Pesca sostenibile significa una ricca biodiversità marina protetta, ecosistemi in salute e in grado di rigenerarsi e un settore ittico resiliente, equo, a basse emissioni ed efficiente dal punto di vista energetico.
È un programma tanto ambizioso quanto urgente quello presentato il 21 febbraio dalla
Commissione europea nel nuovo pacchetto per la pesca, l’acquacoltura e gli ecosistemi marini.
Gran parte della nostra economia dipende dalla natura; e la pesca è forse il settore in cui questo legame è più diretto”, ha dichiarato il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans . “Con queste proposte intendiamo costruire una relazione sostenibile con i nostri mari”.

La Politica comune della pesca a 10 anni dalla riforma

Il nuovo pacchetto di misure arriva a dieci anni esatti dalla riforma della Politica comune della pesca (Common fisheries policy CFP), tracciandone anche un bilancio. Originariamente parte della PAC (Politica agricola comune), la CFP ha nel tempo assunto un ruolo indipendente per orientare verso scelte sostenibili – sia da un punto di vista ambientale che sociale – il settore ittico.
Il primo documento presentato dalla Commissione è dunque una
comunicazione sulla “politica comune della pesca, oggi e domani”, che fa il punto sui risultati raggiunti e sulla strada ancora da percorrere. Confermando però i tre capisaldi che hanno guidato fino ad oggi la politica comunitaria per il settore: sostenibilità ambientale, sociale ed economica; cooperazione regionale efficace; e decisioni basate su dati scientifici.

Il pacchetto comprende poi una comunicazione sulla transizione energetica nel settore della pesca e dell'acquacoltura, un piano d'azione per proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini e una relazione sull'organizzazione comune dei mercati dei prodotti ittici.

Verso un comparto ittico a emissioni zero nette

Viste le difficoltà che il settore ittico ha dovuto affrontare nell’ultimo biennio a causa del caro energia e dell’aumento dei prezzi del carburante, il primo punto in agenda è proprio la resilienza energetica. L’attuale dipendenza dai combustibili fossili non solo non è più sostenibile da un punto di vista ambientale, ma rende l’intero comparto vulnerabile alle instabilità geopolitiche e alle oscillazioni del mercato. Tanto che tra il 2021 e il 2022 gran parte della flotta peschereccia europea ha avuto bisogno del sostegno finanziario dell’Unione per non fallire.

L’obiettivo dunque, in linea con i target del Green Deal, è quello di portare il settore della pesca e dell’acquacoltura verso la neutralità climatica entro il 2050, aumentandone l’efficienza energetica e riducendo drasticamente il ricorso a carburanti fossili.

Le flotte europee, in verità, avevano cominciato a ridurre i propri consumi energetici tra il 2009 e il 2014, ma poi – nota il documento della Commissione – i progressi si sono arenati. Si tratterà perciò di dare nuovo impulso alla transizione e uno degli strumenti sarà l’istituzione di un partenariato internazionale che riunisca attorno a un tavolo tutti i portatori di interesse: ovviamente i settori della pesca e dell’acquacoltura, ma anche la cantieristica, i porti, gli stakeholder dell’energia e inoltre le autorità nazionali e regionali e le Ong.

La parte più difficile riguarda però il trasferimento tecnologico. Se esistono le innovazioni per una transizione a combustibili low-carbon o a fonti rinnovabili (motori ibridi elettrico-diesel, motori a energia eolica o sistemi a idrogeno, ad esempio), il refitting delle flotte di pescherecci è tuttavia più facile a dirsi che a farsi. Le navi sono spesso troppo vecchie o appartengono a piccole flotte locali che non hanno i mezzi economici per innovarle; e c’è inoltre il problema della riqualificazione dei lavoratori. Tra gli obiettivi della Commissione c’è dunque quello di colmare le lacune del trasferimento della tecnologia dal campo della ricerca alla fase applicativa, aiutando le imprese a trovare i finanziamenti e promuovendo la formazione e lo sviluppo delle competenze.

Proteggere gli ecosistemi marini

Il cuore del pacchetto sulla pesca sostenibile sono le misure per la protezione degli ecosistemi marini.
Mari e oceani ricoprono oltre il 70% della superficie terrestre, e il 65% di quella dell’Unione europea: una vastità che può sembrare immensa, e infinitamente sfruttabile, ma che ha dei limiti che stiamo pericolosamente superando. I cambiamenti climatici e l’inquinamento da un lato, il sovrasfruttamento degli stock ittici dall’altro minacciano la biodiversità e la capacità degli ecosistemi di auto-rigenerarsi. Il rischio collasso è alto e mette in pericolo, prima ancora dell’economia, la sicurezza alimentare delle popolazioni e la capacità degli oceani di funzionare come carbon sink, mitigando di fatto il riscaldamento globale.

