Sicurezza alimentare, acqua, controllo del ciclo dei gas serra, mantenimento della biodiversità: sono tutti servizi ecosistemici che dipendono dalla salute del suolo. Eppure, oggi, non esiste nessun terreno sul Pianeta che non sia contaminato da qualche agente potenzialmente inquinante. Ne abbiamo parlato con Natalia Rodriguez Eugenio, pedologa, consulente della Global Soil Partnership della FAO e autrice del report “Soil pollution: a hidden reality” pubblicato nel 2018 in occasione del Simposio globale sull’inquinamento del suolo.

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Qual è la differenza fra contaminazione e inquinamento del suolo?
L’inquinamento del suolo la presenza di contaminanti la cui natura, posizione o quantità producono effetti indesiderati sull’ambiente e sulla salute. Si definisce contaminante ogni sostanza, composto o elemento chimico alieno per l’ambiente in cui è stato introdotto o, nel caso sia invece endemico, presente in una concentrazione tale da essere dannoso.
Mentre per
contaminazione di intende la mera presenza di contaminanti nel suolo, l’inquinamento si riferisce invece agli effetti dannosi da essi causati. Perciò non è detto che un suolo contaminato richieda un intervento di bonifica, piuttosto un monitoraggio per capire se si verifichino effetti negativi. Nel caso di un terreno inquinato è invece necessaria una bonifica urgente o altri interventi per controllare, ridurre o eliminare gli effetti dannosi.

Quali sono i principali elementi inquinanti e le loro fonti?
La quantità di sostanze chimiche di sintesi nell’ambiente è oggi sconcertante. Nel 2017 sono stati prodotti nel mondo 2,3 miliardi di tonnellate di agenti chimici, il doppio rispetto al 2000. Ma non è solo la chimica di sintesi a costituire un rischio per l’ambiente e la salute umana. Anche elementi e composti che si trovano in natura, come piombo, mercurio, arsenico, cadmio, altre terre rare, l’asbesto e radionuclidi come il radon.
Le fonti di queste sostanze sono molteplici e vanno da attività industriali – le più diverse, dalla produzione di energia alla tintura dei vestiti – a estrazioni minerarie, agricoltura, trasporti. Ma anche le attività quotidiane e domestiche, come fare il bucato o usare un insetticida, possono essere fonte di contaminanti per il suolo.

C’è una fonte a cui si pensa di rado: la guerra…
Infatti. Come segnala l’ITPS (Intergovernmental Technical Panel on Soils) nel report “Status of the World's Soil Resources”, le guerre della nostra epoca utilizzano armi non degradabili e agenti chimici che possono rimanere nel terreno per secoli dopo la fine di un conflitto. Gli impatti dei conflitti armati possono essere diversi: sversamenti di petrolio accidentali o causati intenzionalmente, il rilascio di microelementi dai proiettili e dalle mine antiuomo man mano che si deteriorano nel terreno, la dispersione di grandi quantità di sale e pesticidi su terreni coltivabili per impedire al nemico di produrre cibo. Ma la contaminazione non si ferma ai periodi di guerra. I test sulle bombe atomiche, ad esempio, hanno lasciato in eredità molti territori contaminati dalla radioattività, soprattutto in alcune isole del Pacifico. Infine, anche nelle zone di esercitazione militare o nei poligoni di tiro il suolo viene in genere contaminato.

Che incidenza hanno i pesticidi come contaminanti del suolo?
Sin dalla prima metà del XX secolo, l’industria dei pesticidi ha sviluppato più di 800 sostanze oggi commercializzate in tutto il mondo. l’utilizzo di pesticidi continua a crescere in tutti i continenti, anche se con una certa disparità: da una crescita, fra il 2000 e il 2017, di circa l’8% in Europa fino all’84% dell’Oceania e al 104% del Sud America. Sebbene il database di FaoStat abbia un inventario di tutti i pesticidi usati nei vari paesi, la quantità accumulata nel suolo è incerta. Vari studi hanno dimostrato che molti di questi pesticidi organici persistono nell’ambiente; alcuni sono già stati messi al bando e inclusi nella Convenzione di Stoccolma sugli Inquinanti Organici Persistenti, mentre per altri non ci sono ancora prove sufficienti degli impatti.

