Secondo le pagine web dell’Ue dedicate ai rifiuti, ogni anno un cittadino europeo consuma 16 tonnellate di materiali. E sei di queste diventano rifiuti. Nel 2012, i rifiuti totali sono stati pari a 2.500 milioni di tonnellate, ripartite grosso modo a metà tra smaltimento e recupero, salvo una piccola frazione destinata all’incenerimento. 

Dei materiali recuperati, solo circa 600 milioni di tonnellate sono state riciclate o riutilizzate.

In pratica, nonostante i miglioramenti in atto, l’economia europea continua a perdere una quantità significativa di potenziali “materie prime secondarie” presenti nei flussi di rifiuti: metalli, legno, vetro, carta, plastica, materia organica e materiali inerti.

Ma nonostante sia evidente che la situazione non è soddisfacente, le politiche non sembrano tenere il giusto ritmo. Le cifre, infatti, confermano una tendenza che ZeroWasteEurope definisce “preoccupante” e il riciclo continua a ristagnare. I dati ufficiali di Eurostat (figura 1) mostrano che dal 2008 è aumentato il conferimento in discarica e lo smaltimento nei corpi idrici, arrivando a superare anche il recupero, mentre l’incenerimento si mantiene stabile. Dati che confermano che non stiamo affrontando nel modo più saggio il fine vita dei prodotti. 

 

 

Sistemi Epr: flussi sotto controllo

Uno degli approcci cui si ricorre sempre più in tutto il mondo e che si dimostra particolarmente idoneo a chiudere il ciclo rifiuti/risorse è quello dell’Epr (Extended Producer Responsibility; figura 2).

 

 

Alla base dell’Epr c’è il principio che “chi inquina paga”, un pilastro della politica ambientale della Ue. Nelle linee guida Ocse del 2001 l’Epr è stata definita come “un approccio di politica ambientale in cui la responsabilità del produttore si estende alla fase post-consumo del ciclo di vita del prodotto”. Ci sono diversi tipi di Epr: i più diffusi sono la ripresa, i sistemi di deposito e le tasse di smaltimento anticipate. Spesso, gli obblighi di legge, o gli obiettivi fissati volontariamente dai produttori stessi, sono perseguiti – secondo i diversi flussi di rifiuti – attraverso specifiche organizzazioni per la responsabilità estesa del produttore (Pro, Producer Responsibility Organisation). Quando non esclusive, queste organizzazioni operano in concorrenza; a queste vanno aggiunte anche le formule di self-compliance del produttore.

La Ue ha adottato l’Epr per il fine vita dei veicoli fuori uso (direttiva del 2000), delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (2012) e delle batterie (2006). L’Epr è largamente utilizzata nelle politiche sui rifiuti di imballaggio (direttiva 1994). La direttiva quadro sui rifiuti del 2008 stabilisce anche alcuni principi per l’attuazione della responsabilità estesa del produttore. Inoltre, in molti stati membri sono attuate politiche Epr o accordi volontari anche per i prodotti non contemplati dalla legislazione Ue (tabella 1).

 

 

Per valutare il successo di queste politiche occorre considerare alcuni aspetti chiave riguardanti precise prestazioni tecniche: quantitativi immessi sul mercato, rifiuti generati, raccolta e trattamento, livello di innovazione verso una maggiore riciclabilità. In pratica tali prestazioni vengono rappresentate: dal rapporto tra quantitativi raccolti e quantitativi immessi sul mercato (percentuale di raccolta); dal rapporto tra materiali riciclati e rifiuti raccolti (percentuale di riciclo); dalla performance economica (i costi, la loro copertura ecc.). 

Ci concentreremo qui sull’aspetto tecnico, analizzando i dati e le analisi statistiche che riguardano i materiali considerati dall’Europa o dalle politiche nazionali.

 

Performance diverse tra i vari paesi 

Un recente studio finanziato dalla Commissione europea sui sistemi di gestione dei rifiuti in sedici stati membri ha rilevato che i dati ufficiali di Eurostat su flussi, raccolta e riciclo non sono del tutto attendibili evidenziando “una grave mancanza di dati comparabili sulle prestazioni economiche e tecniche”. 

Per superare le incongruenze, sono stati studiati in maniera approfondita 36 casi che contemplano flussi di rifiuti specifici, tra cui i quattro sulle tipologie regolate dalla Ue (veicoli a fine vita, apparecchiature elettriche ed elettroniche, batterie, imballaggi), più altri due per i quali esistono sistemi Epr in diversi stati europei (carta grafica e oli).

