Cominciamo con Madre! (Mother!), il nuovo film del visionario regista Darren Aronofsky (Il Cigno Nero, Noah) interpretato da Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer ed Ed Harris. Un film certamente imperfetto, che scatena disagio e forti reazioni in chi lo guarda, che può piacer molto o non piacere affatto. La storia racconta di una famiglia: Javier Bardem è uno scrittore in cerca di ispirazione, Jennifer Lawrence è sua moglie. Vivono in una casa isolata e pian piano iniziano a ricevere visite di sconosciuti, sempre più spesso. Ma mentre Javier li tollera, sua moglie li considera invasori, li percepisce come aggressivi, pieni di difetti. Lawrence, la “madre”, è il principio generativo, identificata con la casa stessa (che si decompone mentre lei soffre), pronta ad accogliere la vita, ma anche la vittima ultima delle sofferenze causate dagli altri. E in un certo senso, la madre e la sua casa è anche la nostra Terra, il punto di vista con cui ci immedesimiamo, con la sua evoluzione e distruzione a opera dell’intervento umano. 

Aronofsky – fortemente impegnato a difesa dell’ambiente – parlando di Mother! ha detto che “sappiamo tutti che quello che accade in Asia influenza gli Stati Uniti o l’Europa. Le catastrofi ecologiche sono spesso opera umana. Tutto è ridotto a una casa, questa è la nostra casa. Butti una cosa, anche piccola, e non sai dove finirà. Questo è anche un film sull’ambiente che ci circonda, cosa facciamo, come lo trattiamo e il rapporto che abbiamo con esso”.

E sempre a Venezia anche un altro importante film ha trattato – sia pure con un registro più leggero, ma sempre sottilmente angosciante – il tema della sostenibilità. 

Parliamo di Downsizing, l’ultimo lavoro del regista Alexander Payne (Sideways, Nebraska), interpretato da Matt Damon, Kristen Wiig e Christoph Waltz. L’idea di partenza della storia – decisamente bizzarra ma geniale – è che in un immediato futuro l’invenzione di una rivoluzionaria tecnologia – ideata per fronteggiare quella che evidentemente è una crescita non sostenibile della popolazione terrestre e un eccessivo utilizzo di risorse non rinnovabili – permetta di ridurre a dimensioni minuscole le cellule viventi di persone, piante e animali. Una scoperta che apre la strada alla possibilità di “diventare piccoli”, alti 13 centimetri, e dunque decidere di vivere in un universo in miniatura speciale e protetto. Per tante ragioni: per alcuni, la motivazione è ecologica e “nobile”, cioè ridurre drasticamente il proprio personale impatto sull’ambiente. Per altri, invece, è economica ed esistenziale: scegliendo di miniaturizzarsi, la ricchezza personale accumulata nel mondo “grande” si moltiplica in modo esponenziale, permettendo così di vivere da nababbi. Questa – evidente metafora del graduale impoverimento e intristimento della una volta fiorente middle class americana – è la ragione per cui i due protagonisti del film scelgono il downsizing. Andando a vivere nella “micro-comunità” di Leisure Land, i 150.000 dollari accumulati in una esistenza di sacrifici diventano 12 milioni.

Va da sé, senza spoilerare il film, che la meravigliosa vita di opulenza “minuscola” rivelerà una serie di inquietanti lati oscuri, che metteranno a dura prova i due inconsapevoli protagonisti, che nel loro villaggio utopico – che assomiglia molto all’angoscioso suburbio di The Truman Show – presto scopriranno che – sia pure a una scala differente – i problemi e la natura umana non cambiano poi troppo. Un film divertente, che ci parla nel profondo e ci apre squarci di comprensione del difficile mondo in cui viviamo. Un mondo in cui a tutti è evidente che “così non si può continuare”; che il benessere – vero o fittizio che sia – cui siamo abituati prima o poi (forse più prima che poi) finirà con un disastro generale. 

E dunque, per noi che viviamo in una realtà in cui la miniaturizzazione non è possibile, sarà bene fare i conti con questa realtà prima che si verifichino conseguenze più gravi di quelle che già abbiamo sotto gli occhi.