Che per i meleti d’Italia da sempre si usino quantità molto elevate di pesticidi è un segreto di pulcinella. Ciò che si conosce meno è la difficolta ad avere un’informazione oggettiva sulla questione. Ci ha provato l’ONG Bavarese Umweltinstitut München, che il 25 gennaio 2023 ha pubblicato un report sull’utilizzo di pesticidi nelle coltivazioni di mele della Val Venosta, Alto Adige. Tuttavia, i dati riportati non sono aggiornati e si riferiscono al 2017. Perché così indietro? Per sbirciare i numeri è servito un tribunale. Lo studio si basa infatti sui registri privati degli agricoltori sequestrati durante un processo sui pesticidi che coinvolse anche il parlamentare tedesco Karl Bär.

Nonostante i dati non rappresentino l’intera Val Venosta – e men che meno l’Alto Adige, che produce un milione di tonnellate di mele l’anno, ossia il 40% della produzione nazionale e circa il 10% di quella europea - la vicenda offre numerosi spunti di riflessione sul dilemma dell’uso dei pesticidi nell’agricoltura intensiva: dalla libertà di espressione minacciata dalle querele temerarie alla riservatezza dei registri fitosanitari, dall’impatto ambientale dei pesticidi fino alle conseguenze negative degli stessi sulla salute dei cittadini e degli agricoltori.

Dalle mele alla libertà di espressione

Come illustra il comunicato stampa del 25 gennaio degli European Greens,la questione va analizzata partendo dal 2020, quando un dipendente dell’Ong Umweltinstitut München, Karl Bär (attualmente membro dei Verdi del Bundestag tedesco), espone pubblicamente a Monaco di Baviera un poster, satira di una campagna turistica provinciale, e pubblica un articolo sul dominio web “Pestizid Tirol” (il Tirolo dei pesticidi, ndr, per denunciare l’uso intensivo di fitosanitari in melicoltura). Il gesto - parte di una più ampia azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui rischi per ambiente e salute dovuti all’uso elevato di sostanze chimiche in agricoltura – porta Bär ad essere accusato di contraffazione del marchio da parte dell’assessore altoatesino Arnold Schuler e da 1376 produttori, che lo citano in giudizio. Secondo i querelanti, l’iniziativa avrebbe danneggiato il lavoro degli agricoltori e l’immagine dell’intero Alto Adige.

“L'articolo, pubblicato sul dominio ’Pestizid Tirol’ , acquistato dai miei clienti, denunciava un utilizzo di 45 kg di pesticidi per ettaro, dato completamente fuori dalla media e contestato dalla controparte” dichiara a Materia Rinnovabile l’avvocato Nicola Canestrini, che insieme all’avvocato Francesca Cancellaro ha rappresentato Bär nel processo. “La Procura di Bolzano aveva avanzato una richiesta per un ordine di indagine europeo alla Procura generale di Monaco, al fine di identificare l’IP da cui era stato pubblicato l’articolo in questione. Ma tale richiesta venne negata. Nella motivazione la stessa Procura tedesca scriveva che quanto rimproverato in Italia in realtà era coperto dal diritto di libera manifestazione del pensiero.”

Il processo prosegue e dopo 20 mesi di dibattimento nel 2022 si conclude con una assoluzione piena. Nello specifico, il tribunale italiano sentenzia l’improcedibilità dell’azione penale. La Procura di Bolzano aveva infatti richiesto di modificare – prevedendo il passaggio da contraffazione del marchio a diffamazione - il capo di imputazione. Non essendo la diffamazione perseguibile d’ufficio, le accuse sono cadute. Nel frattempo, infatti, i 1376 produttori avevano ritirato tutte le querele, anche grazie alla pressione internazionale, che si era attivata contro il tentativo di mettere a tacere la società civile. Lo stesso Consiglio d’Europa, nell’ottobre 2020, aveva definito il processo altoatesino un’azione legale strategica (una cosiddetta SLAPP, Strategic lawsuits against public participation) e quindi un vero e proprio attacco alla libertà di espressione.

