Una enorme bioraffineria a cielo aperto tutta italiana, in cui si coltivano (e si raffinano) grano, riso, mais, sorgo, pomodori e si allevano vacche da latte, suini, vitelli e ovini. E in cui gli scarti dei processi di lavorazione agricoli possono rappresentare una risorsa preziosissima in termini di recupero energetico e di materiali. È la Pianura Padana, culla delle tecnologie più avanzate nei settori della zootecnia e dell’agroalimentare. Ma anche un grande concentrato di questioni ambientali aperte da risolvere. 

Rendering del sito dimostrativo di tecnologie e soluzioni per l’agricoltura del futuro realizzato presso il Parco Tecnologico Padano in occasione di Expo 2015, su una superficie complessiva di 12.000 metri quadrati

 

È per questo motivo che nel 2000 gli enti locali del territorio lodigiano con la forte spinta della Regione Lombardia promossero la costituzione del Parco Tecnologico Padano (Ptp), un centro di eccellenza per le biotecnologie agroalimentari, dotato di completa autonomia sul piano strategico, operativo e patrimoniale e che potesse competere con i grandi parchi tecnologici internazionali. “A Lodi venne così creato un polo universitario e della ricerca dedicato principalmente ai settori zootecnico e agroalimentare, oggi è il primo parco scientifico italiano nel settore della bioeconomia” spiega Gianluca Carenzo, direttore generale del Parco. “Ptp dispone di un centro interno per la ricerca che ha focalizzato le sue attività in tre ambiti: bioeconomia, sicurezza alimentare e salute” prosegue Paola Mariani, responsabile di tutta l’area di ricerca in bioeconomia. “Oggi siamo una settantina di ricercatori, il 20% dei quali di provenienza internazionale. La tripla elica costituita dal mondo accademico, dalle istituzioni e dai partner privati ha avuto risultati più che positivi” continua Gianluca Carenzo. “Ritengo che la differenza maggiore rispetto ad altri parchi tecnologici sia la nostra propensione a collaborare fortemente con il mondo aziendale e a creare imprese innovative nel nostro incubatore. Non siamo solamente un ufficio di trasferimento tecnologico: vogliamo essere proattivi rispetto alle evoluzioni dei mercati. Oggi, per esempio, abbiamo a che fare con l’esigenza del territorio lombardo, italiano ed europeo di ottimizzare le materie prime e nobilitare gli scarti. Questo è un filone che anche a livello di nuove imprese è molto sentito.” 

Per svolgere le sue attività Ptp opera sul mercato della ricerca e dei servizi. Una grossa fetta dei fondi deriva dal finanziamento di progetti di ricerca, soprattutto europei ma anche locali o privati. Questa è stata una delle principali ragioni che ha condotto alla creazione, all’interno del Parco, di un grant office. “Per noi l’Europa è un elemento cruciale: sia per quanto riguarda l’entità dei finanziamenti ottenibili sia per le potenzialità di collaborazione offerte” afferma Paola Mariani. 

 

Le collaborazioni del Parco

Il Ptp è socio di: 

  • Assobiotec – Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie;
  • Apsti – Associazione parchi scientifici e tecnologici italiani; 
  • Iasp – International Association of Science Parks.

All’interno del Ptp ha sede il Cib (Consorzio italiano biogas e gassificazione), che riunisce aziende produttrici di biogas e syngas da fonti rinnovabili (biomassa prevalentemente agricola), le aziende o società industriali fornitrici di impianti e tecnologie. In tutto i consorziati del Cib sono 635 per 390 MW installati.

