Se ci sono settori dove fare economia circolare non è poi così complesso, altrettanto non si può dire per quanto riguarda il vasto campo del tessile, un mercato che in Italia rappresenta il secondo asset strategico ed è, oggi, tra i settori più colpiti dalla pandemia.

Quanto vale e quanto (poco) è circolare il tessile in Italia

Il settore della moda, tra tessile, abbigliamento e pellame, conta circa 55.000 piccole e medie imprese in Italia, per un totale di 309.000 addetti diretti. Soltanto il cosiddetto “Quadrilatero della moda(Toscana, Emilia Romagna, Marche e Lombardia) occupa il 25% in più di addetti dello stesso settore di Spagna, Francia e Germania sommate assieme, in base a quanto riferisce Confartigianato Imprese.
Il campo del riciclo e del riuso di abiti usati, secondo
uno studio della Ellen MacArthur Foundation, vede un 13% dei prodotti tessili avviato a riciclo, un 12% impiegato in usi di valore inferiore, spesso però estremamente difficili da riciclare, e solo l’1% trova una seconda vita in nuovi abiti. Questo succede perché, in Italia, soltanto alcune materie pregiate, come la pura lana e il cashmere vengono reputate idonee per essere reimmesse nel circolo produttivo, mentre tutti gli altri materiali sono considerati ancora scarti e finiscono in discarica, per un valore di sottoutilizzo di capi e mancanza di riciclo stimato in circa 500 miliardi di dollari all’anno. Ritenuto, a livello europeo, uno dei campi strategici per l’economia circolare, in Italia il settore tessile è incastrato tra norme legislative complesse e poco chiare, che ancora considerano la maggioranza degli scarti come rifiuti. Materiali che, in termini energetici, potrebbero produrre un altro potere calorifero se ci fossero adeguati impianti di termovalorizzazione specifici. Alcuni Comuni hanno adottato la de-assimilazione delle materie nei regolamenti comunali, che permette allo scarto tessile di essere considerato rifiuto speciale, ma da quel momento in poi ogni azienda ha dovuto provvedere in proprio allo smaltimento, accollandosi i costi e avvalendosi di aziende specializzate. Parallelamente, dunque, è sorto un altro grande problema: quello del traffico illecito di rifiuti tessili, su cui, nel mese di giugno, si è pronunciata, in audizione, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a questi correlati.

Il traffico illecito di rifiuti tessili in Italia

In riferimento ai rifiuti tessili, si è registrato un traffico di import ed export sia all’interno dell’Unione Europea che al di fuori delle frontiere comunitarie, con un transito illecito registrato di recente tra Campania e Tunisia”, riferisce, in audizione, il direttore generale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, Marcello Minenna. Lo scorso novembre, a Bari, furono sequestrate 24 tonnellate di abiti usati provenienti dalla Lituania, stipate in un container e dirette nel Brindisino. Il carico, che era costituito da capi di abbigliamento di ogni tipo, maleodoranti e ammassati, non rispettava alcuna norma igienica e non poteva in alcun modo essere considerato “end of waste”; condizione che si ottiene soltanto mediante specifiche procedure di detenzione e igienizzazione. “Il 10 settembre, l’Agenzia presenterà il libro blu, all’interno del quale saranno contenute ulteriori informazioni sui traffici e sul flusso illecito di abiti usati – afferma il direttore Minenna - Alla fine del mese di settembre, poi, dovrebbe entrare in vigore il regolamento interministeriale sui controlli radiometrici. Allo stesso tempo, abbiamo segnalato l’esigenza di un migliore coordinamento tra i vari uffici, che sarà fondamentale per operare un maggiore controllo sui flussi. Dietro a un traffico illecito, c’è sempre uno spostamento di mezzi finanziari e, pertanto, sono diverse le ipotesi di reato che possono configurarsi. Non si registra una prevalenza di reati predecessori o accessori all’operatività illecita più ricorrente, ma, soprattutto si tratta di reati legati a trasferimento liquidità e mezzi finanziari”. Sul tema è intervenuto anche Stefano Vignaroli, presidente della Commissione Ecomafie, che, durante un’intervista rilasciata a Materia Rinnovabile, ha dichiarato: “Quello degli indumenti usati è un settore fondamentale per l’economia circolare. La raccolta di questo flusso aumenterà, sia per la sua obbligatorietà in Italia a partire dal 1 gennaio 2022, sia perché in alcune aree le potenzialità appaiono almeno in parte ancora inespresse. È però fondamentale che questa crescita avvenga nella piena legalità. Il settore è afflitto da fenomeni criminali e da prassi che in numerosi casi escono dall'ambito legale. Mi riferisco a pratiche di giro bolla, esportazioni irregolari, mancata selezione e igienizzazione, smaltimento illecito degli scarti di selezione, per non parlare di infiltrazioni mafiose. In molti casi, a causa di un uso ingannevole di argomenti solidali, non c’è neanche sufficiente trasparenza verso il consumatore. Considerando queste criticità e l'importanza che il settore riveste, ho fortemente voluto che la Commissione Ecomafie svolgesse un'inchiesta sul tema. Il nostro lavoro è a un buon punto, offriremo una panoramica degli anelli più critici della filiera, su cui è necessario intervenire a beneficio degli operatori onesti e della collettività. In generale, oltre ovviamente al rispetto della normativa da parte degli operatori, servono maggiori controlli e più trasparenza verso i cittadini”.

