Ogni anno nel Regno Unito dai rifiuti vengono recuperate materie secondarie ed energia per un valore pari a circa 15 milioni di sterline (17,70 milioni di euro), che però in larga parte prendono il volo. Infatti nonostante il paese sia un importatore di materie prime ed energia, ogni anno esporta circa il 50% (tra 12 e 14 milioni di tonnellate) dei materiali ottenuti da riciclo e il 90% dei cdr (combustibili derivati dai rifiuti), che vanno a saturare l’eccesso di potenza degli inceneritori installati nei paesi Ue. E il puzzle annuale dell’export si completa con altri 4 milioni circa di tonnellate di css (combustibile solido secondario) indirizzati ai cementifici d’oltremanica. 

Questi i dati contenuti nello studio A Resourceful Future - Expanding the UK Economy che Eunomia Research & Consulting – una società di consulenza economico-ambientale – ha prodotto per l’impresa SUEZ Recycling and Recovery UK, proponendo un piano integrato di interventi a favore dell’uso efficiente delle risorse, che consentirebbe di ottenere benefici in campo economico, occupazionale, ambientale e di riduzione delle emissioni di gas serra. 

“L’odierno stato dell’arte dell’economia circolare nel Regno Unito non è però riconducibile a un quadro omogeneo”, precisa Dominic Hogg, presidente di Eunomia, un autentico esperto di livello internazionale in progetti multidisciplinari di gestione dei rifiuti con in tasca una laurea ad honorem in fisica dell’Università di Oxford e un PhD in economia dello sviluppo tecnologico dell’Università di Cambridge. “Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra stanno infatti realizzando politiche specifiche molto diverse tra loro” puntualizza Hogg. “Il governo gallese, in particolare, ha lavorato in stretta collaborazione con le amministrazioni locali e le imprese per sviluppare un nuovo approccio alle attività di riciclo e migliorarne le performance, mentre in Scozia, dove l’incremento delle percentuali di riciclo è meno significativo, il governo sta mettendo in campo interessanti iniziative rivolte all’industria per sostenerne l’impegno ad adottare misure in linea con l’economia circolare.” 

 

In dettaglio, qual è la situazione in Galles e in Scozia?

“In Galles, in materia di rifiuti solidi urbani, il governo ha avviato un programma di supporto tecnico per i Comuni, aiutandoli nell’acquisto di impianti per il trattamento anaerobico dei rifiuti organici e nella diffusione di buone pratiche per la raccolta degli rsu. L’obiettivo è incrementare la qualità delle frazioni raccolte separatamente e le percentuali di riciclo. Queste politiche hanno portato la raccolta differenziata degli rsu a superare il 60% in tutto il paese. Per quanto riguarda la Scozia, Zero Waste Scotland, movimento legato al governo locale, spinge a favore dell’introduzione di misure in linea con l’economia circolare attraverso un programma specifico rivolto alle pmi. Inoltre ha promosso degli studi specifici di settore per valutare come rendere più circolari i comparti produttivi più importanti nel paese.”

 

Per esempio?

“Nel settore del gas naturale e delle piattaforme per l’estrazione del petrolio realizzate nel Mare del Nord si sta studiando cosa fare in futuro di tutte queste infrastrutture. Così come si cerca di introdurre i principi dell’economia circolare nel settore edilizio. Glasgow, in particolare, ha dichiarato di voler diventare una città dell’economia circolare, per cui si stanno esaminando i flussi di materia locali. In Scozia stanno sorgendo molte fondazioni finalizzate a sostenere l’economia circolare. Dunque la situazione è davvero interessante, a parte il settore degli rsu dove, come ho già detto, la situazione non è così positiva come in Galles ed evolve più lentamente.” 

 

E in Inghilterra come definirebbe lo stato dell’arte dell’economia circolare?

“Disperato (ride)! Il governo ha perso ogni interesse, la situazione è davvero deludente e ha riflessi sull’intero paese. Vivo in Inghilterra, presiedo una società di consulenza: con l’attuale governo penso che non avremo molto lavoro nei prossimi anni. Per lo più cerchiamo di aiutare le amministrazioni locali a non abbassare il livello di qualità dei servizi in un contesto finanziario decisamente critico a causa della riduzione delle risorse che vengono allocate dal governo, risorse che nei bilanci municipali dei comuni inglesi in buona parte coprono le spese di gestione dei rifiuti e che sono destinate in futuro a subire ulteriori tagli. Molte organizzazioni si battono a favore dell’economia circolare, ma non disponiamo di politiche nazionali coerenti a sostegno di questo obiettivo: il governo centrale mostra un interesse molto tiepido a riguardo e scarica sulle imprese l’onere di realizzare gli interventi necessari. Un provvedimento a livello di Regno Unito ha però colto nel segno e ha avuto grande successo: l’introduzione della tassa sui conferimenti in discarica.” 

