Poco più di dieci anni fa Sir Richard Branson, fondatore del Gruppo Virgin, si impegnò a donare più di tre miliardi di dollari per combattere il riscaldamento globale attraverso la creazione di carburanti a basso tenore di carbonio, e in particolare di un carburante per aerei ricavato dalle alghe. 

In un’intervista esclusiva rilasciata alla BBC nel 2008 lanciò un appello per “un carburante che non abbia effetti nefasti sulla nostra sicurezza alimentare […] carburanti come quelli basati sulle alghe, che possono essere coltivate e non incidono sull’approvvigionamento alimentare”. A causa del forte aumento dei prezzi del greggio tra il 2003 e il 2008, e il conseguente boom dei combustibili a base vegetale, l’interesse per la creazione di carburanti alternativi è diventato una priorità. In questo contesto i biocombustibili derivati dalle alghe si sono affermati come la nuova frontiera, quale combustibile che non incide sull’approvvigionamento alimentare.

A oggi però la produzione di biocarburante basato sulle alghe è inferiore al milione di galloni all’anno e si è ancora ben lontani da un prezzo di mercato competitivo, tanto che il decennio a partire dal 2005 è stato definito come decennio della “bolla dei biocarburanti derivati dalle alghe”. Promettenti aziende che avevano ricevuto fondi per milioni di dollari all’inizio del Duemila (Solazyme, XL Renewables, Aurora Biofuels e GreenFuel Technologies per citarne alcuni) sono fallite, oppure si sono convertite verso prodotti a più alto valore aggiunto quali gli alimenti, gli additivi alimentari, i cosmetici, gli oli speciali e i mangimi per animali.

Oggi l’interesse si è spostato dall’utilizzo delle alghe per la produzione di biocarburante al loro potenziale quale materia prima, con una gran varietà e possibilità di applicazioni. L’applicazione più promettente continua a essere quella delle alghe come fonte di cibo sia come alimento in sé, che come additivo/addensante: in questo settore la loro produzione genera il maggior valore aggiunto e a oggi occupa la percentuale più alta del mercato delle alghe. Risultano in crescita anche i settori degli alimenti per animali e delle bioplastiche, particolarmente promettenti se le alghe vengono prodotte in un contesto di circolarità in cui ne vengono utilizzate tutte le parti, limitando gli scarti e massimizzandone il valore. Sander van den Burg, ricercatore presso la Wageningen University nei Paesi Bassi ed esperto di spicco nel campo dello sviluppo sostenibile, dell’innovazione d’impresa e delle alghe, sottolinea infatti quanto il mercato delle alghe sia cresciuto enormemente negli ultimi due anni, grazie soprattutto al settore alimentare, e che “l’utilizzo a cascata della biomassa delle alghe deve diventare il futuro di questa industria”.

 

Dal biocarburante ai super alimenti a base di alghe

Secondo la Banca Mondiale (dati 2016) si prevede che la produzione mondiale di cibo dovrà crescere dal 50 al 70% entro il 2050 per mantenersi al passo con l’attuale andamento della crescita. Pertanto la promozione del consumo di alghe rappresenta un importante contributo alla sicurezza alimentare. Dati Fao rivelano che ogni anno al mondo se ne consumano già più di 6 milioni di tonnellate, e il mercato principale è quello asiatico: 5 milioni di tonnellate in Cina, 800.000 tonnellate in Corea e 600.000 tonnellate in Giappone (van den Burg 2016). 

In Europa le alghe stanno guadagnando terreno come fonte diretta di cibo per il consumo umano in quella parte del settore alimentare che si concentra su salute e benessere. Si tratta di un settore in espansione e alla ricerca di nuovi prodotti in grado di soddisfare la domanda dei consumatori. Secondo la United Kingdom’s Food and Drink Federation, il mercato degli alimenti e delle bevande biologiche è cresciuto nel Regno Unito del 6% dal 2016, contro una crescita del 2% di quello non biologico, mentre nell’Unione europea la vendita di prodotti biologici è cresciuta di quasi il 50% tra il 2012 e il 2016.

