Ma lo studio, oltre a stimare i costi ambientali causati dalle pratiche della produzione alimentare insostenibile, indica metodi per avviare approcci alternativi all’agricoltura intensiva in grado di fornire risultati migliori dal punto di vista ambientale e del valore economico totale dell’attività agricola. Esiste, infatti, una vasta gamma di possibilità concrete per adottare pratiche agricole più sostenibili che riducano gli impatti e aiutino le nazioni a soddisfare la sfida dell’incremento della produzione alimentare, garantendo al contempo le necessità di una popolazione in crescita.

Oggi le attività agricole e zootecniche occupano il 38% della superficie delle terre emerse: la cifra più significativa della trasformazione fisica causata dalla pressione umana agli ecosistemi terrestri.

Tali attività dipendono da beni e servizi disponibili gratuitamente grazie ai sistemi naturali che offrono un suolo vitale, un clima stabile e una buona disponibilità di acqua. L’analisi effettuata dalla Fao e da Trucost ha studiato le pratiche agricole e zootecniche di oltre 40 paesi che coprono l’80% di quattro produzioni agricole (mais, riso, frumento e soia) e le quattro commodities più significative del comparto zootecnico (carne bovina, latte, maiale e pollame). In particolare è stato analizzato il valore finanziario dei benefici economici derivanti da un range di metodi agricoli e zootecnici alternativi in quattro casi studio: le farm di bestiame in Brasile, la produzione di riso in India, quella di soia negli Stati Uniti e di frumento in Germania.

Dallo studio è emerso che oggi i costi della produzione del bestiame si aggirano sui 1.810 miliardi di dollari. Solo in Brasile la produzione di carne bovina genera un impatto ambientale quantificabile in quasi 600 milioni di dollari, dovuti soprattutto ai danni causati dalla deforestazione. In Cina, invece, produrre carne di maiale costa 327 milioni di dollari derivati dalla conversione dell’uso dei suoli legata alla produzione di mangimi. 

1.150 miliardi di dollari, invece, è il costo complessivo annuo connesso alla produzione dei raccolti. In testa la Cina, con 130 milioni di dollari per il mais, a seguire gli Usa con 90 milioni di dollari dovuti soprattutto alle modificazioni di uso del suolo e all’inquinamento dell’acqua. E la Germania dove produrre grano costa 62 milioni di dollari legati in particolare all’inquinamento delle acque dai fertilizzanti azotati. Ma – come dimostra la ricerca – questi costi ambientali si possono contenere con approcci alternativi. Per esempio, potrebbero diminuire dell’11% riducendo il numero e la concentrazione dei capi di bestiame in Brasile, consentendo alla vegetazione di ricrescere.

Se il mondo economico e finanziario cominciasse a comprendere quanto costerebbe sostituire gli stock e i servizi che la natura ci offre, si valuterebbe meglio l’impatto economico del degrado dell’ambiente. Secondo un recente studio realizzato da Robert Costanza e da altri noti economisti ecologici, tra il 2007 e il 2014 – a causa del degrado degli ecosistemi – l’umanità ha perso servizi ambientali per circa 20.000 miliardi di dollari l’anno. Tra l’altro lo studio ha considerato solo i servizi ecosistemici “diretti”: l’acqua dolce per produrre il cibo, la qualità del suolo, il valore del legno ecc. Senza considerare le funzioni ecologiche “indirette” come il mantenimento dei predatori apicali nelle catene alimentari degli ecosistemi, fondamentali per garantire che gli stessi rimangano produttivi e resilienti. O degli insetti impollinatori necessari per mantenere vitale l’agricoltura. Ma anche così, è evidente che l’intera economia mondiale è profondamente sovvenzionata dalla natura. Se i settori economici produttivi dovessero pagare per questi servizi, sebbene valutati per difetto, si avrebbe una riduzione di almeno il 27% dell’output netto dell’economia mondiale.

Per questo occorre diffondere i risultati di tanti autorevoli programmi internazionali tra cui il Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity), l’Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystems Services (Ipbes), il Natural Capital Project. Tutte queste analisi dimostrano come la gestione sostenibile degli ecosistemi rappresenti un elemento cruciale e vantaggioso per ogni nazione e attività economica. È fondamentale avviare una nuova economia basata sulla centralità del capitale naturale e della sua cura, altrimenti non avremo alcuna alternativa di sviluppo e di benessere.

 

 

Fao, Natural Capital Impacts in Agriculture. Supporting Better Business Decision-making, giugno 2015; tinyurl.com/q5b3kh7

Costanza R. et al., “Changes in the global value of ecosystem services”, Global Environmental Change, v. 26, maggio 2014; tinyurl.com/m9l4t6n