anche il progetto Sundrop: in pieno deserto è stato realizzato un parco di specchi che convoglia energia solare a una torre centrale con caldaia a sali fusi, alta 127 metri. L’energia elettrica così generata viene utilizzata per un impianto di desalinizzazione di acqua di mare che alimenta un grande impianto di serre idroponiche per la produzione di pomodori.

L’impianto è completamente indipendente dal punto di vista delle risorse energetiche e minerali, e produce ben 15.000 tonnellate di pomodori all’anno, con un ciclo chiuso, integrato e autosufficiente di energia, acqua, anidride carbonica e sali. Per quanto riguarda le iniziative legislative a favore della produzione di energie alternative, ricordiamo il recente incentivo grazie ai quali i cittadini dell’Australia Meridionale ottengono dallo Stato un significativo rimborso per l’installazione, nelle proprie abitazioni, di batterie per l’accumulo di energia. In questo modo l’energia solare prodotta dai loro pannelli non viene immessa in rete, ma accumulata per il successivo uso domestico, ad esempio nelle ore serali.

Tale incentivo ha già avuto un importante effetto indotto: il gruppo tedesco Sonnen ha insediato ad Adelaide un impianto di produzione di batterie domestiche, con un programma di assunzione di 430 dipendenti entro la fine del 2019. Il programma è stato appena riconfermato, in seguito all’acquisizione di Sonnen da parte del gruppo Shell, annunciata all’inizio di febbraio 2019.

Un ultimo importante capitolo è costituito dalle iniziative nel settore delle cellule a combustibile e idrolizzatori per la produzione di idrogeno. 

Anche in questo caso, si tratta di una strategia per immagazzinare e valorizzare lo sfasamento tra la produzione di energia fotovoltaica e solare e l’effettivo fabbisogno della rete.

Nonostante la recente enfasi nei confronti del tema della sostenibilità, non vi sono invece esempi di bioraffinerie o di valorizzazione di residui, ad esempio dall’industria alimentare. L’approccio più comune è quello dell’export di commodity a basso valore aggiunto, senza trasformazione locale.

Infine, dal punto di vista del sostegno all’innovazione, lo schema più efficace per il supporto dell’innovazione è quello federale, grazie al quale tutte le imprese registrate in Australia, con un fatturato inferiore a 13 milioni di euro (AUD 20 milioni), hanno diritto al risarcimento in contanti del 43,5% di quanto spendono in ricerca e sviluppo.”

 

Qual è la percezione da parte dell’opinione pubblica della bioeconomia e delle biotecnologie?

“Per quanto riguarda la bioeconomia, purtroppo il dibattito qui è molto meno acceso di quanto lo sia in Europa. Nel settore delle biotecnologie, la presenza dell’incentivo descritto precedentemente per il rimborso delle spese di ricerca e sviluppo, ha aiutato molto lo sviluppo di iniziative imprenditoriali e l’attrazione di investimenti da parte di imprese biotecnologiche internazionali, che – relativamente al settore della salute – in Australia vengono a svolgere la loro ricerca clinica.

L’incentivo infatti è reso disponibile anche ad imprese straniere, purché costituiscano una ragione sociale in Australia.”

 

Che cosa rende l’Australia più o meno competitiva rispetto a Stati Uniti e Europa nei settori più innovativi come la bioeconomia?

“Per quanto ho modo di osservare, l’Australia oggi è in posizione di vantaggio competitivo grazie ai generosi incentivi alla ricerca e alla agilità del suo sistema regolatorio, strutturato in modo semplice e veloce. 

A titolo di esempio: in Australia il tempo necessario per ottenere le autorizzazioni a procedere per un first in human clinical trial di un farmaco biotecnologico, può essere di sole sei settimane, contro i nove mesi mediamente necessari per ottenere una analoga approvazione dalla EMA in Europa o dalla FDA negli USA.

Oltre a questo esiste una buona qualità della ricerca scientifica e l’accesso al mercato dei capitali è relativamente facile, soprattutto per quanto riguarda la prima quotazione in borsa.

