Il ponte di Anjan in Cina è uno dei più antichi del mondo e fino a pochi decenni fa era fatto completamente di bambù. Solo alla fine del secolo scorso le canne sono state sostituite con cavi d’acciaio. Una storia che però è destinata a diventare sempre più l’emblema di una tendenza del passato. Per la sua rapida crescita in situazioni climatiche diverse e senza bisogno di particolari input agricoli, di pari passo con prestazioni ambientali molto positive, infatti, il bambù è considerato da molti il nuovo oro verde. Perfetto per inserirsi nei cicli produttivi di un’industria alle prese con una transizione biobased, valida alternativa ad altre materie prime scarse e costose, e allo stesso tempo preziosa occasione di sviluppo per i Paesi emergenti della fascia tropicale, uno degli habitat migliori per il bambù. In Africa e America Latina è ancora considerato spesso “il legno dei poveri”, ma le cose stanno lentamente cambiando.

Secondo Michael F. Ashby, scienziato dell’università di Cambridge e autore di Material and the Environment, nei prossimi 25 anni la domanda di materie prime aumenterà di quasi il 3% annuo. Allo stesso tempo, per molte di esse c’è un problema di scarsità, con metalli come il piombo, il rame e lo zinco le cui riserve sfruttabili non dureranno più di 25 anni. Ad alimentare i cicli produttivi, insomma, dovranno essere maggiori quantità di materie rinnovabili, capaci di incamerare anche CO2 piuttosto che generare grandi quantità di emissioni in fase di estrazione e utilizzo. D’altra parte, per rispettare gli impegni presi alla Conferenza sul Clima di Parigi, l’industria dovrà essere in prima fila nel taglio delle emissioni. 

 

 

“In questo contesto di una economia biobased nascente, le piante alternative e preferibilmente a crescita rapida come bambù, canapa, lino, alghe, miscanthus, sughero, ma anche diverse specie di alghe e funghi (come il micelio) hanno potenzialmente un ruolo importante da giocare”, scrive nel suo libro Booming Bamboo. The (re)discovery of a sustainable material with endless possibilities Pablo Van der Lugt, ingegnere olandese tra i massimi esperti europei del nuovo oro verde. Solo in Europa, per esempio, secondo McKinsey un modello circolare potrebbe ridurre i consumi di materie prime di un terzo al 2030 e dimezzarli al 2050 rispetto al 2015.

Il bambù è una specie di erba gigante: appartiene alla famiglia delle graminacee e come loro ha una velocità di crescita maggiore degli alberi. In non più di tre anni le canne di bambù si lignificano e dopo cinque anni dalla semina si può fare la prima raccolta: le canne sono già pronte per essere usate in applicazioni in cui è necessaria notevole rigidità e robustezza, come l’edilizia. “Non servono erbicidi o pesticidi, si tratta di una coltivazione economica”, spiega Omar Pandoli, ricercatore della Pontificia Università del Brasile che da alcuni anni studia l’ingegnerizzazione delle canne di bambù. Proprio la loro velocità di crescita garantisce ritorni economici soddisfacenti, senza comportare rischi di deforestazione: in una piantagione gestita in maniera sostenibile, infatti, è possibile raccogliere ogni anno un quarto delle canne di bambù presenti senza mettere in pericolo la sopravvivenza dell’intera foresta. Non solo: in molti casi il bambù viene usato per riforestare aree degradate in Cina e India, per la sua capacità di rivitalizzare il suolo grazie a una rete molto estesa di radici. “Nonostante nelle piantagioni commerciali pesticidi e fertilizzanti possano essere usati per ottenere raccolti più abbondanti, il loro impiego non è obbligatorio e certamente non si tratta di una pratica comune (come è invece nelle piantagioni di alberi da legname)”, scrive ancora Van der Lugt. 

E il bambù si conquista una promozione anche sul piano della performance di carbonio, con un’impronta di CO2 negativa: “In applicazioni dove è possibile sostituire materiali ad alta emissione di anidride carbonica (metalli, plastica, legno tropicale da fonti non sostenibili) con il bambù, questo potrebbe portare a un’elevata riduzione della CO2. Se questo effetto di sostituzione venisse incluso in accordi climatici in futuro, la cosa rappresenterebbe un grosso incentivo per un’ulteriore implementazione di bambù durevole e di altri prodotti biobased nell’industria delle costruzioni”. A questo si aggiunge il fatto che assorbendo grosse quantità di CO2, il bambù può riportare in produzione terreni degradati o aumentare la resa di quelli con altri tipi di coltivazioni, con grossi benefici economici per i paesi emergenti.

Se in Cina e in India il bambù è presente da millenni, con una tradizione consolidata e una diffusione molto ampia, in altri paesi le sue potenzialità si iniziano ad apprezzare solo di recente, e molto più lentamente. 

