Birra in bottiglie di legno, latte in cartoni prodotti con gli scarti della canna da zucchero, bibite in lattine di Pet rigorosamente da risorse biologiche. Il futuro del packaging – ma in alcuni casi già il presente – è 100% biobased

Tre le parole d’ordine di questa rivoluzione trainata dall’industria alimentare: ridurre l’impronta ambientale, sviluppare prodotti ecofriendly e aumentare il riciclo.

Il sistema, a quanto pare, fa vincere tutti: l’industria si affranca dall’impiego di materie prime fossili e riduce i volumi e il peso dei prodotti negli scaffali, i consumatori vedono soddisfatta la loro richiesta di maggiore ecosostenibilià i governi ottengono risultati nella riduzione delle emissioni di gas serra. 

Leader di questa nuova era del packaging da fonti rinnovabili sono i paesi del Nord Europa. La svedese Tetra Pak ha da poco introdotto sul mercato Tetra Rex® 100% da fonte rinnovabile: un imballaggio prodotto esclusivamente con carta e con polimeri derivati da fonte vegetale, premiato per questa sua composizione innovativa dall’Istituto italiano imballaggio. Allo stesso modo della carta certificata Forest Stewardship Council™ (Fsc™), i polimeri possono essere tracciati all’origine e questo ha consentito al contenitore di ricevere il più alto livello di certificazione biobased da parte di Vinçotte, ente di certificazione riconosciuto a livello internazionale. I polimeri di origine vegetale utilizzati da Tetra Pak sono prodotti dall’impresa biochimica brasiliana Braskem, che ricava la materia prima da canna da zucchero coltivata su terreni degradati. 

 

©Tetra Pak

 

I cartoni Tetra Pak Rex® sono già utilizzati da colossi lattiero-caseari come la finlandese Valio e la danese Arla per commercializzare bevande a base di latte. Ed è solo un primo passo, perché Valio ha deciso di adottare i sistemi di chiusura Tetra Pak 100% da fonte rinnovabile per tutti gli imballaggi gable top utilizzati.

Da parte sua, Tetra Pak è già in trattativa con aziende lattiero-casearie in diverse parti del mondo per lanciare il contenitore. “Stimiamo – fanno sapere dalla multinazionale svedese – che considerato l’intero ciclo di vita del prodotto, la scelta del bio-polietilene rispetto al polietilene di origine fossile riduca la carbon footprint del 20-35%”.

Anche l’olandese FrieslandCampina, una delle cinque più grandi aziende lattiero-casearie del mondo con un fatturato annuo di 11,3 miliardi di euro, prevede nel prossimo anno e mezzo di introdurre sul mercato un nuovo cartone biobased per bevande. 

Il tappo e il rivestimento dell’imballaggio saranno prodotti con un materiale ricavato da rifiuti organici certificati, che si aggiungerà a un cartone già rinnovabile. Questa innovazione – assicura l’azienda – renderà il nuovo packaging per bevande il più sostenibile sul mercato nei Paesi Bassi, con una carbon footprint anche in questo caso del 20% inferiore rispetto a quella degli attuali imballaggi. 

“Negli ultimi anni – dice Berndt Kodden, amministratore delegato di FrieslandCampina – i nostri cartoni per bevande hanno subìto un’evoluzione sostenibile. Ora siamo orgogliosi di presentare un nuovo traguardo: un cartone per latte biobased con cui investiamo nella transizione verso l’impiego di materie prime rinnovabili e l’approdo a un’economia circolare”.

A fornire l’imballaggio biobased è la norvegese Elopak, di proprietà del Gruppo Ferd, uno dei più grandi gruppi industriali privati norvegese. I suoi cartoni a base biologica sono certificati ISCC PLUS (International Sustainability and Carbon Certification System), un sistema di certificazione internazionale per la biomassa e i biocarburanti. 

Passiamo dal latte alla birra, ma restiamo in Scandinavia. 