Di contro, l’Australia certamente sconta la distanza geografica dai principali mercati, la scarsa competizione e la minore cultura imprenditoriale nell’ambito della ricerca, che rendono complicato anche il trasferimento tecnologico e le collaborazioni industriali. Non secondaria alla distanza geografica, nel rendere il paese meno competitivo, è anche la dimensione ridotta del mercato interno, condizionato dal fatto che la popolazione è di soli 25 milioni di abitanti.”

 

 

Health Industries, http://healthindustries.sa.gov.au

 


  

Intervista a Tony Duncan
di M. B.

Co-fondatore e CEO di Circa Group, Tony Duncan è direttore di Circa Sustainable Chemicals.

 

La via australiana verso la decarbonizzazione

 

Tony Duncan è co-fondatore e CEO di Circa Group, l’azienda di biotech australiana che converte biomasse di scarto in materiali biochimici avanzati. In questa intervista a Materia Rinnovabile Duncan delinea i punti di forza e le debolezze della bioeconomia australiana e indica cosa Circa Group ha pianificato relativamente allo sviluppo dell’industria chimica per la lavorazione di materiali biologici.

 

Quali sono i punti di forza e i punti deboli della bioeconomia australiana?

“Le iniziative legate alla bioeconomia australiana hanno incluso una grande varietà di sviluppi, come ci si aspetterebbe da un paese che possiede una quantità considerevole di risorse naturali. Nonostante i numerosi successi nel settore delle industrie tradizionali legate alla bioeconomia (silvicoltura e agricoltura), la commercializzazione delle tecnologie più recenti è stata limitata.

Dal punto di vista governativo, ci si è concentrati su specifiche opportunità su larga scala relative all’energia (per esempio l’eolico, il solare, il sequestro e stoccaggio del carbonio – carbon capture and storage, CCS), parallelamente ai finanziamenti in corso per la ricerca nelle Università. Nel settore industriale gli incentivi per Ricerca e Sviluppo rappresentano un elemento molto importante. Contribuiscono allo sviluppo di nuove tecnologie e sono stati fondamentali per la costruzione dell’impianto pilota di Circa. Altre iniziative federali e statali hanno contribuito nel corso degli anni, sebbene spesso dipendessero dall’agenda dei governi.

Detto questo, abbiamo la sensazione che il governo stia diventando sempre più consapevole della necessità di una pianificazione a lungo termine in questo settore e del crescente bisogno di equilibrare meglio gli incentivi per la commercializzazione e per la ricerca”.

 

Qual è il ruolo di Circa Group nella bioeconomia? Che progetti avete per il futuro?

“Circa Group ha iniziato a produrre Cyrene in un primo impianto pilota dimostrativo su larga scala FC5 (una joint venture con Norske Skog), fornendo prove commerciali di questo solvente e garantendo la credibilità delle forniture presso acquirenti e ricercatori in tutto il mondo. Ora il nostro prossimo obiettivo è pianificare un aumento di scala con un impianto FC6 su scala commerciale.

Cyrene, prodotto utilizzando biomasse sostenibili non alimentari, è uno dei pochi nuovi solventi aprotici polari sul mercato. È in competizione con i solventi tradizionali come NMP, DMF, DMSO e possiede anche alcune proprietà uniche che possono costituire un prezioso elemento di differenziazione in certe aree. Per esempio, le ricerche condotte recentemente dalla University of York e da CSIC Madrid hanno rilevato che Cyrene ha ottenuto la migliore dispersione di grafene mai registrata; anche rispetto al NMP, un solvente il cui uso viene sempre più limitato e che compare attualmente nella lista dell’Ue delle sostanze estremamente preoccupanti (Substances of Very High Concern, SVHC). Questo fatto ha delle implicazioni commerciali ad ampio raggio, dato che rende possibili opportunità di mercato del valore di molti milioni di euro di utilizzare il grafene in applicazioni come composti e polimeri avanzati, rivestimenti, batterie e materiali stampati in 3D.

