La questione del cambiamento climatico è diventata negli ultimi anni una priorità della politica internazionale, che riguarda scelte, tra le altre, di natura energetica, di sviluppo industriale, di finanza e sicurezza, e quindi non solo di natura ambientale. Oggi l’urgenza e la complessità della sfida richiedono l’integrazione e la revisione di una molteplicità di politiche, ben oltre quelle di competenza del Ministero dell’Ambiente.
Questo vale anche per la
diplomazia. Identificare il cambiamento climatico come una priorità di politica estera significa attrezzarsi per rappresentare un paese nei sempre più innumerevoli tavoli internazionali, trovare compromessi, convincere i paesi restii a fare passi avanti, supportare lo sviluppo sostenibile di tutti e in ultima istanza proiettare e difendere gli interessi nazionali sullo scacchiere internazionale.

La diplomazia italiana ha un grande potenziale inespresso di rappresentare l’interesse pubblico nazionale e contribuire all’azione climatica globale. Tuttavia, di fronte all’urgenza della sfida climatica, è indispensabile un potenziamento della diplomazia, in modo simile a quanto già messo in atto dai partner G7. La Presidenza italiana del G7 del 2024 può diventare l’occasione giusta. Per questo è necessario, da un lato, una più forte presa di coscienza della centralità del tema per la sicurezza e gli interessi del paese da parte della politica. Dall’altro, il corpo diplomatico deve dotarsi delle competenze e delle strutture necessarie per giocare un ruolo più forte sui tavoli internazionali.

La diplomazia climatica nei paesi G7

Nel 2010, gli Stati Uniti hanno riconosciuto – per la prima volta in un documento ufficiale – il cambiamento climatico come una minaccia per la sicurezza. Negli anni a seguire, con l’eccezione dell’Amministrazione Trump, sono seguite approfondite analisi del Dipartimento della Difesa, del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca – dotatasi di un ufficio dedicato al clima dal 2009 -, culminate in una revisione – in continuo aggiornamento – delle priorità della Strategia Nazionale di Sicurezza. L’ultima edizione, rilasciata in ottobre 2022, dichiara: “Tra tutti i problemi comuni che dobbiamo affrontare, il cambiamento climatico è il più grande e potenzialmente esistenziale per tutte le nazioni. Senza un’azione globale immediata in questo decennio cruciale, le temperature globali supereranno la soglia critica di 1,5 gradi Celsius. Superata questa soglia, avvertono gli scienziati, alcuni degli impatti climatici più catastrofici saranno irreversibili. Gli effetti del clima e le emergenze umanitarie non potranno che peggiorare negli anni a venire: dall’intensificarsi di incendi e uragani negli Stati Uniti alle inondazioni in Europa, dall’innalzamento del livello del mare in Oceania alla scarsità d’acqua in Medio Oriente, dallo scioglimento dei ghiacci nell’Artico alla siccità e alle temperature mortali nell’Africa subsahariana. Le tensioni si intensificheranno ulteriormente quando i Paesi si troveranno a competere per le risorse e i vantaggi energetici, aumentando i bisogni umanitari, l’insicurezza alimentare e le minacce alla salute, nonché il potenziale di instabilità, conflitti e migrazioni di massa. La necessità di proteggere le foreste a livello globale, di elettrificare il settore dei trasporti, di riorientare i flussi finanziari e di creare una rivoluzione energetica per evitare la crisi climatica è rafforzata dall’imperativo geopolitico di ridurre la nostra dipendenza collettiva da Stati come la Russia che cercano di usare l’energia come arma di coercizione.”

Il nesso tra clima e sicurezza è evidente. Il clima oggi è identificato come traino della geopolitica, dell’economia e della finanza.
Per questo, nel corso degli anni la diplomazia americana si è dotata di personale tecnico per seguire le questioni negoziali e capire i trend tecnologici. Gli stessi negoziati sono passati sotto la responsabilità e competenza del corpo diplomatico del Dipartimento di Stato. La nomina, nel 2020, di John Kerry, ex Segretario di Stato americano ed ex candidato alla Casa Bianca come Inviato presidenziale speciale per il clima, riflette il senso di questa priorità.

