Ormai da qualche anno sempre più spesso sui media si sente parlare di economia rigenerativa: un’economia che nasce dalla collaborazione fra settori diversi operanti sullo stesso territorio. Simbiotica: si basa sulla possibilità che gli scarti di un’impresa o di un settore (oltre ai materiali per esempio anche energia, acqua) diventino sottoprodotti e possano essere utilizzati da un’altra azienda.

Una frontiera apparentemente nuova per innescare un circolo virtuoso di materia. 

Il concetto di simbiosi industriale, in realtà, arriva da lontano. Dopo aver fatto scuola con Svolte epocali di Gunter Paul (Baldini&Castoldi, 1997) successivamente è stato citato dall’Unione europea come strumento da sviluppare da parte degli Stati membri nelle proprie strategie di trasformazione verso un’economia sostenibile (Com 571/2011 “Roadmap to a Resource Efficient Europe”). 

E pochi anni dopo la stessa Unione europea ci ricordava (Com 440/2014 “Piano d’azione verde per le Pmi”) che il 44% delle grandi imprese europee vende i propri materiali di scarto a un’altra impresa, mentre lo stesso viene fatto solo dal 24% delle Pmi.

Ma già negli anni ’70 era iniziato uno dei primi esempi concreti di simbiosi industriale. In Danimarca, a Kalundborg – cittadina di 20.000 abitanti a 100 km da Copenaghen – negli anni si è realizzata una complessa rete di scambi che ha coinvolto risorse come l’acqua, l’energia e un gran numero di residui industriali diventati materie prime seconde per altri processi. Nata come iniziativa privata, oggi la rete coinvolge l’intera area urbana. E spesso viene citata come caso emblematico proprio perché non è nata da una programmazione urbanistica e industriale, ma si è sviluppata in modo fisiologico, grazie ad accordi bilaterali volontari ed economicamente redditizi che sono riusciti a ridurre i costi di produzione garantendo l’accesso a risorse secondarie meno costose e allo smaltimento remunerativo degli scarti di processo. 

 

Studio Pepe Heykoop, Bits Of Wood 3. Foto di Annemarijne Bax

 

Naturalmente ci sono anche altre città dove il settore pubblico ha promosso interessanti iniziative. Basti pensare ad Amsterdam, Birmingham e Stoccolma, dove le municipalità hanno messo a punto un sistema di mappatura dei flussi dei materiali utilizzati al fine di individuare le loro possibilità di recupero, riutilizzo e integrazione. O a progetti come Retrace coordinato dal Dipartimento di Architettura e design del Politecnico di Torino che punta a una progettazione, intelligente, sostenibile e inclusiva in grado di prevedere, per ogni singola parte del ciclo di vita dei prodotti, il contenimento degli scarti e – nel caso si realizzino – la loro valorizzazione. 

In Italia qualche anno fa, l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) grazie al lavoro del Rise, un laboratorio di valorizzazione delle risorse nei sistemi produttivi e territoriali, ha costituito Symbiosis. Si tratta di una piattaforma di simbiosi industriale al servizio di imprese e operatori presenti sul territorio che ha l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta, attivare trasferimenti di risorse, intese su materiali, sottoprodotti energetici, acqua, servizi, competenze. 

Symbiosis, inoltre, collabora con alcune regioni (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia) e con il ministero per lo Sviluppo economico. 

Resta però il fatto che, aldilà del loro valore, tali esperienze vanno modellizzate e divulgate il più possibile: solo così potranno essere replicate. 

 

L’incontro con la materia usata 

Per valorizzare e dare espressione agli output dei processi simbiotici le industrie si rivolgono ai creativi. Il loro incontro con la materia usata, gli scarti, a volte ha una motivazione individuale e sono prodotti nuovi oggetti che scardinano quasi integralmente le funzioni originarie. Se negli anni Venti questo era definito ready-made dai dadaisti – anche se il primo a fare qualcosa del genere fu Marcel Duchamp nel 1913 – le motivazioni oggi sono completamente differenti. 

Le imprese attive in tali pratiche virtuose hanno, infatti, ben chiaro che se queste non sono efficacemente comunicate, rischiano di veder perduto gran parte del loro valore. 

Quindi creativi e designer sono chiamati, non solo a dare forma a nuovi output, ma anche raccontare – in modo attraente e accattivante – questi percorsi vissuti dalla materia.

 

Studio Pepe Heykoop, Brickchair 1

 

Quando l’incontro si consuma intimamente tra la materia dismessa, spesso non seriale e quindi episodica, e il pensiero creativo, si rischia di riaccendere una antica polemica su “cosa è o no” il design. Vico Magistretti, designer e architetto italiano (1920-2006) direbbe lapidario che “se un oggetto non viene prodotto in almeno qualche migliaio di pezzi non è design”. 