La Carlsberg ha recentemente annunciato che la nuova linea di confezionamento della sua birra sarà realizzata in fibra di legno sostenibile. Grazie alla collaborazione con EcoXpac – un’impresa che sviluppa e produce sistemi di packaging sostenibile – con il Fondo innovazione Danimarca e con l’Università tecnica della Danimarca, la società danese porterà sul mercato la prima bottiglia biodegradabile nel suo genere: la “Green fiber bottle”. Caratteristica principale: tutto il materiale di cui è composta, tappo compreso, potrà essere riciclato o si decomporrà naturalmente.

Gli amanti della birra però possono stare tranquilli: il nuovo contenitore non ne influenzerà il gusto e la qualità. Anzi – assicura Håkon Langen, senior Packaging Innovation Manager – la birra rimarrà fresca più a lungo di quanto non si riesca a fare con la tradizionale lattina in alluminio.

Ma anche nel campo della plastica ci stiamo avvicinando alla bottiglia al 100% da fonti rinnovabili. Ci stanno lavorando colossi americani come Coca-Cola e HJ Heinz, che nel 2012 hanno formato – insieme a Ford Motor, Nike e Procter & Gamble – un gruppo di lavoro strategico (Plant PET Technology Collaborative) per accelerare lo sviluppo e l’uso di Pet 100% a base vegetale nei loro prodotti. 

In effetti il tradizionale Pet (polietilene tereftalato) utilizzato per produrre le comuni bottiglie di plastica è oggi usato in moltissimi altri prodotti: dall’abbigliamento, alle calzature, ai tessuti per l’automotive. Ecco spiegato l’interesse allo sviluppo di un Pet biobased da parte di Nike e Ford.

La collaborazione si basa sulla tecnologia di packaging PlantBottle sviluppata da Coca-Cola, che è in parte già prodotta da fonte vegetale e ha dimostrato di avere un minore impatto ambientale rispetto alle bottiglie di plastica Pet tradizionale. 

Nel 2013 alle imprese americane si sono unite le europee Unilever, Nestlé e Danone per costituire la Bioplastic Feedstock Alliance insieme al Wwf. Obiettivo: perseguire lo sviluppo di una bioplastica rispettosa dell’uso del suolo, della sicurezza alimentare e della biodiversità.

Insieme a Coca-Cola, Danone ha avviato una partnership con la società biotech olandese Avantium per produrre bottiglie di plastica biobased con materiale rinnovabile che non minacci le risorse alimentari. 

Avantium, uno spin-off della società petrolifera Royal Dutch Shell, utilizza una tecnologia chimico-catalitica chiamata YXY per convertire i materiali a base vegetale in sostanze chimiche da fonti rinnovabili e in bioplastiche come il Pef, un poliestere 100% biobased con maggiori proprietà di barriera, termiche e meccaniche rispetto ai materiali per imballaggio oggi in commercio. 

Le prove in un impianto pilota sono state positive. Il prossimo passo: realizzare il primo impianto su scala commerciale. Traguardo ormai prossimo grazie a un finanziamento di 36 milioni di euro ricevuto un anno fa da un gruppo di investitori, tra cui proprio Danone e Coca-Cola.

 

Per un approfondimento sulla “Green fiber bottle”: tinyurl.com/ocamhx9 

 

Info

www.tetrapak.com/it

www.bioplasticfeedstockalliance.org

 


 

©Tetra Pak

 

Intervista a Mario Abreu, Vicepresidente divisione Ambiente, Tetra Pak

 

“Ecco i risultati raggiunti in soli quattro anni”

 

Quando si parla di packaging alimentare viene subito in mente il nome di Tetra Pak. Il colosso svedese è leader mondiale nelle soluzioni per il trattamento e il confezionamento degli alimenti. Nel 2013 ha venduto oltre 178 miliardi di confezioni in più di 170 paesi nel mondo. In questa intervista Mario Abreu, Vicepresidente ambiente, parla dell’impegno di Tetra Pak per un packaging sempre più sostenibile, di bioeconomia e di economia circolare. 

 

Qual è il ruolo di Tetra Pak nel settore del confezionamento biobased?