È il caso del Brasile, dove la storia della riscoperta del bambù si intreccia a quella di Khosrow Ghavami. Professore di ingegneria iraniano, arriva alla Pontificia università di Rio de Janeiro nel 1979 e da allora lavora per approfondire le potenzialità del bambù. “È stato un pioniere ed è riuscito a dimostrare che il bambù poteva sostituire l’acciaio in combinazione con il cemento. Allora pensare una cosa simile era considerata un’eresia”, spiega Pandoli, docente del dipartimento di chimica nell’università brasiliana. Arrivato in Brasile nel 2012 dopo aver studiato in Cina, all’ateneo di Rio ha “ritrovato” il bambù e a quel punto ha deciso di andare a conoscere Ghavami. “Da lì è partita la mia ricerca per ottenere quello che lui chiama il super nano bambù: si tratta di canne ingegnerizzate in cui le piccole cavità sono riempite di nanoparticelle che ne migliorano le prestazioni e la resistenza agli attacchi biologici”. 

 

Acciaio vegetale

Il bambù può essere il nuovo acciaio. Lo ha dimostrato con i suoi studi a partire dagli anni ’70 l’ingegnere iraniano e docente alla Pontificia università di Rio de Janeiro Khosrow Ghavami. E ne è convinto anche l’architetto colombiano Simón Vélez, che progetta soprattutto edifici per le zone rurali, spesso usando proprio questo materiale dalle molteplici potenzialità. 

L’idea che lo ha guidato è stata quella di una “architettura vegetariana”: “Abbiamo un’overdose di minerali nell’industria delle costruzioni, soprattutto nei Paesi del terzo mondo”, dice, mentre il passaggio a materiali rinnovabili potrebbe abbassare i costi aumentando la sostenibilità ambientale, ma anche la resistenza delle costruzioni. Più di tre decenni fa, infatti, Vélez ha scoperto una tecnica per trasformare il bambù in una specie di “acciaio vegetale”, rendendolo più robusto dello stesso metallo: iniettando malta di cemento nelle cavità del bambù dove ci sono unioni strutturali. Oggi l’architetto colombiano ha progettato più di 200 edifici tra Europa, Usa, Sud America e Asia. Molti di questi utilizzano Wil bambù.

 

E l’oro verde ha convinto numerosi progettisti in tutto il mondo, soprattutto da quando si sono diffusi dei trattamenti ad alta temperatura che rendono questo materiale resistente anche per l’uso esterno, in facciate e pavimentazioni. Tra questi, per esempio, c’è il trattamento brevettato chiamato Bamboo X-treme. A Oslo, in Norvegia, la casa di riposo Bo-og è stata una delle prime costruzioni in cui il bambù trattato termicamente è stato usato per una facciata su una grossa estensione. 

A Beer Sheva, in Israele, invece, sono fatte di bambù la pavimentazione e la copertura di un ponte pedonale lungo 180 metri che collega l’università all’area situata oltre la stazione ferroviaria, mentre allo zoo di Lipsia, in Germania, migliaia di canne di bambù sono state usate per la facciata del nuovo parcheggio coperto, unendo eco-sostenibilità a un tocco di esotismo.

 

Un’altra linea di ricerca che sta prendendo piede in Brasile riguarda il miglioramento delle prestazioni del cemento tradizionale attraverso l’aggiunta di fibre vegetali, comprese quelle di cellulosa estratte dal bambù. Nel frattempo, nello stato del Minas Gerais è sorto anche un centro per la promozione del bambù. Un’altra strada della riscossa del bambù in Brasile riguarda il design. Alexandre Montenegro e Henrique Gomma di Fubbá Smart Objects, per esempio, hanno dato vita a un tavolo rotondo tutto in bambù. È uno degli oggetti di design portati in giro per il mondo dall’Agenzia dell’export brasiliano Apex per promuovere la l’industria creativa del paese.

“Abbiamo scelto di utilizzare il bambù perché è una materia prima ecologica, rinnovabile, con una grande resistenza e, non ultimo, anche facile da pulire. Il bambù è il 30% più leggero del legno ed è molto più flessibile e versatile. È resistente all’acqua, piacevole al tatto, e il suo utilizzo non è dannoso per l’ambiente”, raccontano i due designer. 

 

 

Montenegro e Gomma stanno vincendo una delle sfide più complesse nell’utilizzo di questo materiale: riuscire cioè a trovare applicazioni ad alto valore aggiunto, in grado di remunerare il lavoro di chi lo utilizza. Nel 1984, ne Il libro del bambù David Farrely ha censito oltre 1.500 usi di questo materiale, dagli estratti medicinali ai pavimenti, dai rivestimenti per gli aerei alla carta. Il modello vincente è quello cinese, dove ogni parte della pianta viene utilizzata e gli scarti sono ridotti al minimo. In passato il fatto che l’artigianato in bambù era venduto in mezzo mondo a prezzi bassissimi non ha giovato alla sua immagine come materiale per il design. Ma mentre nel ponte di Anjan il bambù veniva sostituito con i tralicci di acciaio, le terre degradate cinesi erano rimesse in produzione grazie all’oro verde e in Brasile era partita la riscoperta di questa pianta. Un’altra storia è già cominciata.