Abiti usati ed economia circolare: buone pratiche dal distretto di Prato

Se c’è ancora tanto da fare dal punto di vista dei controlli e della trasparenza, allo stesso tempo sono diverse le aziende che, soprattutto nel distretto di Prato, hanno investito nel riutilizzo di abiti usati e nella circolarità. Tra queste ci sono Comistra, azienda a conduzione familiare che da 101 anni si occupa di dare una seconda vita a capi usati, e Rifò, nata recentemente.
In Comistra si trasformano i cosiddetti “stracci”, ovvero gli indumenti usati che possono essere riciclati. Questi provengono da un’azienda adiacente che li recupera soprattutto dall’Estero e, una volta arrivati in azienda, gli addetti alla selezione si occupano di suddividerli per finezza, colore, composizione. È poi grazie a un impianto di carbonizzazione e stracciatura ad acqua, risalente alla metà dell’800, che queste fibre vengono rigenerate e i sottoprodotti tessili e i materiali post consumo trasformati in quella che viene chiamata “lana di Prato”, disponibile in oltre 250 colori, su richiesta dei clienti.
Anche
Rifò, azienda nata nel 2017 a Prato, si occupa della raccolta degli abiti usati fino alla cucitura di nuovi capi, dando vita a una filiera che coinvolge 15 aziende del distretto tessile pratese. In Rifò i capi usati provengono dalle raccolte effettuate da alcune associazioni attive a livello locale come la Caritas ed Emmaus.

Un’associazione per il tessile circolare

Proprio per valorizzare il ruolo che svolgono associazioni e cooperative nelle attività di raccolta della frazione tessile dei rifiuti urbani è nata UNIRAU all’interno di FISE-Unicircular, l’Unione Imprese dell’Economia Circolare. “L’associazione è un’evoluzione di CONAU, il Consorzio nato nel 2008 che, durante la propria attività, ha ottenuto importanti risultati per il settore, come l’aggiornamento delle norme del DM 5 febbraio ‘98 per il recupero dei rifiuti di abbigliamento, diverse circolari interpretative da parte degli enti competenti, e la norma relativa alle donazioni inserita nella legge contro lo spreco alimentare (la cosiddetta “Legge Gadda”), fondamentale per chiarire la differenza tra raccolta differenziata e doni, che non sono tracciati e vengono ceduti alle aziende – spiega Andrea Fluttero, presidente di UNIRAU – Le aziende, poi, ne destinano una parte al riuso, reimmettendoli all’interno della catena di valore, e una parte al riciclo. In questo senso, l’associazione lavora affinché si possa garantire la qualità di questi capi con il regime di responsabilità estesa del produttore che darebbe, a livello comunitario, un più ampio sostegno economico al riciclo. L’obiettivo dell’associazione è quello di riorganizzare ed ampliare la base associativa, coinvolgendo gli operatori della raccolta, del commercio, dell’intermediazione e della selezione puntando, anzitutto, alla preparazione per il riuso dei capi e degli accessori di abbigliamento e, in via secondaria, al riciclo di materia delle frazioni che non possono essere destinate direttamente al riutilizzo. Rappresentare le aziende e le cooperative associative permette di rafforzare l’intera filiera e creare nuovi posti di lavoro. Molta parte della raccolta è, infatti, svolta dal mondo delle cooperative sociali, che garantiscono centinaia di posti di lavoro alle categorie protette, svolgendo in questo modo anche un importante ruolo a vantaggio della collettività”. Un ruolo molto importante quello che sta svolgendo UNIRAU anche alla luce del fatto che il legislatore italiano, nel recepire il pacchetto europeo di economia circolare, ha anticipato di tre anni l’obbligo di raccolta differenziata di abiti su base comunale, fissandola al 1 gennaio 2022. Un’accelerazione a cui tanti Comuni non sono pronti, in previsione di un volume molto maggiore rispetto alle 550mila tonnellate attuali, e che oggi avviene su base volontaria. Un tema su cui anche Confartigianato Imprese sta lavorando affinché, a livello comunitario, gli scarti pre-consumo possano essere classificati come sottoprodotti e quelli post consumo possano essere avviati a rifilatura e ritessitura con impianti di trattamento adeguati, essendo classificati come “End of Waste”.