Studi più recenti eseguiti in Gran Bretagna dal National Institute of Graphene e dalla University of Manchester hanno ulteriormente migliorato le scoperte iniziali relative al Cyrene. Ora stiamo valutando le opportunità di applicare direttamente inchiostri al grafene a materiali come tessuti e carta, così come usarlo in diverse applicazioni relative a transistor, sensori, antenne, targhette di identificazione delle radiofrequenze (RFID tag) e apparecchi elettronici indossabili.

Recentemente abbiamo avuto l’autorizzazione della European Chemicals Agency (ECHA) di produrre o importare fino a 100 tonnellate all’anno di Cyrene nell’UE, dopo aver ricevuto l’approvazione REACH Annex VIII. Il nostro prossimo obiettivo è la registrazione del Cyrene negli Stati Uniti e in altre giurisdizioni.

Infine, continueremo a ricercare altre applicazioni di grande valore per il Cyrene poiché crediamo che il suo potenziale non sia ancora stato pienamente esplorato. Per esempio siamo a conoscenza di progetti in corso in cui viene sperimentato come solvente con cui produrre resine epossidiche ad alte prestazioni, membrane per il filtraggio dell’acqua e ingredienti farmaceutici attivi – per citarne solo alcuni”.

 

Sembra che in Australia ci sia una mancanza di specifiche strategie governative sulla bioeconomia. Quali benefici porterebbe un piano governativo onnicomprensivo?

“Come già accennato, la politica sulla bioeconomia in Australia trarrebbe vantaggio da una maggiore connessione, dato che molte iniziative politiche sono più regionali, come la strategia ‘Building a Bioeconomy in South Australia 2011-2015’. Recenti politiche si sono anche focalizzate sul fronte dell’economia biobased legato alla bioenergia. 

Una strategia di bioeconomia onnicomprensiva aiuterebbe il governo federale australiano a raggiungere molti dei suoi obiettivi relativi alle politiche, come migliorare la sicurezza alimentare, ridurre l’impronta di carbonio dell’industria e favorire la transizione verso l’abbandono dei combustibili fossili e usare di più materie prime sostenibili”.

 

Quanto è rilevante il ruolo delle industrie dell’agricoltura e della silvicoltura nella bioeconomia australiana? E quanto lo è il ruolo giocato dalla chimica verde?

“Silvicoltura e agricoltura sono industrie fondamentali in Australia, e contribuiscono sostanzialmente alla ricchezza del paese che è stata tradizionalmente biobased. Queste industrie comprendono, per esempio, la bioenergia, l’industria casearia, quella del grano, della carta prodotta da fibre vegetali e della produzione di packaging. Le politiche sono sempre più focalizzate sulla biotecnologia industriale come strumento per abbandonare le materie prime derivate dal petrolio e passare a biomasse rinnovabili.

In Australia manca un’industria tradizionale su larga scala per la produzione di sostanze chimiche al di fuori dell’industria mineraria, del petrolio e del gas, e delle sostanze chimiche usate in agricoltura. Il governo federale non ha ancora capito come gestire questo settore. Inoltre, sebbene siano presenti molti eccellenti gruppi di ricerca nelle università, essi sono spesso relativamente piccoli – con un supporto industriale limitato – rispetto a quelli in paesi come Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna o Francia”.

 

Senza la collaborazione della popolazione è davvero difficile decarbonizzare veramente. Qual è l’opinione dei cittadini australiani sulla bioeconomia? Ci sono piani per l’istruzione e la formazione?

“Sono sicuro che non sia un problema solo australiano, l’opinione pubblica su questo argomento è divisa. Però stando alla nostra esperienza l’accettazione di nuove tecnologie più sostenibili da parte dei cittadini sta crescendo rapidamente (prendete per esempio gli impianti fotovoltaici). L’Australia è un paese molto soggetto agli eventi meteorologici estremi e, generalmente, le tecnologie che contribuiscono a mitigarne gli effetti vengono favorite. Abbiamo rilevato che la consapevolezza della popolazione riguardo alla bioeconomia in Australia – e globalmente – è spesso legata all’interesse verso le industrie sostenibili. Il lavoro di Circa ha generato un grande interesse in Australia perché la sostenibilità sta diventando sempre più mainstream”.