Come si posiziona l’Italia di fronte alla grande sfida dell’economia circolare? La risposta potrebbe sorprendere alcuni: non male. Anzi bene. Meglio di tanti altri paesi Ue. Magari non lo sa raccontare bene come gli olandesi, o forse è il sistema paese a non sbandierare i risultati ottenuti.

Secondo Eurostat l’Italia, tra il 2000 e il 2017, ha compiuto grandi passi in avanti nell’uso efficiente delle risorse, crescendo di circa il 90%, anche se tra il 2014 e il 2015 ha visto una contrazione di oltre 10 punti percentuali. In un confronto tra le cinque più sviluppate economie europee, l’Italia segna la seconda miglior performance dopo la Spagna che negli ultimi anni ha registrato una notevole impennata.

È da tener presente che, per l’Italia, questa crescita è avvenuta in assenza di un quadro coordinato di stimoli verso la circolarità. Mentre, invece, stati come la Germania e il Regno Unito da anni hanno adottato e implementato strategie mirate. Pertanto quando anche l’Italia disporrà di simili strumenti è da attendersi un significativo balzo in avanti. Che potrebbe anche portarla avanti a tutti.

Eurostat ci fornisce un altro dato favorevole: secondo l’ultima rilevazione (2014) l’Italia è il quarto paese europeo con un tasso di riciclo rispetto alla quantità di rifiuti prodotti pari al 67%, collocandosi dietro il Belgio, la Slovenia e i Paesi Bassi. Comunque il primo tra le economie principali (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna).

Il dato migliora se osserviamo la percentuale di riutilizzo dei materiali. Con un tasso che nel 2014 ha raggiunto il 18,5%, in questa classifica saliamo al secondo posto dietro ai Paesi Bassi.

Ma si potrebbe fare di più. Al momento a livello nazionale è stato prodotto un documento di posizionamento e in questi mesi è in corso la consultazione sul documento dedicato agli indicatori per la misurazione dell’economia circolare. 

Il primo documento pone già alcuni indirizzi che dovrebbero essere assunti in una futura strategia, come per esempio l’opportunità di intervenire con nuovi strumenti nella gestione dei rifiuti organici, la necessità di promuovere un “Piano nazionale di educazione e comunicazione ambientale” che favorisca nuovi modelli di consumo o una riforma fiscale che favorisca una maggiore produttività delle risorse. Il secondo, invece, si propone di individuare un modello condiviso per monitorare il progredire dell’economia circolare in Italia. 

Inoltre, nei prossimi mesi verrà approvata la legge di delegazione europea che contiene la delega al governo per il recepimento delle direttive sui rifiuti. 

 

Un certo fermento si registra da tempo anche da parte delle amministrazioni regionali, come in Emilia Romagna, Campania, Marche, Friuli Venezia Giulia, Calabria e Puglia, che attraverso leggi, provvedimenti, costituzione di forum o finanziamento di progetti hanno assunto politiche mirate alla circolarità. Si può, dunque, sostenere che lo sviluppo dell’economia circolare sia un tema già presente nell’agenda delle nostre istituzioni e che è destinato ad aumentare di importanza.

Purtroppo, non tutti i dati sono positivi. L’Italia non ha raggiunto gli obiettivi minimi di raccolta dei Raee, così come gli obiettivi di riciclo e recupero dei veicoli fuori uso aprendo così la porta all’avvio di procedure di infrazione. Questi fallimenti sono il sintomo di modelli di governance dei sistemi di responsabilità estesa del produttore (Epr), che evidentemente non funzionano. Anche per le resistenze di alcuni comparti industriali. 

La situazione è particolarmente grave per i veicoli fuori uso: nel modello adottato in Italia i produttori non rispondono finanziariamente né per assolvere i compiti di corretta gestione dei rifiuti, né per mancato raggiungimento degli obiettivi. In altri termini, in questo caso siamo di fronte a un regime di “irresponsabilità estesa del produttore”.