Quali sono oggi i cosiddetti inquinanti emergenti?
I contaminanti emergenti sono sostanze chimiche sintetiche o presenti in natura che non sono solitamente intercettate nell’ambiente, per le quali non esistono valori guida, ma che potenzialmente possono causare effetti dannosi, già noti o sospettati, sull’ambiente o sulla salute. Non sono necessariamente composti chimici nuovi. Può trattarsi di sostanze presenti già da tempo nell’ambiente, ma la cui presenza e rilevanza sono state solo ora portate alla luce grazie a nuovi metodi di rilevamento sviluppati di recente. Ad esempio, circa 970 nuovi inquinanti sono stati identificati negli ultimi dieci anni dal Norman Network Group.
Le fonti di nuovi contaminanti sono molteplici e includono fonti localizzate (urbane o industriali) o diffuse, come l’agricoltura. Le sostanze sono classificate in venti classi a seconda della loro origine: ad esempio
prodotti ignifughi, farmaceutici, per l’igiene personale, additivi per carburanti, biocidi, pesticidi polari e altri composti sospettati di interferenza endocrina.

E le microplastiche?
La presenza di plastiche è stata analizzata ampiamente negli ecosistemi acquatici ma non in quelli terrestri. Se è infatti relativamente semplice separare le particelle di plastica dall’acqua, non lo è nel suolo e le tecnologie che abbiamo a disposizione per ora non sono abbastanza precise. Tuttavia è sempre più evidente la presenza di plastiche nei suoli, la loro influenza sul funzionamento degli ecosistemi e il fatto che entrino nella catena alimentare. Un terzo della plastica prodotta nel mondo finisce nel suolo e si stima che la quantità di plastiche negli ecosistemi terrestri sia da 4 a 32 volte maggiore di quella negli oceani.
La crescita delle piante viene inibita da alte concentrazioni di plastica nel terreno. L’accumulo di residui plastici influenza anche l’idratazione del suolo, il trasporto dei nutrienti, l’attività dei microrganismi, la salinizzazione, e contribuisce alla ritenzione di contaminanti come i pesticidi.
Le microplastiche diventano parte della struttura del suolo, legandosi alle particelle organiche. Con l’erosione causata da acqua e vento, queste particelle possono essere trasportate in luoghi lontani, raggiungendo bacini idrici e oceani. Le microplastiche sono poi anche ingerite da micro e mesofauna, come vermi, parassiti, collemboli, enchitreidi, accumulandosi così nella catena alimentare con un potenziale di bioamplificazione quando gli uccelli si nutrono di questi piccoli animali.

In che modo tutti questi agenti inquinanti influiscono sui servizi ecosistemici offerti dal suolo?
Per alcuni contaminanti le interazioni con il suolo e i suoi organismi sono state a lungo studiate, mentre per altri, soprattutto quelli organici o gli emergenti come micro e nano-plastiche, non siamo ancora in grado di capire interamente la portata dei loro impatti e i processi di degradazione che producono. Inoltre molti di questi studi sono stati condotti in laboratorio o sul campo ma su piccola scala, mentre esistono poche informazioni sugli impatti dell’inquinamento del suolo su larga scala. Ci sono comunque prove sufficienti per riconoscerne i danni sulla produzione alimentare, sull’approvvigionamento di acqua pulita, sul controllo dei nutrienti, sul ciclo dei gas serra, così come sul supporto alla vita e sul mantenimento della biodiversità. Ma non sappiamo ancora l’entità dell’impatto.

E per quanto riguarda le influenze dirette sulla salute delle persone?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo “International Programme on Chemical Safety”, ha identificato dieci gruppi di sostanze chimiche fonte di preoccupazione per la salute pubblica. Sono inclusi contaminanti del suolo come cadmio, piombo e mercurio, diossina e simili e pesticidi altamente pericolosi (HHP), i cui residui viaggiano dai suoli inquinati al cibo e ai bacini idrici. Anche gli agenti patogeni del terreno possono contaminare il cibo, mettendo a rischio la nostra salute.
Tutte queste sostanze hanno effetti cronici dovuti a prolungata esposizione, e i
bambini, le donne incinte e i soggetti malnutriti sono particolarmente vulnerabili. Secondo l’OMS, più di 200 malattie – dalla diarrea al cancro – sono legate all’assunzione di cibo contaminato.
L’inquinamento del suolo inoltre riduce la sicurezza alimentare, abbassando la resa dei raccolti a causa della tossicità e rendendoli non sicuri per il consumo sia umano che animale. Molti contaminanti (inclusi nutrienti come fosforo e azoto) sono poi trasportati dal suolo alle acque di superficie e sotterranee, provocando gravi danni ambientali con l’eutrofizzazione e attaccando direttamente la salute delle persone attraverso la contaminazione dell’acqua potabile.

