Il metabolismo urbano è un approccio che richiede innanzitutto di partire da una visione: considerare la città come un organismo vivente. Non si tratta di una mera speculazione filosofica, ci sono ragioni di ordine pratico per adottare questo modello: prime fra tutte, la comprensione profonda delle dinamiche del sistema urbano e la loro ridefinizione in chiave circolare e sostenibile.

Provate a immaginare una specie di mostro che riceve cibo in continuazione, da luoghi lontani, attraverso complicati sistemi di trasporto; non tutte le risorse che gli arrivano vengono utilizzate per la sua crescita armonica e il suo benessere, molte si accumulano solo in alcune parti del suo corpo, mentre altre vengono sprecate e scaricate lontano. Così sono le città: materiali ed energia arrivano da luoghi distanti e vengono consumati solo parzialmente, mentre gli sprechi e i residui sono accumulati sotto forma di inquinamento (emissioni in atmosfera, rifiuti, acque reflue), di preferenza nelle periferie, oppure vengono allontanati e diventano il problema di un altro territorio.
Il
flusso di materia ed energia che attraversa la città è, sotto a ogni aspetto, un processo metabolico, del tutto simile a quello che ci tiene in vita, se non fosse per un particolare fondamentale: è lineare, mentre Madre Natura ha dotato tutti i suoi organismi viventi di meccanismi molto fini di regolazione del metabolismo, che sono basati su processi ciclici.
Il
metabolismo urbano è un modello che facilita la descrizione e l’analisi dei flussi all’interno delle città, attraverso la metafora dell’organismo vivente. Questa visione sistemica consente di comprendere tutte le attività di una città in un singolo modello, con l’obiettivo di migliorarne la qualità della vita.

La città come super-organismo

La vita della città dipende dalla sua relazione con l’ambiente circostante e con la fitta rete di risorse locali e globali di cui si nutre. All’aumento del metabolismo corrisponde una crescita dei consumi, che causa la perdita di terreni agricoli, foreste e biodiversità (spesso anche in luoghi molto distanti) e il contemporaneo incremento del traffico veicolare e dell’inquinamento.
In termini più scientifici, si può dire che una città è un
sistema complesso, dato dalla sovrapposizione tra le sue componenti (persone, sistemi sociali, edifici, infrastrutture, servizi ecc.) che interagiscono tra loro con relazioni multiple non lineari, determinando meccanismi circolari di causa ed effetto: in questo senso, le città manifestano una natura potenzialmente circolare. Ciononostante, sono in genere pianificate e gestite in modo del tutto lineare: le singole componenti vengono trattate come comparti stagni, senza tenere in conto le loro interazioni. E spesso si tende a dimenticare l’elemento più importante: che la città è fatta innanzitutto di persone.
Con l’approccio del metabolismo urbano, le componenti sono invece ricondotte all’interno di una sorta di “
super-organismo urbano” che può essere analizzato e ridisegnato in termini innovativi e sostenibili a 360°.

Storia ed evoluzione del modello del metabolismo urbano

Il concetto di metabolismo urbano è stato sviluppato per la prima volta da Abel Wolman nel 1965 per studiare i flussi di materiali e di energia su scala urbana. Wolman basò la sua ricerca su un’ipotetica città di un milione di abitanti e si focalizzò sulla quantificazione delle risorse in entrata e dei residui in uscita, definendo il metabolismo urbano come “tutti i materiali e le materie prime necessarie a sostenere gli abitanti di una città a casa, al lavoro e nel tempo libero”. Dopo il lavoro di Wolman, c’è stata un’intensificazione della ricerca sul metabolismo urbano e alcune città hanno adottato questo approccio per studiare i propri flussi di risorse, al fine di migliorare l’efficienza, la sostenibilità e la resilienza.
In tempi recenti, alcuni ricercatori dell’
Università di Toronto hanno ridefinito il metabolismo urbano come “la somma totale del processo tecnico e socio-economico che si verifica nelle città, con conseguente crescita, produzione di energia ed eliminazione degli sprechi” (Kennedy et al. 2007). Questa definizione restituisce un percorso concettuale che negli anni ha inglobato nel modello tutti i flussi e i processi ambientali, sociali, finanziari, informativi, tenendo conto della loro distribuzione spazio-temporale e dei relativi meccanismi di regolazione. La teoria del metabolismo urbano negli anni si è dunque evoluta: da un’analisi dei flussi di risorse all’interno dei confini fisici della città, verso l’utilizzo di indicatori ambientali e sociali su scala più vasta, al fine di includere anche tutte quelle infrastrutture a servizio della città che si trovano oltre il suo perimetro (come impianti di depurazione e di gestione dei rifiuti, aeroporti, aree industriali).
Questo approccio può fornire una chiave interpretativa utile per comprendere le dinamiche complesse della città e per riprogettarla in modo sostenibile.