 

A quanto ammonta la tassa?

“Premesso che le discariche da noi sono gestite quasi esclusivamente da privati, e che questi applicano mediamente una tariffa di circa 30 euro a tonnellata, la tassa è intorno ai 100 euro a tonnellata, per cui si arriva a 130 euro complessivi.”

 

Quali vantaggi porta questa misura? 

“Ho studiato a fondo i sistemi di gestione dei rifiuti di molti paesi europei e sono fermamente convinto che sia molto meglio introdurre una tassa elevata sul conferimento in discarica piuttosto che mettere fuorilegge questi impianti, come invece hanno fatto Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia. La messa al bando delle discariche porta a sovradimensionare la potenza di incenerimento installata. Da noi questa sovra-capacità non c’è. Per cui penso che i paesi che, al contrario, ce l’hanno, siano molto grati al Regno Unito che ha mantenuto in funzione le discariche, altrimenti non avrebbero rifiuti da bruciare, a parte quelli che arrivano dall’Italia (ride).”

 

Cosa pensa della gerarchia europea dei rifiuti che, al contrario, vede la combustione con recupero energetico precedere il conferimento in discarica? 

“Da diverse analisi che ho condotto sul rapporto costi/benefici non è mai emerso che i costi aggiuntivi richiesti dall’incenerimento dei rifiuti siano giustificati dall’ottenimento di benefici aggiuntivi. Ed è questo uno dei motivi per cui ritengo che il Regno Unito ha fatto bene a non mettere al bando le discariche. Del resto, se si intende imboccare la strada che porta all’economia circolare, l’obiettivo prioritario deve essere il riciclo di materia dicendo addio alle discariche e agli inceneritori. Ovvero alle due opzioni collocate in fondo alla gerarchia europea dei rifiuti che costano denaro, non permettono di fare grandi guadagni e portano alla perdita di materia. La gerarchia europea oggi andrebbe messa in discussione: funzionava in passato, quando l’incenerimento dei rifiuti andava a sostituire la produzione di elettricità generata negli impianti a carbone, petrolio o gas. Ma oggi la situazione è cambiata: la produzione di energia viene sempre più dirottata verso l’impiego di fonti a basso contenuto di carbonio. Al contrario, bruciare rifiuti comporta l’emissione di gas serra al pari di qualsiasi altro processo di combustione; né sarà più possibile compensarle con l’eliminazione dei gas serra prodotti dalle centrali a carbone perché nel Regno Unito stiamo per vietarne l’impiego. Quindi non si potrà più sostenere che bruciare i rifiuti consente di non dover bruciare carbone.”

 

A parte le sue critiche alla gerarchia dei rifiuti, pensa che il quadro normativo europeo abbia contribuito a rendere più circolari le politiche dei rifiuti del Regno Unito? 

“Indubbiamente ha esercitato un’influenza positiva: senza la direttiva-quadro sui rifiuti e le direttive sugli imballaggi, le discariche e le apparecchiature elettriche ed elettroniche penso che oggi non ricicleremmo più del 5% degli rsu. Per anni avevamo suggerito target di riciclo, ma non disponevamo di misure efficaci per raggiungerli. Il messaggio che era una buona cosa rispettare quegli obiettivi, indipendentemente dal fatto che fosse l’Europa a imporcelo (ride), è stato recepito nella fase conclusiva dell’ultimo governo laburista quando, sull’onda dei benefici che si cominciavano a intravvedere dall’incremento delle quote di riciclo e da una migliore gestione dei rifiuti, è stato avviato nel Regno Unito il primo sistema realmente nazionale di gestione dei rifiuti, in parziale autonomia rispetto ai dettami stessi dell’Europa. Ma poi la situazione è cambiata. Il successivo governo di coalizione ha ripreso a sollevare le stesse domande di più di dieci anni prima, mentre l’odierno governo inglese non mostra alcun interesse per queste politiche, con l’aggravante di avere un impatto sul Regno Unito nel suo complesso.” 

 

La Brexit potrebbe pesare negativamente sullo sviluppo futuro delle politiche di gestione dei rifiuti?

“Penso di sì. Il problema è che questo settore è strettamente influenzato dalle politiche regolative vigenti. Senza obblighi di legge, finiscono per prevalere le soluzioni di smaltimento più a buon mercato, con l’aggiunta del rischio delle attività illegali, che sono aumentate negli ultimi dieci anni. La tassa sul conferimento in discarica ha avuto successo, ma questo genere di provvedimenti apre le porte anche alla possibilità di far soldi tramite attività criminali per evitare di pagare le imposte, un problema serio che finora non abbiamo affrontato adeguatamente.”

