Nello stesso mese di aprile, in Italia, si è tenuta una consultazione pubblica, un referendum, relativa ai diritti di trivellazione delle società minerarie di petrolio e gas in possesso di concessioni per lo sfruttamento di giacimenti posti entro le 12 miglia dalla costa. 

Il referendum è stato indetto su iniziativa di alcune regioni costiere italiane, in particolare quelle più strettamente interessate dai siti di estrazione, con l’obiettivo di abolire principi recentemente introdotti nella legislazione italiana che permettono alle aziende di rinviare sine die lo smantellamento in sicurezza delle piattaforme di estrazione in mare, di perforare nuovi pozzi nelle zone di concessione già ottenute entro le 12 miglia dalla costa, e di sfruttare quei pozzi fino al completo esaurimento del giacimento invece che fino alla scadenza dei diritti di concessione.

Con le risorse di pesca di tutto il Mediterraneo drasticamente in contrazione (il 93% sono in condizione di sovrasfruttamento, vedi Comunicazione del 27 aprile 2016) e alcune sul punto di essere esaurite; considerato l’ impatto che l’attività estrattiva può avere sulla vita marina; il grande rischio di disastri ambientali che i recenti sversamenti nel torrente Polcevera hanno prospettato come una minaccia realisticamente inquietante; e – soprattutto – con una fiorente economia verde, non si può non considerare sorprendente la posizione del governo italiano.

Anche perché, a distanza di una sola settimana, l’Italia ha poi ratificato con orgoglio gli accordi di Parigi sul clima, raggiunti durante la Cop21. E il messaggio del paese è stato forte durante l’intervento del presidente del Consiglio italiano davanti all’assemblea delle Nazioni Unite: parole come sostenibilità, futuro e ambiente sono apparse come i pilastri dell’agenda di sviluppo economico del governo italiano. 

Ed è vero: l’economia verde d’Italia gode di buona salute, è innovativa e leader in alcuni segmenti del mercato. Per esempio nel settore della bioplastica, con la forza di un gigante industriale come Novamont; o in quello dell’efficienza energetica che secondo recenti statistiche oggi conta più di 300.000 imprese e 3 milioni di lavoratori (Partnership for Action on Green Economy). Ci sono anche alcuni segnali di allineamento con le politiche dell’Ue in questo ambito, come per esempio la legge per la green economy approvata dal Parlamento italiano a fine 2015, anche se mancano ancora gli elementi attuativi. 

Ma gli sforzi visibili di rivitalizzare l’economia italiana sono sempre più spesso e più intensamente all’insegna di un modello di sviluppo obsoleto, basato sui combustibili fossili e l’acciaio. Per esempio: rinnovo automatico delle concessioni di sfruttamento di gas e petrolio entro le 12 miglia dalla costa, scongelamento delle misure di lock-down imposte alle compagnie petrolifere in Basilicata, riapertura di una vetusta acciaieria a Piombino nonostante l’enorme e comprovato disastro ambientale dell’Ilva a Taranto. 

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, le due principali risorse dell’Italia sono l’ambiente naturale e il patrimonio culturale. E con le minacce importantissime che i mari di tutto il mondo stanno affrontando – non solo il sovrasfruttamento delle risorse biologiche, ma anche il riscaldamento e l’acidificazione delle acque e il crescente inquinamento da plastica – l’occasione di questo referendum era quella di iniziare, anche simbolicamente, un processo di disarmo verso il nostro pianeta blu, che ci avrebbe consentito di superare le antiche tecnologie e le vecchie relazioni socioeconomiche che stanno portando i nostri sistemi naturali sull’orlo del collasso. 

 

 

Comunicazione del 27 aprile 2016 del commissario per l’Ambiente, Affari marittimi e la Pesca Karmenu Vella
europa.eu/rapid/press-release_STATEMENT-16-1564_fr.htm