 

 

 

L’incubatore

Nel 2007 il Parco ha deciso di creare al proprio interno l’incubatore d’impresa “Alimenta”, che si rivolge a quattro tipologie di utenti: imprese di medie e grandi dimensioni; start-up; imprenditori potenziali; investitori. Dal 2007, l’incubatore ha consentito la creazione di trenta pmi e di oltre 100 nuovi posti di lavoro altamente qualificati, grazie alla raccolta di circa 21 milioni di euro di finanziamenti pubblici/privati. “Offriamo expertise a livello manageriale e competenze tecnologiche che provengono dal nostro centro ricerche e dal network di partner, così come dagli ospiti del Parco e dai mentor dell’Incubatore” spiega Gianluca Carenzo. “‘Alimenta’ segue un preciso processo di accelerazione tecnologica. Per un progetto d’impresa è fondamentale lavorare sulla sostenibilità dell’idea di business, sia dal punto di vista tecnologico sia economico; sulla base di questi presupposti sviluppiamo il business plan e concentriamo i nostri sforzi sulla ricerca di fondi. Per le pmi offriamo un supporto tecnologico per lo sviluppo di nuove tecnologie e/o nuovi prodotti; a livello manageriale, lavoriamo nello sviluppo di sistemi di controllo di gestione, budgeting e di controllo costi utili per ottimizzare l’implementazione della nuova tecnologia e/o del nuovo prodotto. Grazie alla potenza del network, di livello internazionale possiamo fornire un supporto di altissimo livello alle imprese.”

 

Una storia di successo

Una delle storie di maggior successo legata alle attività del Parco è quella di BiCT, azienda innovativa totalmente privata nata nel 2002. Per diversi anni l’azienda ha sviluppato attività di trading nel settore alimentare, per poi trasferirsi nel Parco nel 2009, quando ottenne il suo primo finanziamento europeo. In quella circostanza i responsabili dell’azienda hanno deciso che era arrivato il momento di orientarsi definitivamente verso lo sviluppo di processi industriali competitivi e sostenibili per la produzione di enzimi e altre biomolecole di interesse applicativo, conseguendo dei risultati più che lusinghieri proprio negli anni della crisi: se nel 2009 in azienda lavoravano solo tre persone, oggi sono in tredici e il fatturato sfiora i 700.000 euro. “Il nostro successo nasce dall’essere partiti da persone con background diversi” spiega Roberto Verga, Chief Executive Officer di BiCT. “Ognuno ha portato la propria esperienza e siamo riusciti a unire la biodiversità anche nelle competenze. Un altro fattore importante è stato non basarsi su una singola idea ma partire dal mercato e dalle esigenze dei clienti per trovare soluzioni e prodotti alternativi e innovativi. Infine, ciò che fa evolvere la società è avere sempre il desiderio di crescere, essere orientati al risultato e alla sinergia con altre realtà; specialmente in momenti di crisi occorre rinnovarsi, essere flessibili e investire. L’immobilismo, spesso, può rivelarsi letale.” “I vantaggi nel lavorare al Parco consistono nel risiedere in una struttura organizzata che offre laboratori con facilities condivise e avere la possibilità di instaurare molteplici collaborazioni: il grant office del Parco è molto efficiente” spiega Silvia Rapacioli, Chief Operative Officer di BiCT. “Stiamo anche per creare una joint-venture con il Parco in quanto abbiamo interessi e attività complementari. Noi siamo una realtà industriale molto più orientata allo sviluppo dei risultati ottenuti dalla ricerca, mentre il Parco ha una grossa competenza in ricerca con rilevanti investimenti in laboratori avanzati, come la piattaforma genomica che presenta un elevato grado di automazione e una notevole potenzialità di utilizzo e multi-purpose. Mettendoci insieme potremo creare un tipo d’impresa che è già realtà all’estero ed è vincente con mentalità fortemente orientata al servizio e al business.” 

 

In campo per l’Expo

Il Ptp è coinvolto in numerose iniziative con il concetto del “Fuori Expo”, iniziative tecnologiche ed eventi per i professionisti della bioeconomia.