Un approccio simile è stato adottato nel Regno Unito, considerato il pioniere della diplomazia climatica. Il primo Rappresentante speciale per il clima, John Ashton, è stato nominato nel 2006 e rimasto in carica fino al 2012 sotto tre diversi Ministri degli esteri. Come per gli Stati Uniti, anche l’establishment di sicurezza e politica estera britannica ha dichiarato nella sua ultima revisione della strategia di sicurezza, difesa, sviluppo e politica estera che “nel 2021 e oltre, il Governo farà della lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità la sua priorità internazionale numero uno.” Come per gli Stati Uniti, anche il Regno Unito segue tutti i negoziati multilaterali, non solo quelli legati alla Convenzione ONU ma anche i processi G7 e G20, con una squadra integrata di diplomatici e tecnici, tra cui anche il diplomatico e Rappresentante speciale per il clima, Nick Bridge. Inoltre, il Regno Unito ha creato un fondo ad hoc per la diplomazia climatica che dal 2020 ad oggi ha messo a disposizione dell’apparato diplomatico 3,7 milioni di sterline. Già prima della COP26 di Glasgow, il corpo diplomatico britannico contava 20 diplomatici dedicati a tempo pieno alla questione climatica nelle sedi di Londra e oltre 100 diplomatici climatici dispiegati a tempo pieno nelle ambasciate.

A inizio 2022, la Germania, attraverso un’importante riorganizzazione interna delle competenze, ha spostato i tecnici competenti dei negoziati internazionali per il clima dal Ministero dell’Ambiente al Ministero degli Affari Esteri. Una nuova unità di tecnici e diplomatici è stata creata per la politica estera climatica, sotto il diretto controllo della Ministra degli esteri, elevando così al massimo livello politico le competenze del Ministero dell’Ambiente con quelle della macchina diplomatica tedesca. Questa unità è guidata dalla nuova Inviata speciale per il clima Jennifer Morgan, una figura di alto livello proveniente dalla società civile. Questo passaggio di competenze ha significato un passaggio di consegna tra ambiente ed esteri, per cui la Ministra tedesca degli esteri, Annalena Baerbock, oggi rappresenta la Germania nei negoziati climatici. La stessa Ministra ha annunciato che tutte le 226 missioni diplomatiche tedesche nel mondo dovranno diventare “ambasciate del clima”.

Dall’Accordo di Parigi della COP21 del 2015, presieduta da Laurence Tubiana allora Professoressa di Sciences Po e Direttrice del think tank per lo sviluppo sostenibile IDDRI, la Francia ha posto il clima al centro della sua politica estera. Varie iniziative al più alto livello si sono susseguite, come diverse edizioni del One Planet Summit presiedute dal Presidente Macron, ad indicare una forte sinergia tra il Ministero degli affari esteri e l’Eliseo. Dal 2020 è il diplomatico Stéphane Crouzat a guidare la diplomazia climatica come Ambasciatore francese per i negoziati sul cambiamento climatico, le energie rinnovabili e la prevenzione dei rischi climatici.
Per il
Canada, nell’estate 2022 Catherine Stewart è stata elevata al rango di Ambasciatrice per il clima dopo una lunga carriera come responsabile canadese dei negoziati internazionali. Il suo nuovo ruolo prevede, oltre a rappresentare il Canada in tutti i consessi internazionali, il coordinamento della diplomazia climatica delle ambasciate canadesi, fornire consulenza trasversali ai Ministeri degli affari esteri, dello sviluppo e del commercio, condurre iniziative mirate con i principali Paesi partner e sviluppare e gestire le relazioni con i principali opinion leader e stakeholder.

Il Giappone, pur non avendo una figura specifica di spicco come rappresentante per il clima, ha identificato nel 2018 il clima come questione di “fondamentale importanza” per il Ministero degli Affari Esteri per: “seguire le ultime tendenze in ogni paese, regione geografica e area tematica e rifletterle nella politica estera attraverso la creazione di un sistema intersettoriale all’interno del Ministero che ha perciò istituito una task force per la diplomazia del clima, al fine di rafforzare l’approccio intersettoriale all’interno del Ministero e promuovere la diplomazia del cambiamento climatico in modo più attivo ed efficace.”
Infine, già da qualche anno, anche la
Commissione europea si è dotata di un Ambasciatore per il clima presso il Servizio europeo per l’azione esterna. Oggi la carica è ricoperta da Mark Vanheukelen che descrive i tre compiti della diplomazia climatica europea come: “primo, convincere gli altri Paesi a intensificare i loro sforzi per il clima facendo leva sul potere dell’esempio, sul potere della borsa e sul potere del mercato interno; secondo, gestire la geopolitica della decarbonizzazione associata a una forte riduzione del consumo di combustibili fossili e all’aumento del consumo di materie prime necessarie per le tecnologie verdi; terzo, affrontare il nesso tra clima e sicurezza”.

