Ancora oggi, circa un quarto dei prodotti ittici mondiali catturati nell’oceano viene pescata dragando i fondali marini con pesanti reti da pesca. Acchiappare merluzzi, scorfani, sogliole tramite la pesca a strascico è considerata dagli scienziati una pratica dannosa per i fragili ecosistemi marini e per tutte le specie non bersaglio che finiscono intrappolate nelle reti. Ma gli impatti ambientali non finiscono qui: sotto il profilo climatico questa pratica sta liberando notevoli quantità di carbonio presente nei fondali marini. 

Gli impatti climatici della pesca a strascico

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Marine Science, dal titolo Atmospheric CO₂ emissions and ocean acidification from bottom-trawling, nei prossimi nove anni la pesca a strascico rilascerà nell’atmosfera il 55-60% del carbonio contenuto nei sedimenti marini, considerato dagli scienziati l'ultimo deposito di carbonio da preservare. Secondo gli autori, si tratta di quasi il doppio delle emissioni annuali derivate dalla combustione del carburante usato della flotta peschereccia globale (circa 4 milioni di navi).

Ma anche il restante 40-45% del carbonio disciolto nell’acqua di mare non avrebbe impatti positivi. Secondo i ricercatori dello studio, infatti, potrebbe contribuire all’acidificazione delle acque in alcuni golfi o in acque dove la pesca a strascico è particolarmente utilizzata. L’alterazione del pH dell’acqua, che porta all’acidificazione, indebolisce notevolmente organismi come coralli, ostriche e altre creature con conchiglie o scheletri di carbonato di calcio.

Questa ricerca si basa su uno studio pubblicato su Nature nel 2021, nel quale viene dimostrato come la pesca a strascico rilasci circa 1 gigatonnellata di CO₂ ogni anno, quasi l’equivalente alle emissioni annuali dell’industria aeronautica globale. I modelli dello studio di Nature sono stati essenziali per poter quantificare gli impatti climatici della pesca a strascico. Sono utilizzati, per esempio, dall’IPCC, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, per calcolare il budget globale del carbonio, cioè la quantità cumulativa di anidride carbonica (e degli altri gas a effetto serra) che può ancora essere immessa in atmosfera se si intende mantenere il riscaldamento globale al di sotto di certi limiti. In sostanza, gli ultimi gettoni di tonnellate di CO₂ che ci rimangono da giocare.  

Le criticità nella raccolta dei dati

I ricercatori hanno scoperto che le emissioni di carbonio derivanti dalla pesca a strascico ‒ i cui movimenti del fondale possono produrre sedimenti visibili dallo spazio ‒ sono particolarmente elevate in alcune parti del mondo, tra cui i mari della Cina orientale, della Groenlandia, nel Baltico e nel Mar del Nord. Ma questo solo perché di altre aree come il Sud-Est asiatico, alcune parti dell’Europa e del Golfo del Messico non esistono dati sufficienti su questa pratica ittica.

Tale mancanza di dati potrebbe essere dovuta al fatto che molte navi non utilizzano sistemi di localizzazione satellitare, nonostante diverse leggi nazionali e internazionali lo rendano obbligatorio. Secondo uno studio pubblicato recentemente, il 75% dell’attività di pesca industriale non viene monitorato nei sistemi pubblici. Ciò suggerisce che i calcoli dello studio di Frontiers in Marine Science potrebbero essere conservativi. "Pensiamo che i risultati presentati siano sottostimati”, ha dichiarato a Mongabay Trisha Atwood, autrice principale della ricerca ed ecologista degli ambienti marini alla Utah State University. “Per tracciare i pescherecci abbiamo utilizzato un tipo di segnale satellitare (AIS) molto particolare che non tutte le barche possiedono.”

Tuttavia la metodologia di queste ricerche è stata in parte criticata dal mondo scientifico, soprattutto sull'assunzione per cui i sedimenti marini abbiano strati tutti uguali. Ma se l’esatto impatto climatico della pesca a strascico rimane incerto, quello sulla biodiversità è comprovato da tempo. Non a caso l’Unione Europea sta provando a bandire la pratica in zone marine protette a partire dal 2030.

 

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Immagine di repertorio da Envato

 

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