Tra le iniziative, di rilievo è l’allestimento di un sito dimostrativo di tecnologie e soluzioni per l’agricoltura del futuro. In un terreno di 12.000 metri quadrati sono state organizzate parcelle di cereali, orticole e frutta, per accompagnare il visitatore a conoscere alcune delle principali questioni agronomiche, ambientali ed energetiche che l’agricoltura è chiamata ad affrontare per aumentare quantità, qualità e sostenibilità delle produzioni.

“L’idea è nata dalla collaborazione con l’israeliana Netafim” afferma Gianluca Carenzo “con cui abbiamo deciso di costruire in occasione dell’Expo 2015 un terrapieno artificiale alto 4 metri e largo 40 per illustrare il funzionamento di impianti di irrigazione a goccia, che riproducono un contesto di terreni marginali con risorse scarse in termini di acqua e input agricoli. Qui saranno coltivate alcune tra le principali fonti proteiche di ciclo estivo alla base della sicurezza alimentare del pianeta: mais, sorgo, soia e riso in asciutta”. 

Il percorso didattico proseguirà poi verso parcelle di pomodori da industria, un meleto, una parcella di lupini funzionale a spiegare l’azione dei rizobi, una serra con fragole e pomodori fuori suolo, un biodigestore portatile che usa reflui zootecnici o scarti alimentari per produrre biogas come combustibile per cucinare e fertilizzante organico, riducendo la domanda di legna e carbone in paesi emergenti. 

Il sito sarà visitabile durante l’intero semestre, con un ciclo di tredici giornate tematiche di approfondimento, dove insieme ai partner privati sono stati invitati rappresentanti di governi, aziende, associazioni di agricoltori, mondo della ricerca.

 

 

Le attività in bioeconomia

Uno dei progetti coordinati dal Parco e che è un fiore all’occhiello nell’ambito della bioeconomia è “Biorefill”, finanziato da Regione Lombardia e Fondazione Cariplo, in cui le attività integrate dei singoli partner consentono di rendere gli scarti delle materie prime per la creazione di bioprodotti. Partecipano al progetto quattro Università (Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Politecnico di Milano e Università degli Studi-Insubria) e imprese impegnate nello sviluppo di biomateriali, enzimi e bioprocessi. “Le aziende coinvolte sono piccole e grandi” spiega Silvia Rapacioli. “Per esempio Resindion è parte di una grande multinazionale come Mitsubishi Chemical, mentre Actygea e noi di BiCT siamo piccole realtà. Le attività di queste tre aziende sono interconnesse fra loro: Actygea si occupa della fermentazione per produrre enzimi in grado di biodegradare la biomassa e facilitare la digestione dei digestori o anche di valorizzare a valle ciò che esce dal digestore. BiCT lavora sulle applicazioni di questi enzimi mentre Resindion produce resine (con interesse a partire anche da materie prime rinnovabili), utilizzate sia per processi di purificazione sia come supporti per immobilizzazione enzimatica. In BiCT immobilizziamo gli enzimi utilizzando supporti solidi, come quelli prodotti da Resindion, permettendone il riutilizzo per molti cicli operativi. Nella bioeconomia di un processo questo può essere un vantaggio perché la possibilità di riutilizzo degli enzimi permette spesso di rendere economicamente sostenibile il processo stesso.” Un secondo esempio nell’ambito della bioeconomia è il progetto “Dance”, finanziato dalla Fondazione Cariplo per la realizzazione di una bioraffineria che utilizza gli scarti dell’industria agro-zootecnica (es. caseifici) per la crescita di microalghe da cui ottenere molecole di elevato valore aggiunto. In un altro progetto il Parco, in collaborazione con Cirad, usa le proprie competenze in genetica per la selezione di un sorgo multi-purpose. “Siamo molto interessati allo sviluppo di coltivazioni multi-purpose e riteniamo che la ricerca scientifica debba contribuire a evitare la competizione fra biocombustibili e produzione alimentazione” spiega Paola Mariani.

 

Info

www.tecnoparco.org