La partita sull’economia circolare deve essere ancora giocata. E il Parlamento europeo farà sentire la sua voce sulle misure presentate dalla Commissione Ue lo scorso dicembre in sostituzione di quelle del luglio 2014. Lo sostiene con forza l’europarlamentare del gruppo socialista Simona Bonafè, membro della Commissione per l’ambiente del Parlamento europeo e relatrice del pacchetto sull’economia circolare che verrà esaminato a Strasburgo. Dice: “Abbiamo già fatto sapere alla Commissione che siamo assolutamente contrari al fatto di aver abbassato, rispetto alla prima proposta, i target di riciclo”. Poi aggiunge: “A mio parere questo progetto non è sufficientemente ambizioso sul piano della prevenzione. Sulla riduzione dei rifiuti a monte, infatti, è previsto troppo poco. Si tratta di azioni generiche e non vincolanti che rappresentano un punto di debolezza”. 

Quanto ai tempi di quello che si annuncia come un confronto serrato sia con la Commissione sia con il Consiglio europeo, Simona Bonafè ha spiegato che depositerà la sua proposta il 21 aprile “poi ci saranno la presentazione degli emendamenti e la discussione in Commissione ambiente”. Lo scopo: consentire al Parlamento europeo di arrivare al confronto con la Commissione a novembre quando dovrebbero essere pronte anche le proposte del Consiglio europeo. 

Sul fronte interno, quello della politica italiana, Bonafè incassa l’appoggio di Chiara Braga, responsabile ambiente del Partito Democratico: “Siamo tutti impegnati – dichiara – a supportare nel modo migliore il compito della relatrice del pacchetto sull’economia circolare. Giudichiamo la proposta dalla Commissione poco ambiziosa. E non ci riferiamo solo ai target del riciclo. Ma anche alla necessità di seguire tutta la vita dei prodotti dalla progettazione ecofriendly, alla responsabilità estesa del produttore al riuso o al riciclo. Solo così si può parlare a ragione di economia circolare. Per il nostro paese si tratta di un’occasione da non perdere”. 

Se lasciamo il mondo della politica puntando la lente su quello degli stakeholder osserviamo un panorama molto variegato. Per vederci chiaro il ministero dell’Ambiente ha affidato alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile presieduta da Edo Ronchi (a sua volta già ministro per l’Ambiente tra 1996 e 2000) il compito di coordinare un tavolo di consultazione con gli stakeholder stessi. La partecipazione è stata massiccia: 29 organizzazioni dell’industria, dell’artigianato, dei consorzi di raccolta e del trattamento dei rifiuti hanno fatto le loro osservazioni. “Abbiamo rilevato nei confronti del pacchetto sull’economia circolare – dice Ronchi – un atteggiamento positivo, superiore alle nostre aspettative. E la convinzione che queste misure genereranno dei benefici e delle opportunità di mercato per le imprese”.

Ronchi osserva inoltre che il pacchetto presentato dalla Commissione nel 2014 è praticamente sconosciuto agli stakeholder che, quindi, hanno concentrato la loro attenzione solo sul testo licenziato nel dicembre del 2015. Quanto alle richieste di chiarimento o di modifica si concentrano su poche aree. Come quella di precisare meglio i codici Cer (Catalogo europeo rifiuti) per l’identificazione dei rifiuti urbani. O di chiarire caso per caso le normative che governano le materie prime seconde senza imbrigliarle in un sistema burocratico onnicomprensivo e farraginoso. Riguardo alla responsabilità estesa del produttore gli stakeholder chiedono una spiegazione relativa alla concorrenza, tema particolarmente sentito in Italia. In sostanza si vuole capire se i consorzi di raccolta dei rifiuti manterranno o meno il monopolio nelle loro aree di intervento. Infine da sottolineare la richiesta di rafforzare il Green Public Procurement imponendo alle amministrazioni pubbliche di privilegiare l’acquisto di prodotti da riciclo. 

Tuttavia fra gli stakeholder non mancano voci molto critiche nei confronti del lavoro della Commissione. Per rendersene conto basta ascoltare Marco Versari, presidente di Assobioplastiche, l’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili: “Mi sarei aspettato – afferma – che nel pacchetto fossero indicati degli obiettivi temporali precisi per la raccolta differenziata e in particolare per quella della frazione organica. La cosa più grave è che la Commissione arriva a dire che la stessa raccolta differenziata va effettuata ove economicamente e tecnicamente sostenibile”. Secondo Versari non c’è dubbio che una formulazione di questo tipo rischia di tagliare le gambe allo sviluppo dell’economia circolare. Spiega: “Chiunque potrà trovare dei pretesti tecnici o economici per boicottare la raccolta differenziata”. Poi aggiunge: “Senza contare che la proposta non ha reso obbligatorio la raccolta dell’umido e non ha fissato alcuna data al riguardo”. 

“Dov’è – si chiede Versari – la scommessa sul frazionamento organico? Senza il frazionamento organico molte sfide del nostro paese legate all’economia circolare rischiano di restare sulla carta. Non si può sviluppare un settore industriale in mancanza di regole e paletti chiari. Nel documento della Commissione trovo tanta burocrazia e molto formalismo. Ma come, mentre alla Cop21 di Parigi il mondo intero punta sulla differenziata Bruxelles frena?”. Non potendo trovare un elemento positivo all’interno del documento europeo presentato in tutta questa vicenda il presidente di Assobioplastica si vede costretto a farsi scudo della legislazione nazionale. Dice: “Per fortuna che il collegato ambientale alla legge di stabilità 2016 prevede una serie di norme che sostengono la raccolta differenziata”. 