E l’Italia?

L’Italia ha un potenziale enorme di diventare un attore chiave della politica climatica internazionale facendo leva sulla sua presenza nel G7 e del G20 – esemplare è stato il successo del G20 sotto Presidenza italiana del 2021 –, come una nazione fondatrice dell’Unione Europea e trainante come secondo paese manifatturiero e capacità di innovazione, come attore commerciale principale nel Mediterraneo e presente in molti paesi africani e non ultimo come importante donatore internazionale. Nel 2022 sono arrivati impegni importanti dalla COP27 di Sharm el-Sheikh e dal G20 di Bali: è stato presentato il Fondo italiano per il clima con una dotazione di oltre 4 miliardi al 2026 e l’Italia ha contribuito in maniera importante ai Fondi di decarbonizzazione dell’Indonesia e del Vietnam.
Tuttavia, e nonostante i passi avanti degli ultimi anni, i risultati rimangono parziali rispetto alle potenzialità del paese e alla capacità di influenza e partecipazione degli altri paesi G7. Infatti, manca ancora una strategia definita e personale dedicato per la diplomazia climatica, al netto del lavoro cruciale portato avanti dal personale del
Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), che finora ha guidato l’Italia al tavolo dei negoziati internazionali in particolare in sede ONU, G7 e G20. Al momento, il MAECI non prevede diplomatici dedicati a tempo pieno per la diplomazia climatica né una struttura dedicata. Il tema è seguito da vicino dalla Direzione Generale per la mondializzazione e le questioni globali ma senza quel mandato e quella “potenza di fuoco” equiparabili a quelli degli altri paesi G7.

Difficilmente la situazione può cambiare senza un mandato per una riorganizzazione dal livello politico. Senza una maggiore consapevolezza politica e un rafforzamento delle strutture il rischio è che l’Italia non sia sufficientemente equipaggiata e quindi in grado di seguire i diversi tavoli internazionali che si stanno aprendo.

Parte di questo deficit è da ricercare nell’assenza di priorità del tema clima all’interno della politica. Ciò, nonostante l’opinione pubblica italiana sia tra le più preparate e desiderose di più azione per il clima (si veda a riguardo la mappatura degli elettori verso il tema e il confronto internazionale, in cui gli italiani spiccano tra i paesi G20 per sensibilità). Inoltre, nonostante i crescenti impatti e gli ormai evidenti nessi con la sicurezza, l’economia e la finanza, il clima non fa ancora parte del pensiero di politica estera della classe politica. Quest’ultima lo identifica come una generica sfida globale, tuttalpiù all’interno di un quadro di azione europea.

Manca quindi sia la consapevolezza della minaccia per la sicurezza nazionale, derivante soprattutto dalla posizione geografica al centro del Mediterraneo identificato dagli scienziati come un punto nevralgico (“hotspot”) del clima, sia un senso dell’urgenza di agire per limitare le emissioni. Manca inoltre il nesso fondamentale con l’energia: le scelte di sicurezza energetica – queste sì ampiamente al centro della politica estera italiana – rimangono scollegate dalle loro implicazioni per il clima e per la stabilità dei paesi fornitori di combustibili fossili in un momento di profonda trasformazione.

Di conseguenza, la politica estera italiana naviga troppo spesso senza una direzione o in supporto di specifici interessi economici senza chiedersi se questi coincidano o meno con l’effettivo interesse pubblico.

Il primo e finora unico tentativo di iniziare un percorso di rafforzamento del ruolo diplomatico dell’Italia è stato iniziato sotto il Governo Draghi con la nomina dell’Inviato speciale per il clima del diplomatico Alessandro Modiano. Ricoprendo anche il ruolo di Direttore per le questioni climatiche internazionali ed europee presso il MASE, l’Inviato ha avuto modo di lavorare da vicino con il personale dedicato ai negoziati internazionali, guidati da Federica Fricano. Ciò ha consentito di portare avanti e difendere sui tavoli internazionali i risultati della Presidenza italiana del G20 del 2021 – durante un anno, il 2022, che ha visto un susseguirsi di crisi – e coordinare in modo efficace l’azione dell’Amministrazione Pubblica, da Palazzo Chigi al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). A dimostrazione dell’importanza di unire le competenze tecniche con quelle diplomatiche, cruciali per difendere e rappresentare l’interesse nazionale e ottenere risultati ambiziosi in campo internazionale. Da fine 2022, il mandato dell’Inviato speciale non è stato rinnovato e vi è incertezza rispetto al futuro di questa posizione.