Peraltro, sul tema dell’Epr regna molta confusione – anche di natura ideologica – che rischia di peggiorare la situazione in vista del recepimento della direttiva. Pesa, infatti, un’indagine condotta dall’Autorità garante per la concorrenza che invoca i principi della competizione come fondanti la riforma dell’Epr. Una conclusione che appare fuorviante dato che la prima finalità – come sostiene anche il legislatore europeo – dei regimi Epr è quella di raggiungere obiettivi ambientali e non di garantire la concorrenza. Insomma, si confondono gli strumenti con i fini.

Un altro tema caldo riguarderà le misure con cui assicurare risorse economiche alla transizione verso l’economia circolare in Italia. Queste risorse esistono, ma non sarà comunque facile accedervi, in particolare in tempi brevi.

Si tratta di una cifra che oscilla tra i 16 e 26 miliardi di euro all’anno. Infatti, a tanto ammontano i sussidi ambientalmente dannosi (16 miliardi) e quelli ambientalmente neutri (circa 9 miliardi) censiti dal ministero dell’Ambiente e riconosciuti dallo Stato ai diversi comparti economici. Mentre i sussidi classificati come “ambientalmente favorevoli” raggiungono i 15 miliardi. Dunque, le risorse ci sarebbero, ma al momento non sono disponibili. Si tratta semplicemente di riallocarle.

Per evitare contraccolpi socialmente negativi sarebbe opportuno avviare un confronto aperto e trasparente che porti alla condivisione di un programma per una loro progressiva ricollocazione. Il solo annuncio di una simile iniziativa rappresenterebbe un formidabile segnale per gli investitori e la finanza.

Anche l’opzione meno ambiziosa – ossia prevedere la cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi – già di per sé darebbe un forte impulso a quelle attività economiche che sono coerenti con un obiettivo di sostenibilità dello sviluppo. Ma ciò non sarebbe di sicuro paragonabile alla spinta che si avrebbe se questi valori fossero destinati a sostenere l’economia circolare!

Esistono inoltre altri nodi da sciogliere, in particolare quelli di natura normativa e che potrebbero essere superati in sede di recepimento delle nuove direttive. Fra i tanti, due meritano di essere citati. Il primo riguarda la disciplina delle tecnologie ammissibili di riciclo e recupero dei rifiuti, penalizzata da un quadro di riferimento che nel complesso risale a oltre 20 anni fa. Nel frattempo, sono emerse nuove pratiche e sono stati immessi nel mercato nuovi materiali e prodotti che non hanno riferimenti normativi utili, mettendo in difficoltà le amministrazioni preposte al rilascio delle autorizzazioni e frenando la ricerca e gli investimenti. 

Il secondo, invece, è dato dalla totale mancanza di disposizioni che promuovano il riutilizzo: in taluni casi le norme risultano addirittura dissuasive. Basti pensare che per riparare un oggetto l’Iva è al 22%, per gestirlo come rifiuto l’aliquota è al 10%. Meno della metà!

Ciò nonostante, il settore produttivo italiano è sensibile alle tematiche ambientali. Secondo la Accredia (l’ente italiano di accreditamento delle società di certificazione) in Italia risultano circa 180.000 registrazioni ambientali, anche se da ricerche condotte dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile le aziende italiane si pongono al 41° posto al mondo per investimenti nella green economy (dato 2016). Dato compensato da un altro studio della Fondazione secondo cui ben il 27,5% delle imprese italiane è “Core Green”, ossia produce beni o servizi ambientali o specificamente finalizzati a elevate prestazioni ambientali, mentre il 14,5% è “Go Green”, ossia si è dotato modelli green di gestione. Per un totale del 42% delle imprese.

