Ogni anno finiscono nel mare circa otto milioni di tonnellate di plastica, numeri destinati a raddoppiare nei prossimi vent’anni e a quadruplicare entro il 2050. È come se, ogni minuto, venisse scaricato nei mari un camion pieno di plastica. Nonostante le raccomandazioni dei governi, che premono per sistemi di riciclaggio più efficienti, i dati non sono incoraggianti: solo il 5% della plastica prodotta viene riciclata correttamente, il 40% finisce in discarica e un terzo negli ecosistemi sensibili, tra cui gli oceani. 

Questi e altri dati sono stati presentati alla Conferenza mondiale Tomra Leads organizzata da Tomra Sorting Recycling a inizio giugno, a Sofia. Qualcosa sta però cambiando nel settore della plastica riciclata. Ciò anche grazie al modo in cui brand e rivenditori stanno rispondendo positivamente e maturando una maggiore consapevolezza in merito alle azioni da intraprendere per ciò che concerne la fine del ciclo di vita degli imballaggi in plastica. 

 

 

“L’industria delle materie plastiche ha a lungo decantato i vantaggi della plastica nelle applicazioni medicali, automobilistiche e aerospaziali, come se questo in qualche modo giustificasse la produzione di plastica monouso. La chiusura della Cina come destinazione delle plastiche post-consumo raccolte in paesi sviluppati come l’Ue e gli Stati Uniti e la crescente consapevolezza della dispersione delle microplastiche e nanoplastiche nell’ambiente sta favorendo un drastico e positivo cambiamento”, spiega Edward Kosior, fondatore e presidente di Nextek, associazione che offre consulenza sul riciclo di materie plastiche ed ex professore di ingegneria dei polimeri alla Rmit University, in Australia.

Questi due fattori, uniti alla nuova strategia europea per la plastica monouso, hanno fatto sì che l’unico modo per creare imballaggi in plastica sostenibile fosse trasformarli in soluzioni circolari al 100%, dove le plastiche post-consumo possono essere riciclate in nuovi imballaggi a livelli significativi, superiori al 30-50%. 

Questo cambiamento, quindi, sta generando una grande richiesta di plastica riciclata post-consumo di alta qualità, che stimola programmi di investimento su larga scala in ricerca e sviluppo a livello internazionale. I paesi devono ora lavorare per creare mercati locali per gli imballaggi fuori produzione – non più esportabili in paesi terzi – al momento privi di strutture adeguate di gestione. Gli obiettivi per il prossimo futuro devono quindi comprendere la raccolta degli imballaggi con contaminazione minima, l’evoluzione verso imballaggi riciclabili al 100% e l’eliminazione di quelli non riciclabili laddove vengono ancora venduti. Infine, il perfezionamento delle tecnologie di riciclaggio esistenti affinché possano essere mantenute inalterate le proprietà del materiale consentendone così un riutilizzo su vasta scala in nuove applicazioni costruendo così un mercato ampio e redditizio per le plastiche post-consumo. Gli imballaggi rappresentano il 40% delle materie plastiche prodotte e anche la maggior parte di quelle riciclate: a oggi infatti le altre applicazioni per l’edilizia e l’industria automobilistica non stanno ancora generando grandi volumi di riciclaggio nella fase di fine vita del materiale. “Probabilmente il prossimo maggior contributore al riciclaggio delle materie plastiche saranno i rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee)”, spiega Kosior.

 

 

Anche se sono state poste a lungo su un piano di rivalità, plastica vergine e plastica riciclata derivano dalla stessa fonte. “Le pressioni sulla trasformazione del modo in cui le materie plastiche vengono utilizzate e riutilizzate hanno un impatto sia sulla plastica vergine sia su quella riciclata, poiché entrambe saranno abbandonate se le soluzioni alla fine del ciclo di vita dell’imballaggio non vengono implementate rapidamente. Le aziende di materiale vergine ora fanno affidamento sulle aziende di riciclaggio per poter fornire una giustificazione che consenta loro di produrre più materie plastiche per applicazioni critiche, come cibo e prodotti per la casa. È nell’interesse finanziario per le aziende di plastica vergine poter contare su un settore di riciclo sano e redditizio. È per questo che alcuni brand leader del settore della plastica vergine stanno acquistando aziende di riciclaggio”, continua Kosior.

Proprio vicino a Sofia, lo scorso febbraio è stato inaugurato il nuovo stabilimento di Integra Plastics che utilizza 14 macchinari di Tomra Autosort. L’impianto ha la capacità di riciclare 40.000 tonnellate/anno di pellicola post-consumo di colori misti e grazie all’elevata automazione sono impiegate solo 15 persone per tutto il processo di selezione e trasformazione del rifiuto da film a granulo. La specialità di Integra è la produzione di polietilene a bassa densità (LDPE), polietilene ad alta densità (HDPE) e granuli di polipropilene (PP). Il materiale viene immesso in grandi trituratori, poi viene posizionato su nastri trasportatori dove grazie a un magnete e a un vaglio vengono filtrati materiali indesiderati come il metallo ed altre particelle sottili. Successivamente, il materiale viene poi selezionato dalle macchine e diviso, se necessario, fino a sei flussi differenti per tipo di poliolefina e colore, prima che la plastica venga lavata a caldo. Dopo il lavaggio e l’asciugatura, i flake di plastica vengono infine ripuliti da eventuali impurità, colori e/o materiali residui, prima di essere inviati per la rigranulazione. In questa fase le plastiche vengono compresse, fuse, filtrate, degassate, omogeneizzate e trasformate in pellet. Nella fase finale i pellet vengono confezionati in sacchi da una tonnellata, pronti per il riutilizzo in un’ampia gamma di applicazioni. Tra le varie opzioni per il futuro del riciclo, gli esperti mettono anche in campo opzioni quali riciclo chimico, biologico e la depolimerizzazione. “Il riciclo chimico si manterrà probabilmente su piccola scala, quello biologico continuerà a crescere perché vi è necessità di un ampio ed efficace sviluppo delle infrastrutture di raccolta e compostaggio, poiché questi materiali non si degradano semplicemente se immessi in ambienti sbagliati o in condizioni anerobiche. Questa area è in costante sviluppo, ma è frenata dai costi elevati e dalla mancanza dei sistemi di raccolta differenziata per le confezioni rigide. La depolimerizzazione è al momento disponibile solo per Pet e nylon e altre plastiche minori come il polistirolo e l’acrilico (Pmma); perché diventi una soluzione concreta, la depolimerizzazione dovrà essere in grado di “chiudere il cerchio”, ovvero la sostanza chimica prodotta in fase di scissione dei polimeri dovrà alimentare l’inizio del ciclo, altrimenti sarà tutto inutile”, conclude Kosior. 

 

Tomra Leads Global Conference, https://solutions.tomra.com/tomra-leads-conference-2019