Accesso negato e discordia sui numeri. Quanti pesticidi per le mele tirolesi?

Nel corso del procedimento, conclusosi con l’assoluzione di Bär, la polizia giudiziaria italiana sequestra però come prova i 681 registri aziendali di cui all’inizio. “È vero che la Procura di Bolzano ha disposto il sequestro, ma su stimolo della difesa. Nell'ambito della normativa che consente agli indagati imputati nelle querele di diffamazione di provare la verità, abbiamo chiesto alle presunte persone offese, cioè i circa 1400 querelanti, di fornirci dati corretti dell'utilizzo dei pesticidi. L’articolo, infatti, si basava sui dati dell’istituto di Statistica provinciale (Astat) e italiano (Istat)”, continua l’avvocato Canestrini.

“Abbiamo quindi richiesto i cosiddetti libretti di campagna che sono in realtà i libretti in cui, per legislazione europea, vanno annotati i trattamenti con i pesticidi o fitofarmaci. Loro hanno rifiutato e questo rifiuto ci ha poi stimolato a proporre la richiesta di sequestro alla procura, che l'ha poi disposto. Nelle cause per diffamazione la cosa più importante, soprattutto per chi è oggetto di queste querele bavaglio, è quello di riuscire a provare la verità del fatto. La strategia complessivamente è stata vincente perché la verità che ne emergeva era che ne venivano esattamente usati le quantità che venivano affermate nell'articolo ritenuto diffamatorio.”

Va ricordato che la tipologia di documenti sequestrati normalmente non è accessibile al pubblico, né viene registrata centralmente dalle autorità, nonostante si tratti di sostanze che hanno un impatto su ambiente e popolazione. Entrambe ragioni che hanno spinto l’Unione Europea - visti gli obiettivi riconducibili alle strategie comunitarie ‘Farm to Fork’ e ‘Strategia dell'UE per il suolo per il 2030’ di riduzione dell’uso del 50% entro il 2030 dei prodotti fitosanitari chimici e dei prodotti fitosanitari più pericolosi - a lavorare ad un nuovo Regolamento, inteso a sostituire l’attuale Direttiva 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei pesticidi.

Nella proposta, all’articolo 16, si imporrebbero registri informativi specifici da tenere in ogni azienda a disposizione degli organi di controllo, non più cartacei ma elettronici. Quindi un obbligo generalizzato per gli agricoltori professionali che però al momento è fermo al futuro. La maggioranza degli Stati Membri hanno infatti chiesto alla Commissione UE uno studio che integri, più tardi entro il 28 giugno 2023, la valutazione d’impatto della proposta di Regolamento. “Salvo imprevisti, l'applicazione del nuovo provvedimento è confermata al 1° gennaio 2025” commenta alla nostra rivista il Dipartimento Agricoltura, Foreste, Turismo e Protezione civile della Provincia di Bolzano, che sottolinea “un grande numero di aziende in Alto Adige stanno già usando un registro elettronico. Gli agricoltori sono orientati al futuro e pronti ad adattamenti per un’agricoltura sempre più sostenibile”.

Ma cosa succedeva nel 2017? I dati derivanti dai registri sequestrati, analizzati da Umweltinstitut München e diffusi il 25 gennaio scorso grazie ad un’inchiesta condotta dalla emittente bavarese Bayerischer Rundfunk e dal quotidiano Süddeutsche Zeitung, dimostrerebbero che tra l’inizio marzo e la fine di settembre 2017 i frutticoltori della Val Venosta hanno effettuato 590 mila irrorazioni. Mai un giorno di sosta in sette mesi e una media di circa 38 trattamenti per singolo meleto. Troppi?