Anche il mondo imprenditoriale e della ricerca si è già mosso. Ecodom ha strutturato una piattaforma web interattiva – l’Atlante italiano dell’economia circolare – che censisce e racconta le esperienze delle realtà economiche e associative impegnate ad applicare, in Italia, i principi dell’economia circolare. Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha sviluppato progetti di simbiosi industriale in Sicilia. Novamont da anni ha brevettato un polimero biodegradabile. Fater ha realizzato il primo impianto al mondo che ricicla interamente i pannolini. Viscolube ha brevettato una tecnologia ad alta efficienza per la rigenerazione degli oli minerali. Castalia sta conducendo – assieme alla Fondazione Sviluppo Sostenibile – un progetto per l’intercettazione delle plastiche surnatanti (quelle trasportati dalla corrente ma sotto la superficie dell’acqua) sul fiume Po. 

Enel ha avviato un programma di azioni tra cui spicca l’incremento del numero di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici e un protocollo per gli acquisti che ammette solo fornitori in grado di fare Lca. E l’Italia per prima ha creato una rivista internazionale di economia circolare, Materia Rinnovabile appunto, giunta oramai al quarto anno di pubblicazione. 

 

Accredia, www.accredia.it/banche-dati

Relazione sullo stato della green economy. L’Italia in Europa e nel mondo 2016tinyurl.com/y9zo4jfz

Relazione sullo stato della green economy in Italiatinyurl.com/y8bow42q

Cen, circulareconomynetwork.it

 

 

Le attività della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile

Fondata nel 2008 da Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente nel governo nazionale e promotore della prima legge quadro sulla gestione dei rifiuti, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile da anni ha iniziato a lavorare sul tema della circolarità realizzando studi, ricerche e analisi per indagare le caratteristiche del sistema Italia, comprendere gli ostacoli e punti di forza e definire proposte. Sono stati promossi incontri, confronti e forum con il mondo delle imprese per incrementare la conoscenza dei temi dell’economia circolare e promuovere lo scambio delle buone pratiche.

La Fondazione ha collaborato con il ministero dell’Ambiente per definire la posizione italiana durante le trattative in sede europea sull’economia circolare, e sta collaborando con la Regione Campania per definire un modello di economia circolare su scala regionale.

Quest’anno la Fondazione ha istituito il Circular Economy Network (Cen) con lo scopo di:

  • promuovere, raccogliere e divulgare studi, ricerche ed elaborazioni sull’economia circolare;
  • definire gli indicatori chiave di circolarità e analizzare le performance nazionali;
  • effettuare la ricognizione delle principali criticità e delle barriere da rimuovere, indicando le possibili soluzioni;
  • elaborare strategie, policy e misure da proporre ai decisori politici, favorendo una positiva interlocuzione tra il mondo delle imprese e le istituzioni;
  • valorizzare e contribuire alla diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche.

Il Cen ogni anno pubblicherà un rapporto sullo stato dell’economia circolare in Italia, organizzerà un congresso dei promotori e degli aderenti e premierà le migliori start up del settore. Il network si propone di organizzare convegni, confronti e seminari sul tema. Per novembre saranno organizzati due eventi: il primo durante la fiera Ecomondo di Rimini assieme al Consiglio nazionale per la Green economy; il secondo a Roma sulle potenzialità e gli ostacoli all’economia circolare in Italia.

Il network vede al momento 13 aziende promotrici, tra cui Grt, Aitec, Burgo, Fater, Hera, Ecodom, Green Rail, Ecopneus, Conai, Montello, Novamont, Uliveto Rocchetta, Cobat e oltre 100 aderenti. L’obiettivo è allargare il numero degli aderenti e divenire uno dei punti di riferimento per la promozione dell’economia circolare nel nostro paese.

 

Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, www.fondazionesviluppo sostenibile.org

 

 

 


 

 

Incubatori Italia

di Antonella Ilaria Totaro

 

Ellen MacArthur

 

CE Lab

Inaugurato a fine settembre 2018, il Circular Economy Lab è nato dalla collaborazione tra il Gruppo Intesa Sanpaolo, partner finanziario della Ellen MacArthur Foundation, e la Fondazione Cariplo, fondazione bancaria impegnata nella promozione di progetti di utilità sociale. L’obiettivo del CE Lab è di diventare il punto di riferimento sui temi dell’economia circolare italiana a Milano. 

