Questo stato delle cose dovrebbe generare una partecipazione diversa a una tragedia come quella del Ponte Morandi a Genova, suggerendo cautela nelle dichiarazioni. Non è certo il caso di esprimere valutazioni positive sulle indicazioni che possono giungere da un disastro che ha tolto la vita a 43 persone e che sta creando enormi problemi a una città, ma, nella cornice di una silenziosa riservatezza, gli addetti ai commenti, ministri, sindaci, direttori dei ministeri – per quello che capisco io e per alcune conversazioni avute nelle settimane dopo il crollo con vari esperti – sarebbe necessario accettassero senza indecisioni che il controllo di quella struttura era sostanzialmente impossibile per come era costruita. E questo dato dovrebbe estendersi a ogni riflessione su molte altre strutture, per non banalizzare il tema delle manutenzioni. Poi si può ragionare sulla messa in campo di criteri precauzionali, che però sembra evidente avrebbero dovuto convergere verso una sola decisione: chiudere il ponte. Hai detto niente.

Una intelligente cautela avrebbe anche avuto un funzione cruciale, per una vicenda come questa e per molte altre emergenze: offrire al largo pubblico un punto di vista più avanzato, non superficiale, lontano da quel soluzionismo irrazionale che dilaga oggi, così da porre le basi per una sensata stagione progettuale dedicata a un piano per la messa in sicurezza del paese, dalle infrastrutture, ai beni storico culturali, alla conservazione dell’ambiente. Trasversalità ineludibile per un piano serio e che guardi in avanti.

Per progettare nuove strutture, per esempio, è indispensabile fare intervenire una serie di nuovi materiali le cui prestazioni sono già state stressate in test molto attendibili, materiali che abbiano grandi tenute dal punto di vista del carico che sopportano, insieme a una leggerezza strepitosa. (Il peso del Morandi è certamente una componente del crollo, e lo è per qualunque struttura: una Torre di Pisa in grafene non si sarebbe inclinata, anche se non sarebbe stata così bella.) Ci sono anche sperimentazioni interessanti nelle quali una miscela di materiali plastici in schegge e cemento dà ottimi risultati. 

Poi c’è il capitolo sensoristica. I sensori possono essere uno strumento valido, non si discute. Non va bene però attribuire loro capacità miracolistiche. Un primo dato è che l’efficacia di un sensore è strettamente collegata a come la struttura è stata costruita. Se si devono monitorare componenti che sono affondate in un guscio di cemento (è il caso del Morandi), la sensoristica combina poco (direi nulla). Anche la “rottura” da monitorare è una variabile da considerare. Ci sono crash che avvengono dopo un percorso fatto di piccoli spostamenti; ve ne sono altri nei quali avviene un collasso improvviso, e con questi c’è poco da fare.

Detto questo, su tutte le strutture esistenti è certamente possibile agire con ispezioni e interventi, anche in questo caso valutando le potenzialità di nuovi materiali. 

Del capitolo ispezioni fanno parte i droni, che consentono ispezioni molto ravvicinate, registrazioni video consultabili con calma successivamente. Segnalo, tuttavia, una necessaria attenzione. Pilotare efficacemente un drone non è una attività nei dintorni dei videogiochi. Un/una pilota di droni funziona, e quindi sa mandare il velivolo in qualunque posizione possibile, se ha centinaia di ore di volo. Altrimenti si corre il rischio di definire non praticabili certe ispezioni che, invece, richiederebbero solo più esperienza di volo. I Vigili del Fuoco italiani stanno costruendo team con droni, e sono gruppi molto preparati. Un centro di ricerca come Eucentre, dell’Università di Pavia, può dare valide consulenze sulla risorsa droni.  

 

 

Fondazione Eucentre, www.eucentre.it