“I dati pubblicati e commentati da Süddeutsche Zeitung e da Bayerischer Rundfunk risalgono al 2017 e sono quindi datati. Tra l’altro, sono stati forniti solo da alcuni produttori e di conseguenza, come ammette anche Bayerischer Rundfunk, non possono essere considerati rappresentativi della realtà altoatesina”, commenta a Materia Rinnovabile Anna Oberkofler, direttrice del Consorzio Mela Alto Adige. “In ogni caso non infrangono alcuna normativa né le indicazioni o i requisiti richiesti dagli operatori commerciali. Nel 2017, il numero effettivo di trattamenti eseguito dai produttori dell’intera Val Venosta è risultato pari, rispettivamente, a 21 (biologico) e a 20 (protocollo Agrios). Per chiarire: queste cifre sono state messe a disposizione anche di Bayerischer Rundfunk e Süddeutsche Zeitung, che non le hanno però prese in considerazione, proprio com’è accaduto per i numeri ufficiali forniti dall’istituto tedesco JKI. Le informazioni si riferiscono al numero di trattamenti effettuati in produzione biologica e in produzione integrata nel territorio controllato dal VIP nel 2017 messi a confronto con lo stesso parametro rilevato in Germania nel 2016.”

Discordia sui dati quantitativi vecchi, ma anche su quelli più recenti. Bayerischer Rundfunk ha infatti dichiarato di aver cercato di ottenere cifre aggiornate dalle autorità e dall’industria delle mele in Alto Adige, ma di non averle ottenute.

Quanti sono i pesticidi veramente utilizzati, vista la mancanza di trasparenza? Per orientarsi si potrebbe guardare a monte e a valle dell’utilizzo, cioè analizzare le quantità di pesticidi acquistate e i residui nell’ambiente. Nel primo caso ci aiutano i dati sulle vendite di principi attivi forniti da ISPRA nel Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2022: nel 2020, nella provincia di Bolzano le sostanze attive acquistate sarebbero state poco più di 5 kg per ogni ettaro di superficie agricola coltivata. Un numero superiore alla media nazionale, in calo a 4,5 kg.

La seconda prospettiva è offerta invece da un recente studio quadriennale (2018-2021) condotto dall’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige e dal Centro di Sperimentazione Laimburg sul tema dei residui di prodotti fitosanitari in aree pubbliche in Alto Adige, Val Venosta inclusa. In oltre 39 siti della provincia, la contaminazione da prodotti fitosanitari sarebbe diminuita di oltre il 70%. Un netto miglioramento, anche se i dati non provengono direttamente dai registri degli agricoltori.

L’incertezza aumenta, se si considera un altro monitoraggio, questa volta condotto dall’International Society of Doctors for Environment (ISDE) in collaborazione con gli esperti di Health and Environment Alliance (HEAL), Pesticide Action Network (PAN) Europe, PAN Germany e l’Università di Risorse Naturali e Scienze della Vita di Vienna (BOKU). I ricercatori hanno esaminato i dati ufficiali di 306 campioni di erba raccolti in Alto Adige da 88 siti pubblici non agricoli, come parchi giochi per bambini, mercati e cortili di scuole, tra il 2014 e il 2020. I risultati, riportati in un comunicato del 4 ottobre 2022, vengono così sintetizzati: “Il fluazinam, un fungicida che si sospetta possa causare danni al feto e che è stato collegato al cancro in studi sugli animali, è stato rilevato nel 74% dei siti contaminati. Sono stati rilevati frequentemente anche altri pesticidi dannosi come il fungicida captan (60%) e l’insetticida fosmet (49%); la percentuale di residui potenzialmente dannosi per la riproduzione umana è aumentata in modo significativo, passando dal 21% del 2014 all’88% del 2020. Anche la percentuale di residui potenzialmente dannosi per alcuni organi è aumentata dallo 0% del 2014 al 21% del 2020”.

Gli impatti dei pesticidi sulla salute. Dall’ ”effetto cocktail” alla malattia di Parkinson

Si discute sulle quantità e i numeri dei trattamenti, ma sulle tipologie dei principi attivi utilizzati i registri sembrano parlare chiaro. Secondo Umweltinstitut München, quasi il 90% dei trattamenti effettuati dalle 681 aziende agricole nel 2017 erano a base di sostanze chimiche di sintesi. Emerge l’uso di principi attivi quali penconazolo, il fluazinam e il phosmet, classificato dall’European Food Safety Authority (EFSA) come “potenzialmente dannoso per la riproduzione”.