Dallo studio è emersa la necessità di rafforzare le politiche Epr, in quanto portatrici di “miglioramenti innegabili nel riciclo e nelle performance di recupero in tutti gli stati membri”. Anche se – come dimostrano i dati raccolti – le prestazioni tecniche risultano molto differenziate tra i paesi. 

  • Batterie – (circa 1,7 milioni di tonnellate di rifiuto prodotto): il dato sulla raccolta di pile e accumulatori portatili varia dal 36% (Francia) al 72% (Svizzera). Queste cifre sono superiori all’obiettivo fissato dalla Ue al 2012 (25%) e in molti casi vanno oltre l’obiettivo al 2016 (45%). Per quanto riguarda le batterie industriali e per autoveicoli, che hanno valore di mercato positivo, in tutti i casi la raccolta è prossima al 100%. Ad eccezione di Malta che – secondo i dati Eurostat – si attesta al 5%.
  • Veicoli – (9 milioni di tonnellate): hanno alti tassi di reimpiego e riciclo in tutti i paesi studiati, tra l’83% (Finlandia, Paesi Bassi) e il 92% (Germania). Tutti sono prossimi od oltre gli obiettivi della direttiva al 2015 (85%). I dati Eurostat riportano una media di riciclo dei materiali da veicoli leggeri che variano dal 64% di Malta al 96% della Germania.
  • Carta – (47 milioni di tonnellate di rifiuto prodotto): il settore offre un quadro molto variegato, dove i tassi di riciclo variano dal 43% (Francia) all’87% (Finlandia), fino al 94% (Svezia). Il divario può essere spiegato con il maggior valore di mercato dei rifiuti di carta nei paesi scandinavi. Non ci sono dati Eurostat sul riciclo di questo flusso.
  • Oli – (circa 5,2 milioni di tonnellate di rifiuto prodotto): la maggior parte dei sistemi Epr coprono esclusivamente i lubrificanti a base minerale (non commestibili, industriali). Le quantità raccolte variano in modo significativo: da 2,7 kg/ anno pro capite (Portogallo) a 5,6 kg della Germania. I tassi di rigenerazione sono compresi tra il 69% (Spagna) e il 91% (Belgio). Il sistema italiano ottiene alti tassi di rigenerazione (circa l’89%), ma pare essere molto più costoso. Anche per questo flusso di rifiuti non sono disponibili dati Eurostat.
  • Imballaggi – (80 milioni di tonnellate di rifiuto): i sistemi Epr studiati per i rifiuti di imballaggio mostrano diverse caratteristiche. In alcuni stati membri riguardano solo i rifiuti di imballaggio domestici, mentre in altri paesi si estendono anche ai rifiuti commerciali e industriali. Tutti i casi studiati raggiungono gli specifici obiettivi di riciclaggio fissati dalla direttiva, con la punta più bassa nel Regno Unito (totale degli imballaggi 61%) e la più alta in Belgio (imballaggi domestici 85%). I dati Eurostat indicano raccolte che vanno dal 47,5% di Malta al 97% in Belgio.
  • Raee – (circa 7,5 milioni di tonnellate nel 2012): i tassi di riciclo sono abbastanza omogenei nei paesi studiati. Tutti i sistemi raggiungono gli obiettivi fissati dalla direttiva. Discrepanze significative emergono sui quantitativi raccolti: si va da 2,0 kg/anno pro capite (Lettonia) a 17,5 kg/anno pro capite (Svezia). Secondo Eurostat, le raccolte variano da 1,2 kg (Gran Bretagna) a 17,2 kg (Belgio), con una media di 6,6 kg. 

In conclusione, lo studio evidenzia che i sistemi più performanti non sono, nella maggior parte dei casi, i più costosi; i fee pagati dai produttori variano notevolmente; nessun singolo modello Epr emerge come migliore in assoluto rispetto alle prestazioni. 

Ogni flusso di materiale infatti ha proprie caratteristiche e le condizioni locali influenzano notevolmente l’efficienza dei sistemi. 

In media, però, dove esistono Epr, la gerarchia europea di gestione dei rifiuti è rispettata meglio in confronto alle situazioni dove il mercato è lasciato all’auto-organizzazione, in assenza di un quadro istituzionale specifico. Questo ultimo caso spesso porta agli stessi risultati, ma richiede più tempo nel mettere a punto le soluzioni giuste e lascia spazi troppo ampi al free-riding e all’illegalità.