Questo settore in espansione è terreno fertile per i prodotti a base di alghe: in Europa però è necessario che le aziende accompagnino i consumatori, educandoli agli usi e ai benefici di questi prodotti. van den Burg evidenzia tale aspetto sottolineando che queste nuove aziende al momento “utilizzano molto tempo a spiegare ai consumatori che cosa fare con i loro prodotti. Si tratta di una cosa necessaria. Non si possono semplicemente far seccare le alghe, confezionarle e basta: i consumatori devono essere supportati e anche educati”.

 

Seamore, azienda olandese che produce alimenti a base di alghe, ben rappresenta questo approccio. Unisce un marketing accattivante a un notevole impegno nell’educazione dei consumatori riguardo i benefici e i potenziali usi delle alghe

 

Da alimento a mangime

Al secondo posto tra gli utilizzi delle alghe è il loro uso quale fonte diretta di nutrimento e additivo nei mangimi già esistenti, sia nell’allevamento di bestiame che nell’acquacoltura. Questo mercato è promettente anche dal punto di vista ambientale perché coinvolge grandi industrie che trasformano grandi quantità di materie prime. Per esempio, nei Paesi Bassi tra il 2010 e il 2011 la quantità totale di soia utilizzata per i mangimi è stata di 2.353.000 tonnellate (van den Burg 2016). Produrre la stessa quantità di mangimi utilizzando alghe comporterebbe una riduzione significativa della quantità di terreno, acqua e risorse utilizzate invece per le colture tradizionalmente dedicate a sfamare gli animali. Infatti van den Burg sostiene che “l’industria casearia potrebbe costituire un mercato interessante per i mangimi a base di alghe”. Non solo le alghe hanno un alto contenuto proteico, ma a bassi livelli di inclusione (meno del 2% di assunzione di sostanza secca) possono esercitare una significativa attività prebiotica, migliorando pertanto la salute degli animali e aumentando la produzione senza il rischio dello sviluppo di resistenza agli antibiotici nel bestiame (Evans & Critchley 2013). 

Anche l’acquacoltura può trarre importanti benefici dall’utilizzo delle alghe, aspetto che riveste una particolare importanza dal momento in cui la produzione globale di pesce di allevamento ha superato quella dei bovini, con un aumento di 14 volte dal 1980. Per esempio la MicroSynbiotiX Ltd, vincitrice del 2016 Blue Economy Challenge, mira a creare un mangime contenente microalghe che serva da veicolo a una varietà di vaccini, riducendo così l’utilizzo di antibiotici.

Ma il principale contributo potenziale delle microalghe consiste in un approccio realmente circolare alla loro produzione: l’acquacoltura multi-tropica integrata (Imt). L’Imt fa condividere lo stesso spazio ad animali e piante di diversi livelli trofici, affinché l’acquacoltura possa funzionare come un vero e proprio ecosistema. Gli spazi ristretti dei sistemi di acquacoltura in cui i pesci vengono allevati spesso porta ad alti livelli di inquinamento nelle acque circostanti. Coltivare alghe in loro prossimità porta a benefici reciproci: le alghe trovano le sostanze nutritive necessarie alla loro crescita, e al contempo aiutano a migliorare la qualità delle acque da cui dipendono i pesci. Perciò nell’acquacoltura multi-tropica integrata il circolo dei nutrienti avviene a ciclo chiuso. Ma i benefici dell’Imt non sono solo limitati alle alghe prodotte per i mangimi: la grande quantità di biomassa di alghe prodotta in questi sistemi fa sì che la prospettiva che esse diventino un componente delle bioplastiche (e potenzialmente dei biocarburanti) inizi a sembrare economicamente sostenibile. 