Più del 90% delle aziende agricole esaminate avrebbe impiegato inoltre erbicidi come il glifosato noto per gli impatti negativi sugli ecosistemi e definito “potenzialmente cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Secondo l’Ong bavarese l’utilizzo di erbicidi nella coltivazione delle mele sarebbe peraltro superfluo, poiché esistono alternative meccaniche collaudate e a basso rischio per la regolazione delle erbe infestanti.

In passato, i frutticoltori della Val Venosta avrebbero inoltre spruzzato fino a nove agenti diversi in un solo giorno
, nonostante gli impatti su popolazione e ambiente della miscelazione di diversi principi attivi dei pesticidi – il cosiddetto “effetto cocktail” – siano ancora in gran parte inesplorati.
Come ricorda la recente inchiesta internazionale firmata IrpiMedia “Agricoltori a rischio: il mito dei dispositivi di protezione contro i pesticidi” , (riportando i dati dell’Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica francese), aumenta sempre di più il nesso causale tra l’esposizione a fungicidi, insetticidi ed erbicidi e l’insorgenza di patologie gravi. Sono sei in particolare: linfoma non Hodgkin (NHL), mieloma multiplo, cancro alla prostata, morbo di Parkinson, disturbi cognitivi, nonché alcuni disturbi del sistema respiratorio. Tutte legate ad un’agricoltura eccessivamente chimica.

La Francia ha già riconosciuto la malattia di Parkinson come malattia professionale per gli agricoltori dovuta allo stretto contatto con i pesticidi. Non sta a me o alle associazioni dei pazienti giudicare se la decisione francese costituisce un verdetto definitivo sulle cause della malattia. Tuttavia, questa rafforza la nostra proposta di dare vita in Italia a un Osservatorio sul Parkinson che mobiliti l’intera comunità scientifica su una malattia indagata in modo insufficiente” spiega a Materia Rinnovabile Giangi Milesi, Presidente della Confederazione Parkinson Italia, Onlus che riunisce 30 Associazioni di volontariato indipendenti che coinvolgono oltre diecimila persone con Parkinson, familiari e caregiver.

“Mi riferisco sia alle cause – oltre i pesticidi c’è tutto il tema dell’inquinamento – sia all’incidenza della malattia, che sta cambiando. Non è più la malattia dei maschi ultrasessantenni: crescono sia il numero di donne colpite che i giovani, anche con forme di Parkinson più aggressive. Abbiamo ormai abbandonato il dato ufficiale di 230 mila pazienti affetti in Italia. Oggi si parla di cifre più alte. C’è chi dice 300 mila, chi dice 400 mila chi arriva a 600 mila persone. Gli studi prospettano tra pochi lustri numeri superiori all’Alzheimer. Bisogna rendere questa malattia più conosciuta, investendo in indagini, ricerca e consapevolezza. Parlare di pesticidi è uno dei modi per analizzare le cause. Nel piano strategico di Parkinson Italia c’è la costituzione di un Osservatorio sul Parkinson, in collaborazione con la Fresco Parkinson Institute e con la Limpe, la società scientifica dei neurologi parkinsonologi. E il tema dei pesticidi dovrà essere uno dei primi da affrontare.”

Precauzione e prevenzione, insomma. Secondo l’articolo 191 del Trattato di Funzionamento dell’Unione europea, sono proprio questi i principi che devono guidare le iniziative dell’UE in materia ambientale. A onor del vero ci sarebbero anche i principi “chi inquina paga” e la correzione dei danni causati agli ecosistemi. Ma perché rischiare di arrivare tardi, magari bisticciando sulle cifre e i reali impatti, quando si può sostenere una raccolta centralizzata dei dati e una maggiore trasparenza? Soprattutto ora che entrata in vigore la nuova Politica Agricola Comune 2023-2027, definita dalla stessa Commissione UE come “stretta intesa tra agricoltura e società”. È tempo d’investire e adottare tutti quegli strumenti che possono facilitare il passaggio ad un’agricoltura rigenerativa, che si prenda cura dell’ambiente, ma soprattutto delle persone.

Image: Holly Mindrup (Unsplash)