Una nuova struttura dedicata per la diplomazia climatica

Cosa si potrebbe dunque fare per aumentare la capacità di azione diplomatica dell’Italia in vista dei prossimi appuntamenti internazionali in cui l’Italia è chiamata a giocare un ruolo da protagonista?
Un’opzione per rafforzare e sfruttare al meglio il sistema della diplomazia italiana può essere quella di dotare il MAECI di una struttura dedicata con il mandato di sviluppare e attuare
una strategia di diplomazia climatica per l’Italia.
Questa struttura, guidata da un/a Ambasciatore/Ambasciatrice per il clima che riporti direttamente al/la Ministro/a, dovrà operare su tre livelli:

- Un primo livello, all’interno del MAECI stesso, per consentire che tutte le Direzioni di Roma e le Ambasciate nel mondo integrino la dimensione climatica nei loro lavori, anche aumentando il personale dedicato nelle sedi chiave. La politica estera e di cooperazione internazionale deve diventare politica attiva per il clima, ovvero tutte le scelte devono essere valutate rispetto all’allineamento degli obiettivi climatici e per il loro impatto sui paesi terzi, giudicando se e come queste azioni incentivino o meno la transizione e la resilienza dei paesi. Gli obiettivi climatici dovrebbero essere integrati in modo trasversale a tutta la cooperazione italiana, sia quella indirizzata dal MAECI che quella di competenza del MASE. La cooperazione allo sviluppo necessita anche di una revisione della propria governance e un aggiornamento delle linee guida settoriali dell’Agenzia Italiana per Cooperazione allo Sviluppo (AICS) sul clima.

- Un secondo livello di coordinamento intra-governativo, ovvero uno spazio di raccordo tra tutti i Ministeri e Palazzo Chigi, per assicurare coerenza e integrazione delle politiche. Ciò significa assicurarsi che gli obiettivi climatici siano integrati in tutte le strategie e politiche di difesa e sicurezza, di politica energetica, commerciale, finanziaria, agricola etc. Queste dovrebbero aiutare anche a formare una posizione forte dell’Italia nei vari Consigli europei. Questa funzione potrebbe essere ricoperta da una figura dedicata esclusivamente alla coerenza intra-governativa delle politiche slegata quindi da compiti di proiezioni esterna.

- Un terzo livello è quello di rappresentare gli interessi dell’Italia su tutti i tavoli internazionali, portare avanti i negoziati e preparare gli incontri dei Ministri e del/la Presidente del Consiglio. L’Ambasciatrice/Ambasciatore per il clima, che potrà essere scelta/o anche esternamente all’Amministrazione Pubblica come personalità o esperta/o di alto livello con le competenze necessarie, dovrà lavorare per identificare soluzioni per risultati ambiziosi alle COP, nel G7 e nel G20. Avrà il compito di supervisionare i negoziati con tutti i paesi, dai più ai meno ambiziosi, su temi legati al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi; assicurare il supporto necessario, anche attraverso il nuovo Fondo italiano per il clima, per la transizione, l’adattamento e la resilienza dei paesi emergenti e vulnerabili, incluso quello per le perdite e i danni; e curare le relazioni e l’offerta politica sia a livello Ministeriale che di Capi di Stato.

Per operare efficacemente e avere impatto, questa nuova struttura necessita di personale dedicato sia di natura più tecnica, in prestito ad esempio dal MASE e dal MEF, e facendo anche leva su expertise esterne all’Amministrazione Pubblica, sia con le capacità diplomatiche. La struttura dovrà inoltre munirsi di esperti di comunicazione come strumento indispensabile di diplomazia pubblica e visibilità esterna. Tutto questo dovrà essere finanziato con risorse sufficienti per permettere lo svolgimento delle funzioni tecniche di analisi, delle missioni, di comunicazione e di coinvolgimento degli stakeholder.

L’Italia può e deve giocare un ruolo più forte sul clima attraverso una politica estera che dia priorità alla sfida più grande e complicata del XXI secolo, soprattutto nei paesi dell’area del Mediterraneo e in Africa e sui tavoli multilaterali, a partire dal ruolo di Presidenza del G7 del 2024. Ma per farlo servono più consapevolezza della classa politica e strutture con maggiori figure professionali dedicate e adatte allo scopo.

Questo articolo è stato pubblicato sul sito eccoclimate.org

Immagine: International Space Station (Pixabay)