Agire per ridurre gli impatti negativi della pesca è quindi una priorità, la cui urgenza è stata riaffermata dalla Commissione europea con questo Piano d'azione per proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini. I punti cardine del piano sono essenzialmente tre. Prima di tutto, seguendo gli obiettivi della strategia sulla biodiversità al 2030 e quelli dell’accordo di Kunming-Montreal, ci si impegna a proteggere giuridicamente ed efficacemente il 30% dei mari dell’Unione. Il 10%, in particolare, dovrà ricadere nelle categoria delle aree strictly protected, cioè, secondo la definizione internazionale, le riserve naturali integrali in cui è proibita ogni attività antropica. Gli Stati membri sono invitati a procedere il prima possibile con azioni per la protezione degli habitat e delle popolazioni ittiche, mettendo ad esempio dei limiti alla pesca nelle zone di riproduzione e crescita del novellame (cioè i piccoli di pesce azzurro, i cosiddetti bianchetti, purtroppo molto richiesti da varie cucine regionali).

In secondo luogo, il piano mira a ridurre gli impatti delle attività di pesca, e della pesca a strascico in particolare, sui fondali marini, fondamentali tra l’altro per il cosiddetto carbonio blu (cioè la Co2 eliminata dall’atmosfera dalla biomassa vegetale marina). Attualmente, si legge sul documento, “il 79% dei fondali costieri è in qualche modo disturbato, principalmente dalla pesca a strascico, e un quarto delle aree costiere dell’UE ha probabilmente perso l’habitat originario dei fondali”. Gli ecosistemi potrebbero rigenerarsi se la pressione di tali attività diminuisse, ma ad oggi la pesca di fondo è purtroppo largamente diffusa, tanto che in alcune aree i fondali vengono battuti da reti a strascico fino a 10 volte all’anno e in alcune zone, come nell’Atlantico nord-orientale, questo tipo di pesca è consuetudine persino in aree protette come i siti Natura 2000. Oltretutto si tratta di una pesca non selettiva, che quindi cattura nelle reti specie a rischio e genera una grande quantità di pescato rigettato in mare, aggravando l’overfishing e lo spreco di risorse. Il piano d’azione propone allora di eliminare gradualmente la pesca di fondo, con reti a strascico e altri sistemi, in tutte le aree marine protette entro il 2030 e di vietarla in tutte quelle di recente istituzione, adottando le misure già entro marzo 2024 per i siti Natura 2000.

Infine, la Commissione riafferma il principio del rendimento massimo sostenibile (maximum sustainable yield, MSY), cioè il “quantitativo massimo di catture prelevabili dallo stock di una specie senza ridurre le dimensioni della popolazione”. Il principio è stato applicato negli ultimi anni con successo, favorendo la rigenerazione di varie popolazioni ittiche e limitando gli impatti negativi, soprattutto nell’Atlantico nord-orientale. Nel Mar Baltico, invece, i miglioramenti che si erano registrati hanno di recente subito un’inversione di tendenza, mentre nel Mediterraneo i progressi sono troppo lenti e la situazione è piuttosto preoccupante, tanto che un recente report della FAO lo ha definito “il mare più sovrasfruttato al mondo”.

Un patto per la pesca e gli oceani

Rafforzare la sicurezza alimentare, rendere redditizio il settore ittico (e appetibile come scelta lavorativa per le nuove generazioni) e proteggere gli ecosistemi marini: il nuovo pacchetto per la pesca sostenibile cerca di tenere insieme tre enormi sfide, ben sapendo che i primi due obiettivi dipendono strettamente dal raggiungimento dell’ultimo.
La salute del mare è insomma interesse di tutti, ed è per questo che la Commissione istituirà un vero e proprio “patto per la pesca e gli oceani”, allo scopo di riunire non solo gli stakeholder dell’economia blu, ma anche le istituzioni, la società civile e gli scienziati.

Le azioni che proponiamo sono concrete e mirano a ripristinare gli ecosistemi marini e ridurre l'impatto delle attività di pesca sull'ambiente marino, rispondendo così anche agli impegni assunti dall'UE nello storico accordo raggiunto in occasione della COP15 di Montréal su un nuovo quadro globale in materia di biodiversità”, ha ricordato il commissario per l'Ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius. “Sappiamo quanto arduo possa essere questo compito: per questo motivo, la trasformazione sarà graduale e sarà nostro compito incoraggiare il dialogo tra le comunità”.
“Garantire la sostenibilità della pesca significa investire nella
resilienza e nel futuro del settore e dei suoi lavoratori – ha concluso Frans Timmermans - Lavorando insieme potremo trovare il giusto equilibrio e creare ecosistemi marini in salute in tutta Europa”.

Immagine: Jo Anne Mcarthur (Unsplash)