Ma gli anni ’60, ’70 e ’80 sono ormai lontanissimi. Nel frattempo sono cambiate tante cose e i designer hanno iniziato ad autoprodursi i propri progetti (trasformandoli in prodotti) e diventando così loro stessi micro-imprese senza intermediazione. Così come il riuso di spazi, architetture, materia, abbigliamento, componentistica è diventato un must: una polverizzazione del fare dove apparentemente c’è posto per tutti. 

Attenzione però: il riuso, può anche essere un affaire serio. Innanzitutto perché grazie alla sua diffusione, il riuso si sta definendo come categoria estetica, un po’ come accaduto per il fenomeno dell’etnico alla fine degli anni ’90. Poi perché è socialmente inclusivo e riesce a dare senso a una manualità spesso dimenticata. Coinvolge inoltre stakeholder pubblici e privati con disinvoltura, facendo dialogare attori che nel fare artigiano con scarti, conditi di creatività, trovano un alfabeto per comprendersi. Infine, riporta il designer ai temi della stratificazione di componenti differenti a cui ridare un’identità, dell’uso e combinazione di gamme cromatiche, di materiali talvolta incapaci di invecchiare con decoro e che rinascono in forme inconsuete.

Scomporre per ricomporre obbliga a esercitare virtù impensate: ciò che prima riempiva può diventare superficie, ciò che prima veniva tagliato ora viene ricomposto. La memoria di quello che era si perde per ritrovarsi, ciò che nasceva non riparabile lo diventa, e così via. La materia dismessa diventa così il compagno di un viaggio che all’inizio può sembrare senza meta e che invece si svela nel fare. Al momento questo è un universo di esperienze polverizzate, confinato in una nicchia di mercato che produce poco pur con prezzi finali interessanti. 

Bisogna entrare davvero nel mercato; occorre capacità di commercializzare e valorizzare al meglio gli sforzi. Servono professionalità in grado di potenziare queste esperienze, stimolando la domanda e agendo così su conoscenza e diffusione. Chi compra deve sapere che quest’opzione esiste e deve poterla rintracciare, riconoscere apprezzare e rintracciare: per questo conoscenza e accesso sono due nodi nevralgici. Il riuso non ha padri, nessun consorzio nascerà per sussidiarlo e sostenerlo, pertanto l’autogestione regna sovrana e sono già nate diverse reti in grado di connettere più ri-creatori e accrescere l’effetto del loro puntiforme ingegno.

 

Studio Pepe Heykoop, Chandelier. Foto di Annemarijne Bax

 

Le immagini: Bricks e Bits of Wood

Pepe Heykoop si è laureato nel 2008 alla Design Academy di Eindhoven. Nel suo lavoro di designer/autoproduttore spesso Heykoop mette
al centro la materia dismessa e recuperata da cui nascono oggetti autenticamente sorprendenti.
www.pepeheykoop.nl

 

“A Systemic Approach for REgions TRAnsitioning towards a Circular Economy”, www.interregeurope.eu/retrace

Symbiosis, www.simbiosiindustriale.it/Simbiosi-Industriale

 

Reti e Community

Appcycle

Appcycle è un progetto basato su una community che utilizza la rete per puntare a una economia circolare, applicata al recupero della materia inutilizzata. Sul portale possono interagire donatori e ricreatori: i primi, ovvero chi gestisce o produce rifiuti, ovvero la materia inutilizzata, mettono a disposizione degli altri il materiale che a sua volta sarà tracciato per avere informazioni su destinazione, trasformazione, CO2 risparmiata e per ottenere il diritto di prelazione sull’acquisto di ciò che verrà realizzato dai ricreatori. Questi ultimi sono progettisti e artigiani che, con logiche upcycling, potranno scegliere con quali “scarti” dar vita a nuovi output, anche caricando tutorial sulle fasi di rielaborazione. Infine c’è uno spazio shop dove è possibile vendere tali oggetti. 

Nel 2016 Appcycle ha partecipato a “Icchè ci vah ci vole”, festival sperimentale per la creazione di immaginari condivisi ha presentato la piattaforma a Source – Self made Design, un progetto che ha l’obiettivo di connettere l’universo dei creativi legati al mondo del design con le aziende e le piccole e medie imprese nel campo della produzione e distribuzione. Da febbraio 2017 entra nell’incubatore CoopUp all’interno del progetto OPP! la rete dei giovani imprenditori cooperativi di Confcooperative.

www.appcycle.it

 

Riusare le città 

Il riuso delle città è un tema di estrema attualità. Molto se ne è parlato al 1° festival di economia civile di Legambiente (Campi Bisenzio – Firenze 17/19 novembre 2016) con Enrico Fontana, co-autore e curatore del Quaderno di Legacoop “Rigenerare le città”. I due soggetti hanno avviato da tempo una collaborazione, grazie anche a un protocollo di intesa, per promuovere progetti d’impresa finalizzati allo sviluppo di una rete di cooperative di comunità, impegnate nella tutela dei beni pubblici e comuni, recuperando architetture abbandonate e valorizzando le comunità locali.