Una delle difficoltà maggiori quando si parla di inquinamento del suolo è la mancanza di dati: esiste una stima globale dell’estensione del problema?
Si è cominciato ad occuparsi della questione negli anni ‘70, ma abbiamo ancora molte lacune riguardo la persistenza, le interazioni e i rischi legati ai contaminanti del suolo. Stiamo cercando di dare una risposta a queste domande mentre prepariamo il report Global Assessment of Soil Pollution da presentare nel 2021 all’assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente. Ma la mia risposta per ora è che, sebbene siamo in grado di fornire delle stime, rimaniamo comunque ben lontani dalle reali proporzioni del problema.
Esistono migliaia di studi scientifici e rapporti ufficiali, ma i protocolli per misurare i contaminanti del suolo non sono uniformati in tutto il mondo, rendendo impossibile una comparazione dei dati disponibili. In più, per alcuni contaminanti le tecnologie di analisi non sono disponibili o sono ancora in fase di sviluppo. Pochi paesi hanno degli inventari dei siti inquinati, e quelli che li hanno in genere si limitano alle aree con attività industriali, mentre non ci sono dati sull’inquinamento diffuso. Quel che sembra chiaro, considerando il movimento dei contaminanti attraverso i vari comparti ambientali, è che
non esiste praticamente nessun territorio completamente libero da contaminazione in tutto il Pianeta: sostanze contaminanti sono state individuate persino nell’Artico e nel mezzo dell’Amazzonia.

Quali sono i metodi di risanamento oggi usati?
Ci sono diverse tecniche che vanno dal comune “scava e butta in discarica” a innovativi metodi di bonifica nature-based, come la combinazione di batteri e vermi, alcuni tipi di funghi o piante iper-accumulatrici, che rimuovono i contaminanti dal suolo e poi possono essere riutilizzate dalle industrie di biocarburante, in un’ottica circolare.
Le tecniche di risanamento possono in genere essere classificate in interventi in-situ o off-site. Le tecnologie usate dipendono dal tipo e dalla concentrazione dei contaminanti, dalle proprietà del suolo, dai potenziali movimenti delle sostanze nel terreno o nelle acque di superficie e dalla popolazione colpita. A volte, tuttavia, l'estensione delle aree contaminate è troppo grande e la bonifica non è realizzabile per via dei costi. In questi casi si opta per soluzioni di adattamento, cambiando per esempio l’uso del territorio da agricolo ad area per attività ricreative o di silvicoltura.

Infine, cosa sta facendo la politica? Esistono provvedimenti a livello internazionale o nazionale?

Molti paesi hanno strumenti legali per la prevenzione e soprattutto per la bonifica dei suoli inquinati. Abbiamo anche strumenti a livello europeo, come la Direttiva sui Rifiuti e la Direttiva su Controllo e prevenzione delle emissioni industriali, e a livello internazionale, come le convenzioni sulle sostanze chimiche di Basilea, Rotterdam, Stoccolma e Minamata.
Tuttavia questi provvedimenti si concentrano su parti specifiche di un quadro che è molto più ampio e complesso, e che necessita di un approccio olistico. Non dico che le legislazioni e le politiche esistenti non siano state in qualche modo utili, ma se vogliamo davvero far fronte al problema dell’inquinamento del suolo, e soprattutto prevenire ulteriore inquinamento, dobbiamo fare in modo che tutti gli attori coinvolti si siedano ad un tavolo comune per discutere soluzioni coordinate. È difficile ma non impossibile.
In Europa si stava per adottare una Direttiva per la Protezione del Suolo, ma la discussione è fallita. Pensiamo che oggi un trattato internazionale per la protezione del suolo, non solo dalla contaminazione ma anche da altre forme di degrado, sia necessario se vogliamo allinearci con l’Agenda 2030. Anche perché,
senza suoli in salute, più della metà degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu non sono raggiungibili.

Per approfondire: scarica e leggi il numero #31 di Materia Rinnovabile dedicato al suolo