Altri studi hanno indagato il funzionamento dei sistemi Epr in paesi Ocse non europei, traendo interessanti conclusioni. In Giappone, per esempio, la ricerca sulla legge di riciclo dei Raee (Tasaki et al., 2007) mette in luce che la raccolta ha goduto di alterne fortune (a causa di smaltimenti ed esportazioni illegali), ma il riciclo ha funzionato bene. Risultato: il Giappone è molto avanzato nelle tecnologie ambientali, e che a loro volta queste hanno contribuito ad aumentare i tassi di riciclo. 

Uno studio statistico sull’atteggiamento delle famiglie americane nei confronti del sistema di deposito sulle bottiglie di plastica (Viscusi et al., 2011) evidenzia che “nella popolazione si verifica un’interessante trasformazione del comportamento con l’introduzione di incentivi al riciclo” e si assiste “a un vero e proprio balzo del tasso di riciclo quando le persone passano dallo stadio di non-riciclatori a quello di riciclatori diligenti”.

Kaffine e O’Reilly (2015) hanno svolto, per conto dell’Ocse, una vasta gamma di studi empirici analoghi, concludendo che:

  • le politiche di deposito/rimborso risultano più efficienti di quelle di tassazione anticipata sullo smaltimento; 
  • le organizzazioni collettive di Epr sono in grado di sfruttare meglio le economie di scala e di ridurre il monitoraggio delle singole imprese, ma occorre prestare attenzione a non soffocare il potere del mercato; 
  • le politiche Epr forniscono solo un incentivo implicito ma indiretto a favore del “design per l’ambiente”, mentre le politiche che colpiscono direttamente le caratteristiche del prodotto (requisiti di qualità, peso, riciclabilità ecc.) risultano ambientalmente più efficaci,
  • le politiche Epr possono raggiungere i loro obiettivi ambientali, ma la questione aperta è quali strumenti siano economicamente più efficienti. 

Anche le specifiche condizioni del paese e i fattori locali – compresi quelli culturali e comportamentali – hanno grande influenza sulle prestazioni, come dimostra il fatto che paesi con sistemi analoghi mostrano grandi discrepanze nei tassi di raccolta e riciclo. 

Dagli studi sui sistemi Epr si può trarre un’importante conclusione di fondo: la presenza dei compliance scheme aumenta la capacità di raggiungere gli obiettivi di raccolta e riciclo. 

Kaffine e O’Reilly definiscono questa caratteristica come “efficacia ambientale dell’Epr” e affermano che “la letteratura economica – sia accademica che non accademica – concorda sul fatto che strumenti quali l’obbligo di ripresa o l’imposizione di standard sulle percentuali di materiale riciclato fanno aumentare sia le quantità sia il tasso di riciclo”.

Un’importante caratteristica emersa dagli studi riguarda la qualità dei materiali raccolti, anche se l’evidenza è meno netta e sicuramente non conclusiva. Per esempio Acuff (2013) rileva che, mentre i metodi di raccolta per singola filiera di materiale hanno aspetti positivi, quali l’aumento dei tassi di riciclo (più materiale viene inviato ai centri di riciclaggio dal flusso dei rifiuti domestici), al tempo stesso determinano alcuni problemi. Per esempio l’aumento del tasso di contaminazione e della quantità di materiale residuo portato in discarica. Un documento della International Solid Waste Association(Iswa, 2014) fornisce ulteriori riferimenti a studi sul tema e mette in evidenza numerosi aspetti cui occorre prestare attenzione nella progettazione dei compliance scheme per l’Epr.

 

Fuori dall’Epr: flussi scarsamente indagati

I flussi di rifiuti non (ancora?) ampiamente governati da politiche Epr sono, purtroppo, poco studiati, anche se le ricerche spesso mirano a sottolineare come e perché sarebbe utile istituire nuovi compliance scheme

Tale è il caso riguardante le biomasse. Nell’Europa a 28 ogni anno vengono raccolti 1,7 miliardi di tonnellate di biomassa e circa altri 0,7 miliardi di tonnellate di biomassa derivano da tale produzione come sottoprodotto di scarto. Vengono inoltre importati 0,17 miliardi di tonnellate di prodotti costituiti esclusivamente o principalmente da biomassa e ne vengono esportati poco meno (0,15). Complessivamente la quantità di biomasse, inclusi i sottoprodotti di coltivazione, raccolta e taglio, che ogni anno si trasformano in rifiuti, reflui o emissioni nella Ue ammonta a circa 2,4 miliardi di tonnellate. 

