Se nella routine quotidiana con piccoli gesti si può ridurre l’impatto ambientale della plastica, ci sono alcuni settori, come quello della medicina, in cui è davvero difficile. Nel comparto sanitario, infatti, l’85% dei presidi usati è costituito da plastica usa e getta, fondamentale per assicurare gli standard igienico sanitari richiesti a garanzia della loro sicurezza ed efficienza. 

Nelle corsie ospedaliere la plastica ha fatto il suo ingresso attorno agli anni ’70 sostituendo poco alla volta i presidi esistenti di metallo e di vetro, oggetti che per essere utilizzati venivano sottoposti a costosi processi di sterilizzazione. Il suo avvento ha permesso di ottenere una serie di benefici, tra cui l’ottimizzazione del tempo di lavoro del personale sanitario, la riduzione dei costi e soprattutto la diminuzione dell’incidenza delle infezioni nosocomiali. Una vera e propria rivoluzione, dunque, che ha migliorato il modo di lavorare senza, tuttavia, considerarne le conseguenze ambientali. Oggigiorno, infatti, la maggior parte della plastica che entra in ospedale finisce ancora nel bidone della raccolta indifferenziata. Questo perché i rifiuti ospedalieri sono regolamentati da severe norme (come la direttiva 2008/98/CE, in Italia il DPR 254 / 2003 e D. Lgs. 152/2006 e s.m.i, ndr) le quali non ne permettono lo smistamento, a causa dell’alto rischio di contaminazione. 

In realtà, parte della plastica destinata agli inceneritori potrebbe essere recuperata, in quanto pulita e riciclabile. È ciò che ha mostrato uno studio pilota iniziato nel 2016, in Danimarca. La ricerca è stata portata avanti nell’ospedale universitario di Aarhus, in collaborazione con l’associazione Healthcare Plastic Recycling Council (HPRC), dove è stato incrementato il riciclo e si sono cercate nuove soluzioni, al fine di aumentare l’economia circolare. A raccontarlo è Susanne Backer, Project Manager in Circular Economy della struttura, nella quale ogni anno si producono circa 3.200 tonnellate di rifiuti a fronte di 1.150 posto letto e 10.200 dipendenti.

“Nel 2017 il 16% della spazzatura prodotta dal nostro ospedale è stato riciclato, mentre l’83% inviato agli inceneritori, l’1% in discarica. Il nostro obiettivo consiste nel riciclare il 50% dei rifiuti entro il 2024, riducendo così il quantitativo inviato agli inceneritori al 49%. In particolare, vogliamo incrementare l’economia circolare. L’iter da perseguire è molto complicato, in quanto dobbiamo sviluppare un modello con criteri da far rispettare alle figure coinvolte in questo settore.”

 

Cosa avete riscontrato dal vostro studio pilota?

“Abbiamo svolto un piccolo test, esaminando un campione di 500 kg di rifiuti solidi. Per fare ciò abbiamo chiesto agli operatori sanitari di separare la plastica dal resto e depositarla all’interno di contenitori dedicati. Una volta smistata, abbiamo constatato come 90 kg fossero costituiti dall’imballaggio pulito, proveniente da 162 fornitori diversi.

Successivamente la plastica raccolta è stata analizzata, verificandone la tipologia di polimeri di cui era composta. Sicuramente 500 kg non è un campione molto ampio, ma in questo modo abbiamo potuto apprendere che il 18% dei rifiuti solidi prodotti è costituito da imballaggi in plastica pulita. In totale su 3.200 tonnellate di rifiuti si stima che 300 tonnellate siano imballaggi di plastica.”

 

Dallo studio è emerso come uno dei reparti in cui si consuma più plastica sia la sala operatoria. Credit: Michael Harder

 

Quale tipo di imballaggio è il più diffuso?

“Da questo test è emerso come il più ampio campione di plastica fosse dato dalle buste apribili, questo perché in ospedale alcuni presidi debbano essere sterilizzati e consegnati all’interno di queste buste. Questo tipo di imballaggio è costituito da polimeri differenti che ne rendono difficile la riciclabilità. Per questo per noi è di fondamentale importanza collaborare sia con il dipartimento che si occupa degli appalti sia con i fornitori in modo da richiedere requisiti precisi sulla riciclabilità per la partecipazione alle gare. Solo cambiando la domanda d’acquisto degli ospedali potremo indurre a modificare il design della plastica, per ridurla o almeno per renderla riciclabile.”

 

Come siete riusciti a coinvolgere i fornitori nel vostro progetto?

“I dati ricavati dalla nostra analisi sono stati inseriti in un database. In seguito, abbiamo stilato una lista con i 5 fornitori più frequenti che poi insieme ad altri rappresentati sono stati invitati a un incontro durante il quale abbiamo presentato loro le nostre richieste e obiettivi. Li abbiamo chiamati a collaborare a un caso pilota per trovare soluzioni migliori. Insieme abbiamo analizzato uno degli imballaggi più semplici presente in ospedale, ossia i flaconi contenenti soluzioni per l’idratazione corporea (es. soluzione fisiologica, glucosata ecc.). Riciclare questi flaconi presenta una serie di difficoltà. Prima di tutto le bottiglie dovrebbero essere realizzate con un solo polimero e possibilmente in polipropilene (PP) e la plastica utilizzata dovrebbe essere vergine. La maggior parte di questi flaconi, invece, sono costituiti da più polimeri e inoltre presentano un’etichetta incollata e un tappo costituito da una membrana di gomma. Tutto questo ne rende difficile il suo riciclo. 

