La gestione sostenibile delle risorse idriche e idrauliche è oggi un tema di estrema attualità. In particolare per quanto riguarda le aree metropolitane e fortemente urbanizzate, dove il consumo di suolo e la frammentazione del territorio hanno di fatto aumentato le difficoltà nella gestione delle acque meteoriche. La risorsa idrica è sotto pressione sia a causa della riduzione della disponibilità complessiva, sia per l’aumento della domanda in aree densamente popolate.

Ma sono gli eventi meteorologici estremi a destare le maggiori preoccupazioni, in quanto impattano direttamente sul territorio, aumentando il rischio di alluvioni e la progressiva riduzione della produttività agricola. I nuovi dati aggiornati e resi pubblici dall’Easac (European Academies Science Advisory Council), mostrano come gli eventi meteorologici estremi siano diventati più frequenti negli ultimi 36 anni, con un significativo aumento delle inondazioni e di altri eventi idrologici rispetto al 2013. 

A livello globale, secondo i nuovi dati, il numero di quest’ultimi è quadruplicato dal 1980 e raddoppiato dal 2004, evidenziando dunque tutta l’urgenza di un serio piano di adattamento al cambiamenti climatico.

 

Adattamento e resilienza per le città e le aree metropolitane

Il concetto di resilienza rappresenta la capacità di un sistema ecologico e sociale di affrontare un evento anomalo, riorganizzandosi al fine di preservare la propria struttura essenziale e adattandosi nel contempo alla nuove esigenze. Un’idea utilizzata anche nel settore idrologico per preservare la risorsa idrica, garantirne un’efficiente gestione e assicurare un’adeguata accessibilità ad un elemento fondamentale per la vita e per lo sviluppo economico. È in questo contesto che il ruolo del gestore del servizio idrico integrato può diventare preponderante. Potrebbe infatti intervenire al meglio nella gestione degli eventi estremi, anche recuperando il ruolo che l’ambiente naturale e determinate aree possono avere se deputate ad accogliere le acque meteoriche: l’area metropolitana è profondamente interconnessa con quella agricola e quest’ultima esercita un ruolo ecologico fondamentale. 

 

L’invarianza idraulica e piani di drenaggio sostenibile urbano

Oggi la Lombardia è in prima linea nella progettazione e realizzazione di sistemi di drenaggio sostenibile (SuDS), e l’impegno si conferma anche con la recente adozione del regolamento regionale 7/2017 (“Regolamento recante criteri e metodi per il rispetto del principio dell’invarianza idraulica ed idrologica”) che stabilisce un principio fondamentale per la pianificazione urbanistica e territoriale: se un determinato territorio, prima di subire un intervento di trasformazione urbanistica, in occasione di precipitazioni meteoriche produce una certa quantità di acqua, dopo la trasformazione dovrà mantenere costante questa quantità. Ciò significa che se si impermeabilizzano o disboscano porzioni di territorio, riducendone quindi le naturali capacità di ritenzione idrica, è necessario realizzare opere di immagazzinamento delle acque di pioggia, per poi restituirle alla natura successivamente alla piena dell’evento meteorico, in modo da evitare ogni danno da alluvione. Uno strumento di governance che i Comuni dovranno utilizzare redigendo tutta una serie di documenti e studi da inserire successivamente nei Piani di Governo del territorio. La legge incoraggia gli interventi non solo sulla nuova edificazione e sugli interventi di demolizione e ricostruzione, ma anche sulle opere esistenti così da migliorare i deflussi sulle superfici urbane già costruite e implementare il cosiddetto “retrofitting idrologico” urbano e, di conseguenza, la risposta idrologica di un territorio alle sollecitazioni meteoriche intense.

Per rispondere a questi adempimenti Gruppo CAP, realtà che gestisce il servizio idrico integrato sul territorio della Città Metropolitana di Milano, ha messo a disposizione dei Comuni del territorio dell’area metropolitana le proprie competenze tecniche e le risorse necessarie per supportare le amministrazioni e gli uffici tecnici sia nella redazione dei documenti previsti, sia nella costruzione di una pianificazione territoriale che tenga nella giusta considerazione la gestione delle acque meteoriche. Questo in un’ottica non solo di interventi volti a risolvere i momenti di crisi, ma soprattutto al fine di prevenire le ondate di piena attraverso forme di drenaggio urbano sostenibile. Molto utile in questo caso la pubblicazione in collaborazione con l’Università del Studi di Milano del Manuale sulle buone pratiche di utilizzo dei sistemi di drenaggio sostenibile, redatto da Daniele Masseroni, Federico Massara, Claudio Gandolfi e Gian Battista Bischetti che ha l’obiettivo di divulgare i moderni approcci e metodi di controllo e gestione sostenibile dei deflussi in ambito urbano che stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza a livello internazionale e in particolare all’interno dell’Unione europea.

 

Le buone pratiche

Tra questi non v’è dubbio che il Flood Hide Project ne sia il capofila. Si tratta di un progetto che prevede di recuperare e utilizzare il vecchio reticolo di canali rurali del milanese per laminare (con il termine laminazione si intende l’attenuazione di un’onda di piena per l’effetto dell’inserzione di un serbatoio lungo un corso d’acqua, ndr) gli eventi di piena e implementare la capacità dei terreni di infiltrazione da parte delle acque meteoriche. In un territorio come quello milanese ormai compromesso per quanto riguarda il consumo di suolo, i canali a uso irriguo collegati ad aree agricole frammentate nel territorio, potrebbero assolvere un compito di mitigazione in caso di eventi estremi, riducendo il rischio di alluvione. Le acque raccolte verrebbero così convogliate in polmoni di fitodepurazione per poi essere utilizzate nel settore agricolo, in una sorta di interscambio idrico. 

Esistono poi tutta una serie di interventi da adottare sia in fase di progettazione sia in fase di riqualificazione, come l’utilizzo di aree depresse naturali o appositamente costruite con fondo impermeabile, in funzione della vulnerabilità dell’acquifero e della presunta qualità delle acque conferite. Alcune possono essere costituite da vasche o da canali a cielo aperto, altre da tubazioni sotterranee. O le cosiddette trincee drenanti, ovvero scavi lunghi e profondi pochi metri riempiti con ghiaia, generalmente costruite in corrispondenza di una cunetta ribassata rispetto al terreno da drenare, così che il deflusso superficiale si possa accumulare temporaneamente all’interno della trincea e gradualmente infiltrarsi nel terreno circostante attraverso le superfici laterali e il fondo. Ma esistono anche sistemi più complessi come i pozzi di infiltrazione, strutture sotterranee utilizzate principalmente per raccogliere e infiltrare le acque di pioggia provenienti dai tetti di edifici residenziali e commerciali o vere e proprie vasche d’infiltrazione a fondo permeabile. O i cosiddetti tetti verdi, strutture vegetate in grado di filtrare e raccogliere parte delle precipitazioni. Buone pratiche già impiegate anche a livello internazionale, che hanno reso e renderanno le aree metropolitane laboratori di sostenibilità, resilienti e capaci di adattarsi al clima che verrà.