Mappare il metabolismo della città: un esempio a Barcellona

Allo stato attuale, le principali applicazioni pratiche del modello del metabolismo urbano, che vengono utilizzate da urbanisti e decisori, sono quattro: la rendicontazione della sostenibilità, la contabilità dei gas a effetto serra, la valutazione delle strategie urbane e il supporto alla pianificazione urbana sostenibile. Se si tracciano i flussi di energia, materiali e rifiuti attraverso il sistema e si integrano con gli indicatori sociali, sanitari ed economici, è possibile sviluppare strategie di rigenerazione della città, creando un metabolismo circolare in cui le risorse vengono recuperate e gli scarti vengono minimizzati.
Per poterlo fare è necessario utilizzare opportuni strumenti e metodi di studio. Il progetto
CityLoops realizzato dal network Metabolism of Cities ha consentito di mappare 29 framework per l’analisi del metabolismo urbano, utilizzati sia in progetti di ricerca sia nella letteratura accademica: la maggior parte di essi sono basati sull’analisi dei flussi di materia ed energia (Mefa – Material energy flow analysis) e hanno quindi un approccio prevalentemente lineare; altri metodi sono invece ispirati alla dinamica dei sistemi, più utile a interpretare sistemi complessi non lineari quali sono le città.
Uno dei più interessanti è il
framework MuSiasem (Multi-scale integrated analysis of societal and ecosystem metabolism), nato per il metabolismo territoriale e applicabile anche in ambito urbano, sviluppato da Mario Giampietro e dai suoi collaboratori dell’Universitat Autònoma de Barcelona. Il metodo si focalizza sugli aspetti sociali e ambientali locali ed è basato su Nexus. Nexus è un approccio all’analisi dei sistemi socio-ecologici sviluppato dalla Fao, che mette in evidenza il nesso esistente tra acqua, energia e sicurezza alimentare, per comprendere le interdipendenze reciproche tra questi settori e il modo in cui a loro volta influenzano altri ambiti, quali il clima e la biodiversità.
Uno dei vantaggi principali di MuSiasem consiste nel guardare il territorio a più scale di rappresentazione, come se fossero
scatole cinesi, in modo da comprendere in che modo i diversi livelli si relazionano tra loro. Questo approccio consente di ottenere dati difficili da ricavare con altri metodi, quali informazioni sulle classi di età della popolazione, sul modo in cui ciascuna di esse impiega il proprio tempo (produttivo o meno), sulla correlazione tra ore produttive, consumo di energia e Pil, ma anche sull’impatto che lo sviluppo economico ha sull’uso del suolo.

infografica Pluchino
Dendrogramma delle categorie funzionali attraverso i livelli gerarchici per la città di Barcellona. Fonte: Pérez-Sánchez et al., 2019 (CC BY 4.0).

Questo framework è stato recentemente utilizzato per la valutazione del metabolismo energetico di Barcellona (Pérez-Sánchez et al. 2019). Lo studio ha consentito di analizzare le modalità di utilizzo delle diverse forme di energia (per esempio elettricità, combustibili) in relazione ai differenti usi all’interno della città (per esempio mobilità pubblica o privata, turismo, attività commerciali, attività residenziali) e in riferimento a differenti scale spaziali (per esempio i singoli edifici, i quartieri, la città nel suo insieme).
Si tratta di una grande innovazione: analizzare l’allocazione del tempo delle persone consente non solo di valutare cosa si fa e come (il totale delle ore dedicato alle diverse attività su base annua), ma anche di individuare le differenze nel comportamento tra diverse categorie. Nel caso di Barcellona, la
distinzione tra le attività di residenti, pendolari e turisti è essenziale per comprendere l’utilizzo finale dell’energia: quale attività è la principale utilizzatrice di quale tipo di energia? Questo consumo è necessario e perché? In che modo Barcellona esprime questa funzione rispetto ad altre città? Quali sono le opportunità di miglioramento?
Avere consapevolezza del fatto che
città diverse esprimono funzioni diverse, in modi diversi, utilizzando diversi tipi di tecnologie e mix energetici, ci fa capire che le policy energetiche devono tenere in considerazione queste specificità. Il Patto dei Sindaci propone di tagliare le emissioni climalteranti del 40% entro il 2030, ma le strategie per raggiungere questo obiettivo generico devono necessariamente essere specifiche per ciascuna città e considerare attentamente gli equilibri delle molteplici funzioni che vi si svolgono, le diverse caratteristiche dei vettori energetici e le dimensioni socioeconomiche della città, compresi gli effetti sulla qualità della vita dei cittadini. In caso contrario, si rischia che un improvviso collasso del sistema economico venga interpretato come una politica ambientale di successo nel ridurre le emissioni o che gli obiettivi siano raggiunti attraverso l’esternalizzazione delle attività a maggior intensità energetica verso altri territori.