Da segnalare www.riusiamolitalia.it e www.universitadelriuso.it: due piattaforme ideate da Gianni Campagnoli ricche di spunti originali, dati utili e idee su come ripensare il futuro degli spazi dimenticati.

E poi www.kcity.it: una delle 12 organizzazioni fondatrici della rete internazionale Urban Renaissance, che collega studi professionali innovativi attivi in sei paesi, mettendo insieme competenze che spaziano dal paesaggio, al planning, all’economia per promuovere interventi integrati di rigenerazione urbana.

Infine l’operazione Salento Solidale dell’associazione Coppula Tisa che ha trasformato una casa cantoniera, Celacanto, a Marina Serre di Tricase in Puglia in un centro di aggregazione per le onlus locali, realizzando tutti gli arredi impiegando solo le travi dismesse in legno dei tabacchifici abbandonati della zona.

celacanto.coppulatisa.it

 

Ri.Accademia 

È un progetto di ricerca sul riuso e l’economia circolare nato nel 2013 a Torino dall’incontro tra Cristian Campagnaro e Claudia De Giorgi, docenti del Dipartimento di architettura e design del Politecnico di Torino, Antonio Castagna (formatore e consulente su questi temi), le cooperativa sociali Triciclo e Liberi Tutti, l’Associazione Mana-Manà e l’artista Walter Visentin.

Una prima attività di ricerca-azione ha indagato possibili percorsi di riuso e valorizzazione del truciolare nobilitato proveniente dalla filiera del mobile dismesso. È disponibile in grandi quantità, privo di valore commerciale post uso, si propone come un materiale di bassa qualità espressiva, rapida obsolescenza semantica pur conservando buone proprietà meccaniche.

Il percorso di ricerca è sviluppato su tre livelli di sperimentazione:

  • upcycling: approfondire come i semilavorati di recupero si prestano a nuove soluzioni di prodotto riconoscibili dai consumatori e con un valore economico;
  • filiere collaborative: mettere al centro le relazioni e il co-design per superare i vincoli più semantici ed espressivi che oggi limitano i processi di riuso;
  • nuovi impieghi dei trucioli di legno: sperimentare processi tecnologici appropriati per disassemblare il materiale e recuperare la materia per la realizzazione di nuovi prodotti.

 

Rreuse 

Nata nel 2001 Reuse and Recycling European Union Social Enterprises, è una piattaforma europea che promuove lo sviluppo di imprese sociali che operano nella raccolta, riutilizzo e avvio a riciclaggio di materiali. Riunisce oltre 20 reti nazionali e regionali presenti in più di dieci paesi Ue. 

Un recente rapporto Reuse in the UK and Ireland dell’Osservatorio britannico Chartered Institution of Wastes Management (Ciwm) rileva che il riutilizzo sta emergendo e cresce significativamente, nonostante le carenze di strategia dell’attuale governo, ma il progresso del settore si potrebbe accelerare affrontando questioni come consegna, comunicazione strategica e impegno strategico dei vertici aziendali.

www.rreuse.org

Report Ciwm, Reuse in the UK and Irelandtinyurl.com/ht5jktx

 

Etsy 

Restando in tema di creatività puntiforme, la piattaforma Etsy, non a caso certificata B Corp (una B Corp è un’azienda che volontariamente rispetta i più alti standard di scopo, responsabilità e trasparenza, ndr) svolge un ruolo di promozione e vendita di prodotti artigianali realizzati da privati, in piccole o piccolissime serie o pezzi unici, anche se non necessariamente derivanti da riuso. 

Curioso anche il caso di Ikea Hackers: è una giovane blogger che propone soluzioni innovative per dare ai prodotti Ikea un nuovo aspetto o funzione. 

jules.ikeahackers.net

www.ikeahackers.net

 

G. Campagnoli, Riusiamo l’Italia – Da spazi vuoti a start-up culturali e sociali, Il Sole 24 Ore, 2014

 

Samuele Baruzzi, 2016, Una materia prima di terza generazione. Sperimentazione sui processi per il reimpiego del truciolare nobilitato, tesi del Corso design e comunicazione, relatore C. Campagnaro.

Da sinistra a destra:
WRC (Wood Reinforced Concrete): truciolare (50%) ricomposto con cemento (50%)
WRP (Wood Reinforced Paper), truciolare (50%) ricomposto con carta di riciclo (50%)