Il neonato laboratorio è uno spazio di sviluppo e crescita di startup e pmi, punto di raccordo per la creazione di relazioni e progetti che coinvolgono anche grandi imprese, centri di ricerca, università e altre realtà locali. Open innovation, formazione, innovazione e impact investing sono le tematiche individuate dal Lab per promuovere imprese circolari e sviluppare un’economia slegata dallo sfruttamento delle risorse naturali. Il Lab punta a essere un acceleratore soprattutto per aziende ad alto valore tecnologico impegnate su robotica avanzata, materiali biobased, accumulo energetico, genomica, realtà virtuale e manifattura 4.0. 

Una delle prime iniziative di open innovation transitate attraverso il CE Lab è “Trace x Novamont”. L’istituto bancario torinese insieme all’azienda novarese Novamont ha aperto una Call for Proposal rivolta a centri di ricerca, startup e PMI che lavorino a soluzioni e tecnologie legate alla biochimica industrale, alla valorizzazione delle biomasse lignocellulosiche, all’agricoltura di precisione, all’ampliamento delle filiere di bioplastiche, biolubrificanti e biocosmesi. 

Il CE Lab opera negli spazi riqualificati all’interno dell’ex area Ansaldo di Milano, già sede di Cariplo Factory, polo lombardo dedicato ai progetti di open innovation e valorizzazione dei giovani talenti che, aperto poco più di due anni fa, punta a creare nuove opportunità lavorative legate al settore digitale e nuovi scenari occupazionali.

Gruppo Intesa Sanpaolo inoltre ha in programma la creazione di un plafond di 5 miliardi di euro per i prossimi quattro anni con l’impegno di spingere pmi e grandi aziende, tramite migliori condizioni di accesso al credito, a transitare verso modelli di business circolari e innovativi. 

 

Circular Economy Lab, circulareconomylab.com

 


 

 

Progetto Manifattura

Nato nel 2011 a Rovereto in Trentino Alto Adige, Progetto Manifattura è oggi uno dei più grandi incubatori europei in cui start-up dedicate alla green economy lavorano accanto ad aziende mature, affiancate da centri di ricerca e sviluppo, fablab e laboratori manifatturieri.

Quattro sono i principali nuclei imprenditoriali di Progetto Manifattura: cleantech ed energie rinnovabili, economia circolare, edilizia sostenibile e servizi ambientali. Accanto ai questi temi principali l’hub sta accogliendo via via nuove tematiche e aziende impegnate nella mobilità sostenibile, con un particolare focus sulla bike-economy, domotica e industria dello sport.

Nel polo sono presenti anche realtà come Habitech, primo distretto italiano per l’energia e l’ambiente, Green Building Council Italia e il centro di ricerca in bio-informatica Microsoft–COSBI.

Progetto Manifattura accoglie oggi 48 aziende, per un totale di 205 addetti che dovrebbero salire a 250 entro il 2018. L’età media dei neo-imprenditori è di 32 anni, molti laureati, con una forte presenza di donne (circa il 50%). L’espansione dell’incubatore è costante: i numeri parlano del 50% di crescita media annua dell’occupazione dal 2011 e di 300 milioni di euro di fatturato per le aziende insediate.

Si tratta di un’espansione anche fisica: è, infatti, in corso la realizzazione di nuovi uffici per quasi 26 mila metri quadrati che consentiranno di raddoppiare le superfici produttive e gli spazi per le aziende, con una stima a regime di 100 realtà insediate per 1.200 addetti. La fine del lavori è prevista per gennaio 2020, 

La struttura stessa dell’incubatore è un caso di rigenerazione urbana. Progetto Manifattura sorge, infatti, nell’interno dell’antica Manifattura Tabacchi di Rovereto, chiusa nel 2008 dopo oltre 150 anni di attività e trasformata dalla Provincia autonoma di Trento tramite la propria agenzia per lo sviluppo territoriale Trentino Sviluppo SpA. 

 

Progetto Manifattura, www.progettomanifattura.it