Tetra Rex® è la prima confezione per alimenti liquidi completamente rinnovabile al mondo e di origine vegetale. Seguendo la scia del successo ottenuto nello stabilimento di produzione lattiero-casearia finlandese Valio, Tetra Rex® Bio-based viene ora offerta ai clienti Tetra Pak di tutto il mondo. Arla, uno tra questi clienti, ha appena lanciato il marchio Eko, ovvero latte in confezioni realizzate in Tetra Rex.

Tetra Rex® Bio-based è prodotto con carta – già di per sé un materiale rinnovabile – rivestita con strati di polietilene a bassa densità (Ldpe) derivato dalla canna da zucchero. La confezione prevede anche un tappo in polietilene ad alta densità (Hdpe), anch’esso derivato dalla canna da zucchero.

Alla stregua dei prodotti certificati Fsc™ (Forest Stewardship Council™), l’origine rinnovabile di queste materie plastiche è tracciabile. È anche grazie a queste caratteristiche che l’innovativa confezione ha ricevuto la più alta certificazione Vinçotte, organismo di valutazione internazionale, per i prodotti biobased che rispettano il programma OK Bio-based. 

 

Quali sono gli obiettivi di Tetra Pak per i prossimi anni?

Abbiamo intrapreso il percorso verso le materie plastiche di origine organica nel 2011, con l’introduzione dei primi tappi e del laminato di origine vegetale prodotti in Brasile. Lo scorso anno abbiamo lanciato le confezioni Tetra Rex® Bio-based, destinate ai prodotti freschi. Siamo continuamente alla ricerca di modalità per incrementare l’impiego di materie plastiche biobased nella nostra gamma di prodotti. In funzione della crescente domanda, stiamo pianificando ulteriori lanci del nuovo Tetra Rex® Bio-based in altre aree geografiche.

 

C’è maggiore richiesta di confezioni ecosostenibili da parte dei consumatori?

Il nostro è un portafoglio basato sostanzialmente sulle risorse rinnovabili, considerando che il cartone è la parte più consistente delle nostre confezioni. Introducendo un imballo completamente rinnovabile compiamo un ulteriore passo a sostegno del nostro impegno verso le materie rinnovabili e il minor uso di materiali di origine fossile. 

L’Europa è la regione che registra la domanda più consistente sia di confezioni per i prodotti freschi sia di imballaggi sostenibili. I consumatori hanno mostrato un notevole interesse verso il nuovo Tetra Rex, e ciò riflette la crescente richiesta di imballaggi sostenibili. Realizzando confezioni in materie plastiche biobased, aiutiamo i nostri clienti a soddisfare le proprie esigenze e a conquistare i propri obiettivi di crescita sostenibile, fornendo al contempo prodotti con un forte profilo ambientale.

I consumatori vogliono esser certi che la confezione nelle loro mani sia davvero sostenibile. Per quanto riguarda Tetra Rex® Bio-based, il contenuto fisico della confezione è tracciabile fino all’origine: ogni confezione deriva quasi interamente da vegetali è ciò e verificabile. Anche la certificazione Fsc garantisce ai consumatori che le fibre di carta dei nostri prodotti hanno origine da foreste gestite e da altre fonti controllate. 

 

È possibile per il settore alimentare e delle bevande essere sostenibile e rimanere competitivo al tempo stesso?

Incentivando l’utilizzo di materie rinnovabili, garantiamo la disponibilità dei materiali anche in futuro, assicurandoci una fornitura costante di materie prime e riducendo l’impatto totale sull’ambiente dei nostri prodotti. L’impiego di materie plastiche biobased, derivate dalla canna da zucchero invece che da petrolio, contribuisce inoltre alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Oggi il prezzo di mercato delle plastiche di origine vegetale è più alto rispetto a quelle di origine fossile, perché è più elevato il costo delle materie prime e la disponibilità di fornitori è limitata. È però prevedibile che nel tempo i prezzi delle materie plastiche biobased scendano, permettendoci così di ottenere crescita e sostenibilità a lungo termine invece che solo profitti a breve termine. Puntiamo a offrire ai nostri clienti confezioni a base di materiali biobased al prezzo più competitivo. 

