Nel 2021 Washington diventerà il primo Stato a legalizzare la decomposizione umana come pratica di sepoltura in alternativa alle consuete pratiche mortuarie. In quest’ottica, l’azienda Recompose ha messo a punto un protocollo che punta a una vera e propria sepoltura circolare attraverso la conversione dei cadaveri in suolo.

Diventare suolo

La decomposizione, detta anche riduzione naturale organica, si basa su processi e su popolazioni microbiche che traggono ispirazione dai processi che avvengono realmente in natura. Il corpo viene messo in apposite celle aziendali, in cui rimarrà per 30 giorni, e ricoperto con materiale vegetale. Il processo avviene in condizioni controllate di temperatura, umidità e aerazione al fine di mantenere ottimali le condizioni di crescita dei microorganismi decompositori e, di conseguenza, massimizzare il processo stesso. Inoltre, i tassi di carbone, azoto e ossigeno sono sotto costante monitoraggio. Questo, aggiunto a periodici rimescolamenti del materiale nella cella, assicura la decomposizione anche di ossa e denti. Come ultimo step, il suolo ottenuto viene lasciato ad areare per diverse settimane e, infine, consegnato alla famiglia.

Una sepoltura circolare che rispetta il ciclo del carbonio

Quali sono dunque i vantaggi di questo metodo? Innanzitutto, il processo di decomposizione, sia esso di esseri umani o di altra materia organica, è parte integrante del ciclo del carbonio. Permettere il riuso del carbonio – e altri elementi – sequestrati nei nostri corpi e contribuisce all’equilibrio del suddetto ciclo.
Inoltre, il protocollo messo a punto da Recompose richiede
1/8 dell’energia necessaria alle convenzionali pratiche di sepoltura. Rispetto alla cremazione, consente di risparmiare fra 0,84 e 1,4 t di CO2 per ogni corpo, in quanto non vengono usati combustibili. Rispetto alla sepoltura convenzionale, invece, il risparmio ecologico si traduce in meno solventi chimici per il trattamento del cadavere, oltre che in minori emissioni causate dalla manifattura delle bare.
Attenzione, però, le persone a cui sono state diagnosticate
malattie prioniche (causate cioè da agenti infettivi proteici) o l’ebola non possono beneficiare di questa innovativa – a ben pensarci, solo sul piano legislativo – pratica di sepoltura per evitare, nel primo caso, contaminazioni del suolo e, nel secondo, contagi tra gli operatori. Ad oggi, difatti, non esistono prove scientifiche che dimostrino la completa distruzione dei prioni in seguito alla riduzione organica naturale. Per l’ebola, invece, è necessario seguire precise procedure sanitarie.