L’agricoltura è il settore che più di tutti sta soffrendo l’attuale siccità. Secondo Coldiretti, infatti, l’impatto della scarsità idrica e del caldo torrido sulle produzioni nazionali ammonterebbe già a 3 miliardi di euro. E siamo solo a luglio. È evidente che il fabbisogno agricolo non sarà colmato con misure tanto emergenziali quanto palliative come il rilascio di acqua dagli invasi e l’aumento dei prelievi in falda. Oltre a ridurre i consumi, bisogna iniziare a riusare l’acqua che già abbiamo facilmente a disposizione. Secondo una recente indagine condotta da Utilitalia, la federazione che riunisce le utilities italiane, dagli impianti di depurazione italiani escono infatti ogni anno oltre 9 miliardi di metri cubi di acque reflue trattate. E noi ne destiniamo all’agricoltura solo il 5%.

Perché dobbiamo iniziare a riusare l’acqua

Se parliamo di siccità e ondate di calore, si può proprio dire che quest’anno noi europei siamo tutti sulla stessa barca, ma seduta sul letto di un fiume in secca. Secondo il rapporto “Drought in Europe - July 2022pubblicato dal Joint Research Centre della Commissione UE, il 46% del Vecchio Continente è attualmente esposto a livelli di siccità da allarme. Colpa di temperature più elevate della norma e del deficit di precipitazioni, fenomeni che sappiamo saranno sempre più frequenti nell’area del Mediterraneo. In Italia, secondo il CNR, da gennaio a maggio è caduta poco meno della metà della pioggia rispetto alla media storica. Mancherebbero infatti circa 40 miliardi di metri cubi, poco più dell’acqua normalmente contenuta nel lago Maggiore. E a soffrire di questa situazione, in particolar modo, è l’agricoltura.

L’indagine di Utilitalia

Anche in Italia l’agricoltura si conferma il primo settore per consumo d’acqua. Secondo i dati AQUASTAT, il database della FAO sulle risorse idriche, il comparto agricolo italiano è responsabile della metà dei prelievi, circa 17 miliardi di metri cubi annui.
Il settore esercita però una pressione che potrebbe essere alleviata, ad esempio coltivando specie meno idrovore e utilizzando sistemi di
irrigazione di precisione. Oppure - come afferma l’indagine Utilitalia presentata a Napoli l’11 luglio scorso – applicando in maniera strutturale i principi dell’economia circolare alle acque reflue. Si tratta di un potenziale enorme, che sfruttiamo solo in minuscola parte. In Italia riutilizziamo infatti soltanto 475 milioni di metri cubi dei 9 miliardi di acque reflue che abbiamo a disposizione ogni anno. Utilitalia, che ha analizzato i dati ricevuti da 22 aziende federate per un totale di circa 21 milioni di abitanti serviti, fa emergere che sono già esistenti e funzionanti ben 79 impianti per la produzione di acque di riuso. Tuttavia, l’uso diretto per irrigazione attraverso reti dedicate e gestite è ancora piuttosto scarso: solo 16 impianti su 79 sono dotati di reti di distribuzione e solo 10 impianti usano effettivamente tali reti per irrigare. Numeri che nel nostro paese dovranno necessariamente migliorare. A stabilirlo è il Regolamento europeo 2020/741, che prevede il riuso delle acque da parte degli Stati Membri a partire dal giugno del 2023. Per evitare ulteriori sanzioni in tema di depurazione sarà quindi fondamentale adeguare velocemente la normativa di riferimento, che a livello nazionale è ferma dal 2003.

Il Progetto VALUE CE IN dimostra i vantaggi del riuso delle acque reflue

Secondo ISPRA il 28% del territorio italiano presenta segni evidenti di desertificazione, che è un fenomeno che non si esaurisce nella mancanza d’acqua, essendo causato anche dal progressivo impoverimento del carbonio organico presente nel suolo. Il riutilizzo delle acque reflue potrebbe aiutarci a contrastare l’avanzare della desertificazione, scongiurando così una diminuzione della capacità produttiva. Lo dimostrano i risultati di VALUE CE IN (sigla di VALorizzazione di acque refLUE e fanghi in ottica di economia CircolarE e simbiosi Industriale”), sistema di riuso installato e sperimentato presso il depuratore Hera di Cesena. Il progetto, coordinato da ENEA, ha dimostrato che si potrebbe soddisfare fino al 70% del fabbisogno irriguo della Regione Emilia-Romagna, riducendo di circa il 30% anche i costi per i fertilizzanti. Le acque reflue depurate, infatti, contengono alcuni macronutrienti come azoto, fosforo e potassio, che sono determinanti nella crescita delle colture.
Ora, secondo Utilitalia, non rimane altro che vincere la resistenza dei potenziali utenti e risolvere problemi di governance, a partire dalla copertura degli extra costi, una corretta attribuzione delle responsabilità e della definizione dei criteri alla base dell’attribuzione di fondi dedicati a quelle infrastrutture che, come le reti di trasporto e i sistemi di stoccaggio, ragionevolmente dovrebbero favorire soluzioni orientate al riuso.

Immagine: Steve Harvey (Unsplash)