 

Dal suo punto di vista, cosa sono la bioeconomia e l’economia circolare?

Con bioeconomia intendo l’utilizzo di risorse rinnovabili nella produzione di cibo, materiali e confezioni di derivazione organica, oltre alla bioenergia. Le risorse rinnovabili quali ossigeno, acqua dolce, energia solare, legname e biomassa sono tutte presenti in natura e si rigenerano autonomamente. 

Cruciale per l’economia circolare è l’approvvigionamento responsabile, un ambito nel quale Tetra Pak è particolarmente attiva. Il cartone che utilizziamo è certificato Fsc Chain of Custody e stiamo studiando come espandere la diffusione di sistemi di certificazioni molto chiari per i biopolimeri. Insieme ad altre 14 aziende e a diverse Ong siamo inoltre membri di Asi (Aluminium Stewardship Initiative), un organismo che punta a definire standard globali per la produzione sostenibile dell’alluminio.

 

Info 

www.okcompost.be

 

©Tetra Pak

 


 

©Heinz

 

Intervista a Massimo Zonca, Group Leader – Global Packaging Innovation and Execution presso HJ Heinz

 

Dal packaging biobased alla Ford a base di pomodoro

 

Per l’industria alimentare l’impegno verso la bioeconomia e l’economia circolare non si limita all’impiego di packaging 100% da fonti rinnovabili, ma riguarda anche la riduzione degli scarti alimentari e il loro utilizzo per nuovi bioprodotti. Un caso esemplare è quello di Heinz: il colosso americano del ketchup (650 milioni di bottiglie vendute ogni anno), che lo scorso marzo ha annunciato la propria fusione con Kraft Foods per creare un gigante da 28 miliardi di dollari di fatturato globale, da un lato punta all’utilizzo di plastiche completamente biobased, dall’altro è impegnato con Ford nella sperimentazione per la produzione di parti di protezione del motore mescolando materia plastica con scarti del pomodoro trattati. Ne parliamo in questa intervista con Massimo Zonca, Group Leader – Global Packaging and Execution della società con quartier generale a Pittsburgh, in Pennsylvania.

 

Quando potremo andare al supermercato per comprare una bottiglia di ketchup 100% da fonti rinnovabili?

Al momento il 30% del materiale della Heinz ‘plant-bottle®’ viene da materiale rinnovabile (scarti della lavorazione della canna da zucchero) con il quale si produce il glicole etilenico. La parte rimanente per produrre il Pet 100% biobased è in teoria già disponibile in quanto ne sono stati definiti i processi, ma al momento i costi e la complessità sono tali che non vi sono le condizioni per un lancio nell’immediato. Visto il contesto economico attuale, è presumibile che per il 2020 vi siano le condizioni che rendano sostenibile sotto tutti i punti di vista il lancio della plant bottle al 100% da fonti rinnovabili.

 

Heinz sta investendo molto per arrivare a un packaging sempre più biobased. Quali sono i principali progetti che avete in corso?

Oltre all’importante impegno sul rigid plastic (la bottiglia di ketchup) stiamo valutando aree di intervento sul flexible material (flow pack per biscotti, snack, pasta, sfarinati, polveri alimentari) e sui lid saldati sulla bocca di vasetti e bottiglie in plastica (salse, meals, babyfood, succhi di frutta, bevande). La nostra sperimentazione ha dato anche risultati interessanti circa la shelf life, considerando che occorre abbandonare i materiali barriera tradizionali (alluminio in foil o altre barriere da polimeri). In questo caso la differenza la farà non solo il mercato del biobased (che deve ancora raggiungere una massa critica tale da consentire un ritorno economico) ma anche una modifica delle abitudini dei consumatori, della logistica e dei retailers, visto che non sarà possibile garantire la medesima shelf life che oggi viene garantita dall’impiego dei materiali barriera.

 

Nel novembre del 2013 avete dato vita alla Bioplastic Feedstock Alliance insieme a Nestlé, Danone, Unilever, P&G, Ford, The Coca-Cola Company, Nike e Wwf. Cosa unisce gruppi industriali di settori così differenti? 