 

Cosa bisognerebbe fare per migliorare le performance nella gestione dei flussi di materia nel Regno Unito e non solo?

“Nel corso degli anni Eunomia ha presentato parecchie proposte. In relazione alla gestione convenzionale dei rifiuti, per esempio, riteniamo sarebbe auspicabile l’introduzione di una tassa sull’incenerimento a supporto di quella già esistente sulle discariche. Per modificare in meglio i comportamenti dei consumatori vorremmo che fosse introdotto un sistema di depositi cauzionali sui contenitori per bevande e un’imposta sugli articoli usa-e-getta, come quella sulle buste di plastiche già in vigore, con grande successo, in tutto il Regno Unito. Un’altra misura importante è il prolungamento, per legge, della durata delle garanzie sugli elettrodomestici ‘bianchi’ durevoli, come frigoriferi e lavatrici. E bisognerebbe introdurre una sorta di deposito cauzionale sui piccoli elettrodomestici, come i tostapane per esempio, che oggi qui da noi sono venduti a prezzi stracciati, sui 10 euro o anche meno; ma proprio perché costano così poco, sono di scarsissima qualità e si rompono velocemente, spesso nel periodo di durata della garanzia. La gente tuttavia se ne infischia della garanzia e, visto che costano così poco, invece di farseli sostituire, ne compra di nuovi. Per questo l’imposizione di un deposito potrebbe spingere le persone a riportarli al negozio, consentendo così di avviarli a un corretto processo di recupero dei materiali, invece di finire nel bidone della spazzatura indifferenziata.” 

 

Per la gestione dei rifiuti ingombranti che proposte fate?

“Una riguarda i mobili di seconda mano, che si possono restaurare in centri appositi per migliorarne l’aspetto e la qualità, riportandoli il più possibile allo stato iniziale di bene nuovo, per rivenderli poi a un prezzo superiore rispetto ai mobili usati proposti nello stato di fatto in cui si trovano. È una modalità di recupero che ha mercato nel Regno Unito, dove operano già parecchie ditte molto abili in questo genere di lavorazioni grazie anche agli investimenti che sono stati fatti per affinare le tecniche di restauro.” 

 

Nel settore delle costruzioni cosa avete suggerito?

“Per ridurre la produzione di rifiuti nel settore edile, si potrebbe introdurre una ‘cauzione’ che funge da una forma di risarcimento per inadempienza per incentivare una migliore gestione dei rifiuti. Funzionerebbe nel seguente modo: nella fase di progettazione, la ditta sviluppa un piano per la gestione dei rifiuti che specifica gli obiettivi relativi al riutilizzo e al riciclo. All’inizio del progetto, viene pagata una cauzione alle autorità pubbliche competenti. Se la ditta raggiunge gli obiettivi, le verrà rimborsato il deposito per inadempienza pagato nella fase progettuale, decurtato degli esigui costi amministrativi; se non vengono raggiunti, perderà parte della cauzione (in relazione al divario tra obiettivo e risultato reale). Il sistema potrebbe fungere da incentivo per realizzare progetti edili orientati, sin dalla fase progettuale, a minimizzare i rifiuti e massimizzare il riciclo dei rifiuti generati. Nei progetti pubblici, i processi di gare di appalto potrebbero fissare target di riciclo molto elevati. Tale misura viene già adoperata in molte parti degli Usa e del Sudest asiatico con risultati soddisfacenti.”

 

In materia di creazione di nuova occupazione cosa dicono gli scenari che avete elaborato? 

“Ci sono molte organizzazioni, come la Zero Waste Scotland, e società di consulenza, come Eunomia, che hanno prodotto analisi e documenti che mostrano il legame positivo tra l’economia circolare, l’efficienza delle risorse e la creazione di nuovi posti di lavoro. Però sono convinto che senza un cambiamento nella strategia industriale del governo questi obiettivi non potranno essere raggiunti. Motivo per cui molti addetti, che sono convinti dei benefici per l\'occupazione, sono abbattuti per via dell’inattività del governo e vedono la strategia industriale come un meccanismo fondamentale per fare passi avanti in Inghilterra. Purtroppo, la strategia industriale non pone un accento sufficientemente marcato sull’economia circolare.” 

 

 

Centro di ricerche Eunomia, www.eunomia.co.uk

A Resourceful Future – Expanding the UK Economywww.eunomia.co.uk/reports-tools/a-resourceful-future-expanding-the-uk-economy