Se Versari è molto severo sul pacchetto del 2015, sferzante appare Angelo Consoli, direttore dell’ufficio europeo di Jeremy Rifkin nonché cofondatore dell’“Alleanza per l’economia circolare” e punto di riferimento di numerose organizzazioni non governative. Dice: “La Commissione non ci ha ascoltato e non ha fatto un buon lavoro”. E disegna un approccio che punta al coinvolgimento delle comunità locali, all’utilizzo delle stampanti 3D e alla valorizzazione della filiera corta. Racconta: “Avevamo raccomandato alla Commissione tre punti che a nostro avviso sono le precondizioni per fare un buon lavoro. A cominciare dalla necessità di superare l’idea di una ‘cabina di regia unica’ per coordinare gli interventi a livello nazionale sostituendola con una governance centrata sulle comunità locali e prevedendo la figura dell’assessore all’economia circolare come punto di riferimento tecnico e politico. Non si può sbagliare: gli interventi di riciclo e riuso per essere efficaci devono svolgersi sul territorio”.

Il secondo caposaldo della proposta Consoli, strettamente legato al primo, gioca la carta della filiera corta: raccolta differenziata, compostaggio, riciclaggio debbono avvenire a livello locale puntando sul chilometro zero per ridurre le emissioni di CO2. “Occorre favorire la crescita di un’economia distribuita: basta con i mega impianti, sì ai piccoli stabilimenti non inquinanti che creano occupazione e mantengono il rapporto con il territorio”. In realtà il modello disegnato da Consoli va ancora oltre e prevede incentivi per lo sviluppo di una fitta rete di stampanti 3D in grado di utilizzare il ferro, la plastica, l’alluminio e gli altri materiali raccolti a livello locale. Un disegno, va precisato, che assegna un ruolo importante allo sviluppo della bioeconomia. Ma con un vincolo preciso: “Vogliamo puntare, per esempio, sull’estrazione dell’acido polilattico dal mais? Bene, ma questa operazione deve svolgersi sul territorio, in un piccolo impianto e con una governance locale”.

L’approccio alla Rifkin promosso da Consoli è strettamente collegato all’idea di una “decarbonizzazione” del Vecchio Continente. E il modello di economia distribuita s’intreccia all’utilizzo delle energie rinnovabili in tutte le fasi della trasformazione. Spiega: “Senza il ricorso all’energia del sole e a quella del vento l’economia circolare rischia di rimanere monca, un’incompiuta che l’Europa e gli europei non si meritano”. 

Di tenore completamente diverso il punto di vista di Confindustria che in una dichiarazione rilasciata a Materia Rinnovabile considera positivamente “l’azione promossa dalla Commissione europea per sostenere la transizione verso un modello economico di tipo circolare attraverso la definizione di un nuovo quadro strategico e regolamentare”. E la giudica come “una straordinaria opportunità di crescita nel rispetto dell’ambiente non solo per l’industria ma per l’intero sistema paese”. Gli imprenditori italiani non hanno dubbi: Bruxelles si è mossa bene. E le strategie delineate nel dicembre del 2015 appaiono congruenti con il dna del sistema industriale del paese. “La valorizzazione di residui produttivi attraverso il loro reimpiego – sostiene l’organizzazione – rappresenta una caratteristica innata del nostro sistema produttivo”. 

In questo quadro gli industriali hanno buon gioco nel rivendicare le caratteristiche distintive del tessuto produttivo nazionale: “Eurostat certifica che le imprese italiane, con 337 chilogrammi di materia prima ogni milione di euro prodotto, non solo fanno molto meglio della media Ue (497 kg), ma si piazzano seconde tra quelle delle grandi economie comunitarie dopo le britanniche. Un primato che per Confindustria si estende anche al “fine vita” dei prodotti: “A fronte di un avvio a recupero industriale di oltre 163 milioni di tonnellate di rifiuti riciclabili su scala europea, in Italia sono stati recuperati 25 milioni di tonnellate: il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei”. 

Insomma, gli imprenditori sono convinti di aver fatto i compiti a casa e sostengono che una proposta meno costosa in termini di investimenti come quella formulata dalla Commissione nel 2015 sia la più adeguata per un’industria nazionale con il fiato corto e che fatica ad agganciare la ripresa: “Riteniamo che il pacchetto di proposte licenziato dalla Commissione Ue a dicembre di quest’anno in materia di rifiuti, rappresenti, complessivamente, un tentativo di qualificare ulteriormente il quadro di riferimento normativo, anche in relazione con il pacchetto di proposte precedentemente presentato dalla Commissione Ue a luglio 2014 e ritirato dal nuovo esecutivo”.

L’impressione è che Confindustria tema che la gestione del pacchetto possa provocare un aumento dei costi. Una preoccupazione che traspare da una parte dall’apprezzamento di una serie di misure proposte dalla Commissione nel dicembre del 2015: armonizzazione del quadro regolatorio, unificazione del metodo di calcolo degli obiettivi, “introduzione di condizioni minime operative per l’applicazione della responsabilità estesa del produttore”. E dall’altra dalla richiesta di “monitorare attentamente tutte queste iniziative durante il processo di approvazione definitiva per correggere alcune criticità che le caratterizzano”.