 

Evoware

 

Il problema della plastica

L’umanità ha prodotto più di 8 miliardi di tonnellate di plastica dal 1950 a oggi; l’Europa da sola nel 2015 ha generato 58 milioni di tonnellate di plastica. La crescente preoccupazione per l’impatto della plastica sulla nostra salute e sull’ambiente (e in particolare l’inquinamento marino) ha portato ad un interesse crescente per le bioplastiche. Uno dei principali fautori dello sviluppo delle bioplastiche è l’acido polilattico (PLA) – un’alternativa sostenibile ai polimeri basati su combustibili fossili – compostabile e biodegradabile. La gran parte della produzione di PLA e altri polimeri però attualmente dipende da materia a base vegetale come il mais, il grano, la barbabietola da zucchero e la canna da zucchero; per questo costituisce una minaccia alla sicurezza alimentare perché mette il cibo e le colture destinate all’alimentazione in diretta competizione con la manifattura di bioplastiche. La European Bioplastic Association dichiara infatti che “l’industria si impegna a mobilitare nuove risorse rinnovabili e abbandonare le piante a uso alimentare, ed è pienamente consapevole che l’approvvigionamento sostenibile della propria materia prima sia il prerequisito per prodotti più sostenibili”. 

Le alghe stanno emergendo con forza come alternativa. Van den Burg vede le bioplastiche come “una delle principali aree di interesse futuro per i prodotti a base di alghe”. Aziende quali la Evoware e la Skipping Rocks si sono fortemente impegnate per migliorare gli imballaggi biodegradabili prodotti da alghe. La Skipping Rocks, fondata nel 2013, ha creato un prodotto che può sostituire le bottiglie di plastica con bottiglie per l’acqua biodegradabili, e addirittura commestibili. Van den Burg sostiene che “anche se attualmente il settore delle bioplastiche non costituisce ancora il principale impulso per il mercato delle alghe […] ne ha il potenziale”.

Il potenziale delle alghe per la produzione di bioplastica assume particolare interesse quando vengono coltivate attraverso i sistemi Imy. Una ricerca del progetto Seabioplas, finanziata dalla Ue, ha esplorato il potenziale circolare dei sistemi di produzione integrata delle alghe. La ricerca a dimostrato come dal 67 all’80% dell’azoto e il 50% del fosforo con il quale vengono alimentati i pesci di allevamento viene nuovamente rilasciato nell’ambiente, direttamente dai pesci o attraverso i rifiuti solidi. Le alghe si cibano di questo azoto e fosforo, rimuovendone in questo modo l’eccesso e generando ulteriore biomassa. Ciò non solo è benefico per le alghe e consente di rimuovere elementi inquinanti dall’acqua, ma rispetto ad altre materie prime utilizzate nelle bioplastiche, comporta meno emissioni di CO2, una maggiore produttività, nessun rischio di deforestazione e nessun utilizzo di acqua dolce, fertilizzanti e pesticidi. In più, una volta che le alghe sono state utilizzate per creare PLA, i residui possono diventare validi sottoprodotti nei mangimi animali, o negli integratori alimentari/additivi. Questo è enormemente importante, dato che utilizzare i residui significa sia minimizzare gli scarti che massimizzare il profitto (e di conseguenza la fattibilità economica) della produzione di bioplastiche da alghe. 

 

Un futuro circolare

Le attuali ricerche sulla fattibilità della produzione di alghe per le bioplastiche e i biocarburanti si basano generalmente su un utilizzo singolo delle alghe. Combinarne diversi impieghi attraversi approcci quali l’Imt, e insieme sviluppare il mercato degli alimenti a base di alghe e dei mangimi, potrebbe essere fondamentale per potenziare la produzione di alghe. Nonostante ciò sono necessari più dati e ricerche sulla nostra capacità di utilizzare applicazioni a cascata, quali l’estrazione di preziosi idrocolloidi, additivi alimentari funzionali e l’utilizzo dei materiali rimanenti come ingredienti per i mangimi o per la produzione di bioplastica. 

Nelle parole di Paulien Harmsen, esperto in bioraffineria presso il Wageningen Institute: “La coltivazione di alghe può diventare un’importante industria in Europa se possiamo produrre un’ampia gamma di prodotti dalla stessa biomassa. Se utilizziamo l’approccio a cascata e padroneggiamo le tecniche di bioraffinazione commerciale il mercato per questa industria sostenibile sarà enorme”.  

 

 

MicroSynbiotiX Ltd, www.microsynbiotix.com

Evoware, www.evoware.id

Skipping Rocks, www.skippingrockslab.com/index.html

Immagine in alto: Contenitore biodegradabile ed edibile di Skipping Rocks. Credit: Skipping Rocks