Ciò che accomuna tutti è la presa di coscienza che l’utilizzo del petrolio per produrre materie plastiche ha un significativo impatto sulla biodiversità, sul clima e sugli altri sistemi naturali. Occorre pertanto una gestione più sostenibile delle risorse naturali (che non sono infinite): trovare alternative al petrolio è diventato un imperativo sia per il business sia per l’ambiente.

 

©BBDO Guerrero, Proximity Philippines – Wwf, 2011

 

Quali sono le sfide comuni? Quali gli obiettivi di questa alleanza?

La principale sfida è quella di far crescere la massa critica per l’utilizzo dei biobased materials, aumentando così le opportunità di produzione delle plastiche da materiali rinnovabili. Gli obiettivi principali dell’alleanza sono quelli di riuscire a ridurre il costo delle materie prime biobased e accelerare lo sviluppo e l’impiego del 100% di biobased material per il Pet in particolare.

 

©Heinz

 

Per il processo di produzione del vostro ketchup utilizzate due milioni di tonnellate di pomodoro ogni anno. Cosa è possibile fare oggi con gli scarti di questa produzione? 

L’osservazione è nata proprio all’interno dell’R&D di Pittsburgh dove già da tempo si adottavano sistemi di essiccazione e trattamento – in particolare delle bucce – per ridurne volume e peso e riutilizzarle nell’agricoltura. Dalla collaborazione nata per la plant-bottle si sono generate altre idee di possibile riutilizzo degli scarti.

 

A che punto è il progetto comune con Ford per utilizzare parte di questi scarti per una plastica a base di pomodoro per le nuove autovetture del produttore americano?

La sperimentazione per la produzione di parti di protezione del motore mescolando materia plastica con scarti trattati/essiccati ha dato buoni esiti. Oggi Ford dispone di una tecnologia che permette di ridurre l’impiego di materie plastiche per queste parti dell’auto rimpiazzandole con fibre vegetali ricavate dagli scarti di lavorazione del pomodoro.

 

È davvero possibile per l’industria essere sostenibile e continuare a essere competitiva sul mercato? C’è effettivamente una richiesta da parte dei consumatori di prodotti biobased? E sono disposti a pagare di più per averli?

Per l’industria ambiente e sostenibilità sono fattori essenziali: ormai l’attenzione all’ambiente e la definizione di processi industriali sostenibili non riguardano più solo il rispetto delle norme, ma sono diventati un must per moltissime realtà produttive. E anche un interessantissimo business, nel senso che consentono opportunità prima non esplorate che hanno come principale effetto la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali. In effetti un buon 15% dei consumatori e diversi retailers sono già fortemente orientati al biobased, anche se è innegabile che non tutti sono disposti a pagare di più per questo. Ma è comunque un trend in crescita e non si può non tenerne conto.

 

Utilizzate un sistema di etichettatura specifica per i prodotti biobased?

Sì, le indicazioni in etichetta che richiamano le caratteristiche biobased sono fondamentali e rappresentano un’area di comunicazione importante perché il consumatore colga il messaggio positivo. Tutto ciò è poi oggetto di vero e proprio marketing: dalle immagini alle descrizioni alle grafiche da adottare, si è aperto un mondo. Che in un mondo digitale come il nostro si presta a messaggi più completi che possono essere veicolati attraverso gli smartphone o sui social network. E questo non potrà che far aumentare l’interesse del consumatore per gli aspetti ecologico-ambientali e di sostenibilità.

 

In poche parole come si immagina il packaging tra dieci anni?

Light, essential/sustainable, smart e... flexible. Sì, credo che il packaging flessibile abbia maggiori possibilità di crescita rispetto al packaging rigido per ragioni di servizio e facilità di trasporto. Sicuramente il rigid plastic e il vetro manterranno una loro influenza, ma il consumatore apprezzerà sempre più l’essenzialità del packaging. Anche in termini di comunicazione il flexible offrirà sempre maggiori opportunità e credo il marketing sfrutterà al meglio questa possibilità.