REPAiR e la rigenerazione dei paesaggi di scarto a Napoli

Uno dei grandi limiti delle metodologie Mefa è la mancanza di riferimenti geografici che connettano i flussi di materia alle diverse aree della città. Il progetto REPAiR (Resource management in peri-urban areas: going beyond urban metabolism) integra invece – per la prima volta – il geodesign e l’approccio della valutazione del ciclo di vita (Lca) in ambito urbano all’interno di un unico framework, al fine di mettere in evidenza le criticità specifiche a livello locale e le relative opportunità di eco-innovazione per la gestione del metabolismo urbano.
REPAiR è un progetto Horizon2020 che si è concluso a ottobre 2020, il cui obiettivo è stato quello di fornire alle autorità locali un sistema di supporto alle decisioni per la creazione di strategie di sviluppo territoriale sostenibile specifiche per ciascun luogo, denominato
Geodesign decision support environment (Gdse). Il Gdse è stato implementato in sei aree metropolitane, tra le quali Napoli, all’interno di “Living Labs” che hanno sviluppato obiettivi di transizione all’economia circolare, con l’identificazione degli attori interessati e delle aree per la realizzazione di soluzioni e strategie eco-innovative a livello locale.
Uno dei principali temi affrontati per l’area metropolitana di Napoli ha riguardato la conversione dei wastescape (paesaggi di scarto), che sono quei luoghi situati in zone periurbane che accolgono i residui metabolici provenienti dalla città. Si tratta sia di impianti di trattamento di rifiuti, sia di aree abbandonate imbrattate di immondizia. Seguendo i principi dell’economia circolare, questi terreni degradati possono essere rigenerati dal punto di vista ambientale e sociale per determinare una ripresa sostenibile dei territori in crisi, riconnettendoli al tessuto urbano circostante.
Grazie al Living Lab coordinato dal DiARC dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, il progetto REPAiR ha consentito di identificare le principali aree critiche e di definire attraverso il co-design opportune strategie locali basate su azioni eco-innovative per la rigenerazione dei wastescape, una delle quali è l’azione “Recall – Remediation by cultivating areas in living landscapes”. Recall propone un processo di bonifica per l’ex discarica di Scafatella, con l’impiego di specie vegetali locali che hanno elevata capacità di estrarre gli inquinanti dal suolo, quali la canapa e la canna comune. L’utilizzo di queste piante per la bonifica dei suoli (fitorisanamento) e delle acque (fitodepurazione) dei limitrofi Regi Lagni ha molteplici vantaggi: la rimozione degli inquinanti, la rigenerazione del suolo, il ripristino della biodiversità, la riconfigurazione paesaggistica. Queste specie vegetali rustiche richiedono, inoltre, poche cure e hanno una capacità molto elevata di assorbimento della CO2. Ma c’è di più: il loro impiego consente il ripristino di una storica tradizione agricola locale, presente nella zona fino alla fine degli anni ’90, con la conseguente ripartenza di economie a filiera corta. Infatti, dopo essere stata raccolta e testata in laboratorio per valutarne l’eventuale contaminazione, la canapa idonea può essere riutilizzata: dalle varie parti della pianta si possono produrre tessuti, carta, materiali da costruzione, prodotti per la cura del corpo, lettiere per animali, bioplastiche, pacciame e compost; dagli scarti, attraverso un processo di pirolisi, si possono ricavare combustibili come il metanolo. “Questa azione risulta facilmente applicabile anche in altri contesti e ha una triplice chiave di lettura che la rende particolarmente innovativa” spiega la curatrice di Recall, Valentina Vittiglio. “I principi della circolarità sono applicati a livello di territorio (rigenerazione), a livello di prodotto / supply chain, a livello di capitale umano (recupero di maestranze tradizionali), con un impatto positivo a cascata che si riflette anche su altri ambiti, quali il consumo di suolo e le dinamiche sociali”.
Un esempio virtuoso: non può esistere una economia circolare senza un approccio circolare rigenerativo ai territori.

Scarica e leggi il numero 36 di Materia Rinnovabile sulle città circolari.