La nostra analisi ha seguito le linee guida scritte dalla ‘Plastics Recyclers Europe’, ente formatosi nel 1996 per promuovere il riciclo dalla plastica nell’Unione europea. Questi criteri (vedi box) li abbiamo anche trasformati in parametri minimi competitivi per l’accesso a una gara d’appalto svoltasi recentemente per la fornitura di flaconi di soluzione corporea a tutti gli ospedali danesi. Nessuno dei partecipanti ha ottenuto il 50% del punteggio minimo richiesto in relazione alla riciclabilità che pesava solo il 5% nella valutazione totale. Tuttavia, essendo la concorrenza molto forte, i punti guadagnati con essa sono stati determinanti per decretare la scelta del fornitore.”

 

Quali sono le strategie per ridurre il packaging?

“Il modo più efficiente è diminuirne peso e volume. Se così si facesse si risparmierebbero soldi e risorse. Limitando il packaging inoltre si riduce il lavoro dello staff ospedaliero, guadagnando tempo prezioso da dedicare ai pazienti.

Una seconda strategia consiste nell’usare plastiche riciclabili dove possibile, come nel secondo e nel terzo strato delle buste di plastica (il primo strato deve essere di plastica nuova per mantenere alto lo standard di sicurezza, ndr).

Come ultima possibilità rimane il riciclaggio. Se non possiamo ridurlo o riusarlo, possiamo forse riciclarlo, ma per rendere questo possibile abbiamo bisogno di stabilire dei criteri da inserire nei requisiti per le gare d’appalto. I polimeri riciclabili sono PE, PET e PP ed è necessario che i nostri fornitori marchino la plastica con il simbolo internazionale del riciclaggio, oltre a ridurre il più possibile l’uso di materiali misti. Anche la combinazione carta-plastica rende le cose molto più complicate. Purtroppo siamo ancora agli inizi. C’è bisogno di tempo, almeno 10 anni.” 

 

Un’infermiera dell’AUH mentre sta per indossare dei guanti sterili contenuti nell’imballaggio a doppio involucro, il più diffuso nella plastica analizzata. Credit: Michael Harder

 

Un caso pilota: i flaconi

Sulla base delle linee guida “Plastic Recyclers Europe”, l’ospedale universitario di Aarhus ha individuato alcuni requisiti minimi necessari per accedere alle gare d’appalto in tutti gli ospedali danesi per la fornitura di flaconi contenenti soluzioni per l’idratazione corporea. 

Le bottiglie devono avere una chiara marcatura che indichi come riciclare i polimeri utilizzati usando i 7 simboli di riciclaggio internazionali. Si preferisce la marcatura conforme alla Raccomandazione CEN WI 261 070, ma si accetta la marcatura conforme alla decisione della Commissione UE 97/129/CE.

Il 95% della confezione totale deve essere costituito da un solo polimero.

Il cappuccio/capsula deve essere in HDPE, LDPE o PP. Qualsiasi rivestimento, guarnizione o valvola deve essere costituito da HDPE, LDPE, PP o PE + EVA.

L’anello antimanomissione (tamper ring) deve essere costituito da PP, PE, EPS o OPP e avere una densità inferiore a 1 g/cm3.

L’etichetta deve essere composta da PP, HDPE o LDPE . La colla deve essere solubile in acqua a meno di 80Ë�C. L’etichetta deve essere stampata con laser e con inchiostro non tossico sulla base delle linee guida EUPIA.

 

Quali difficoltà state incontrando?

“Il problema della plastica medica è costituito dal fatto che il prodotto finito deve rispettare delle procedure specifiche e degli standard molto elevati. Ciò significa che ci vogliono almeno tre anni per l’approvazione di una qualsiasi caratteristica del design. Occorre tempo e dialogo costante per ottenere dei risultati. Inoltre, i fornitori di dispositivi medico-sanitari vendono su scala mondiale: ciò significa che i cambiamenti che apportano devono essere rilevanti per l’intero mercato globale.”

 

Come reagiscono le aziende che raccolgono i rifiuti?

“Collaboriamo anche con le aziende di raccolta rifiuti, abbiamo dedicato loro del tempo per far comprendere che la plastica che esce dall’ospedale è sicura. Spesso infatti le imprese sono prevenute verso i rifiuti ospedalieri ritenendo che vi sia qualcosa di contaminato all’interno dei sacchi della spazzatura.” 

 

Avete contatti con i centri ospedalieri di altri paesi europei?

“Siamo in dialogo con alcune cliniche del nord Europa tra cui Norvegia, Finlandia, Svezia, Islanda, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio; purtroppo non ancora con gli altri paesi membri dell’Unione europea.” 

 

Aarhus University Hospital, www.en.auh.dk

Plastics Recyclers Europe, www.plasticsrecyclers.eu

Immagine in alto: La plastica ospedaliera è un problema comune negli ospedali di tutto il mondo, infatti plastica monouso, a doppio involucro e plastica complessa finiscono ancora nell’indifferenziata. Credit: Michael Harder