Un altro caso emblematico è quello relativo ai materiali derivanti da costruzione e demolizione. La direttiva quadro sui rifiuti stabilisce un obiettivo di riutilizzo/riciclo/recupero del 70% entro il 2020, ma non indica strumenti specifici. Anche nelle politiche Epr nazionali, i rifiuti da costruzione e demolizione non sono quasi mai previsti, giacché gli stati membri non hanno ancora completato la fase di integrazione del target europeo nelle legislazioni nazionali. Secondo un rapporto della DG Ambiente (Ieep, Bio et al., 2012), nel 2012 esistevano sistemi Epr (spesso formulati su iniziativa volontaria dei produttori) in Austria, Irlanda, Germania, Malta, Spagna e Regno Unito; da allora ne potrebbero essere stati creati altri, i cui effetti comunque non modificherebbero l’analisi degli ultimi dati disponibili. 

Ma la cattiva notizia invece è che ci sono vari altri motivi per cui occorre interpretare con cura i dati disponibili, nella consapevolezza che qualsiasi conclusione dovrebbe essere considerata non definitiva. 

Per prima cosa va considerato che i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D Waste) sono costituiti da numerosi materiali diversi: pertanto il concetto di “immesso al mercato” diventa di difficile applicazione. In linea di principio, l’immesso dovrebbe essere calcolato per grandi categorie di prodotto; vale a dire per i gruppi di prodotti da costruzione a seconda del materiale di cui sono costituiti, il che diventa difficile da valutare partendo da rifiuti miscelati.

 

 

Seconda considerazione: il ciclo di vita dei materiali da costruzione e demolizione è molto più lungo di un anno, dunque il concetto di tasso di raccolta perde parte della sua utilità. Infatti la quantità di rifiuti prodotta in un dato anno (che è il limite massimo per calcolare i rifiuti raccolti) deriva solo per una minima percentuale dai materiali utilizzati nel settore delle costruzioni nell’anno medesimo. 

Limitiamo il campo a quella frazione di rifiuti da costruzione e demolizione che corrisponde ai rifiuti di origine minerale, esclusi i minerali metallici. Questa grandezza può essere significativamente paragonata al consumo apparente di minerali (e relativi prodotti) impiegati nella costruzione. 

Sui rifiuti da costruzione e demolizione le cifre pubblicate da Eurostat (tabella 2) forniscono un interessante punto di partenza. Va però precisato che in alcuni casi l’accostamento dei dati risulta piuttosto arbitraria: a livello di riga, perché i dati soffrono di imperfezioni che incidono sulla comparabilità, come accennato poco fa. E anche a livello di colonna perché il consumo nazionale di minerali rileva le materie prime minerali estratte nel mercato interno, invece della produzione interna di prodotti da esse derivati. Ma poiché a esse aggiunge anche le importazioni di prodotti e sottrae le esportazioni, il dato proposto può essere considerato una approssimazione accettabile dei quantitativi immessi sul mercato.

 

 

Nella tabella proposta, accanto agli indicatori analoghi al tasso di raccolta (b/e) e di riciclo (b/d) abbiamo calcolato un indicatore particolarmente significativo rappresentato dal “grado di soddisfazione della domanda interna di materiali da costruzione da materiali riciclati” (d/d+e)). Come si può vedere, solo uno dei 19 paesi che non raggiungono il 5% in questo indicatore è tra i sei che affermano di avere sistemi Epr in atto. Si tratta di Malta, del cui sistema Epr non siamo riusciti a verificare l’esistenza attraverso le tracce operative; né risulta occuparsi dei rifiuti da costruzione e demolizione uno dei sei sistemi collettivi autorizzati, elencati nella pagina web della Malta Environment and Planning Authority (l’agenzia maltese per l’ambiente e la pianificazione territoriale). 

Nella parte inferiore della tabella sono stati calcolati gli indicatori medi dei paesi che hanno compliance scheme, mettendoli a confronto con gli indicatori di quelli che non li hanno. La migliore prestazione dei primi è dovuta soprattutto al rapporto più alto tra rifiuti trattati e quantità di minerali immessi sul mercato (colonna b/e), che non a tassi elevati di riciclo (colonna d/b). 

Nei limiti concessi alla significatività del dato circa gli effetti dei compliance scheme, la prova è a favore. Non è molto più di una indicazione, lo ammettiamo, ma è comunque qualcosa.

 

 

Pagine web dell’Ue dedicate ai rifiuti: ec.europa.eu/environment/waste/

 

Bibliografia