Cibo, acqua, energia. C’è un solo uomo capace di fare previsioni su questo complesso scenario: Lester Brown. Lungo oltre mezzo secolo di attività ha costantemente analizzato il rapporto tra attività umane, popolazione, risorse ed equilibri ambientali del pianeta. A 81 anni ha ancora una chiara visione sul futuro del nostro sviluppo. L’abbiamo incontrato in aprile, nel suo studio all’Earth Policy Institute che il primo luglio 2015 chiuderà perché, come annuncia sorridendo, “è ora di andare in pensione”.

Nel suo ultimo libro, The Great Transition, ha analizzato la transizione verso l’abbandono dei combustibili fossili. Quale tecnologia definirebbe di tendenza in questo momento? E quale ha la maggiore speranza di successo?

“Beh, forse la cosa più eccitante in questo momento è il crescente uso di energia solare: aumenta nel mondo del 30% ogni anno. La ragione principale per cui ciò sta accadendo è che il costo dei pannelli solari è sceso e ora da un pannello solare posizionato sul tetto si può avere energia più economica. La situazione è interessante perché man mano che più persone installano questi pannelli, il mercato per le utility si restringe, anche se le utility devono comunque mantenere le stesse infrastrutture. Quindi sono costrette ad alzare i prezzi: più li alzano, più la gente mette i pannelli sui tetti. Così per le utility è una specie di spirale mortale. 

Questa storia si sta replicando in vari luoghi nel mondo. Intendo dire: l’idea che la Cina potrebbe produrre più energia dalle sue centrali eoliche che da quelle nucleari è entusiasmante. Se guardassimo un grafico, vedremmo che la curva di crescita dell’energia nucleare in Cina è molto graduale e stabile, mentre quella dell’energia eolica è esplosiva: sale costantemente e velocemente. Non molti se lo aspettavano. D’altronde la Cina è molto ventosa, specie nella parte settentrionale e occidentale. E grazie alle tecnologie di trasmissione ad alto voltaggio si possono collegare le centrali eoliche alle principali città: sicuramente Pechino, ma anche le città sulla costa meridionale come Shanghai.”

 

Vista questa crescita costante dell’eolico e del solare, quali sfide si presentano in termini di materiali e di infrastrutture tecnologiche?

“Una delle sfide legate all’uso dell’energia solare riguarda cosa fare durante le ore notturne. L’impiego di batterie rappresenta una possibile soluzione. Un’altra può essere il pompaggio dell’acqua: utilizzare di notte – quando non c’è richiesta – l’elettricità eccedente per accumulare energia cinetica.”

 

La sua opinione sui biocarburanti di prima generazione è decisamente critica, ma molti agricoltori li vedono ancora come un’interessante opportunità.

“Il limite più rilevante all’uso di biocarburanti è la fotosintesi. I ritorni legati alla fotosintesi non sono alti, nemmeno nella Corn Belt degli Stati Uniti, territorio immensamente produttivo. Mettiamola così. Se un agricoltore del Midwest degli Stati Uniti coltiva granoturco e ogni cento metri mette turbine eoliche nel suo terreno, guadagnerà molto più dalle turbine che dal granoturco.” 

 

Lester Brown nel 1988, con le prime edizioni del rapporto State of the World
Foto di Steve Gottlieb

 

 Inoltre basta una superficie limitata di suolo.

“Esatto. Nella maggior parte dei casi un impianto eolico occupa il 30% del terreno, sia per collocare le turbine sia per realizzare le strade sterrate che le colleghino per poter svolgere la manutenzione. Per questo molti agricoltori sono stimolati a considerare l’eolico come fonte di guadagno. Lo stesso per gli allevatori che spesso guadagnano più dalle royalty dell’eolico che dalla vendita del bestiame (di solito gli acquirenti comprano le turbine e poi pagano le royalty agli allevatori). Così l’aspetto economico sta aumentando la competizione tra le comunità delle aree rurali dei paesi ad alta densità di allevamenti per vedere chi riesce a ottenere le turbine eoliche nella propria area, nella propria comunità, perché così avrà le royalty.”

 

Per produrre le turbine, le batterie e i pannelli solari abbiamo bisogno di quantità sempre maggiori di materiali che in alcuni casi – per esempio il litio – sono piuttosto rari. Vediamo che qualcosa sta cambiando in termini di sostenibilità e alcuni pensano a come riciclare questi materiali. 

“Abbiamo tecnologie molto intelligenti in termini di materiali. Mi lasci fare un esempio un po’ diverso per illustrare quello che sta succedendo. Sette biciclette in un programma di bike sharing riducono di una unità il numero di auto in circolazione. E la generazione più giovane non è interessata alle auto. Se analizziamo il materiale necessario in un sistema di trasporto ecologico vediamo che per una bicicletta servono circa 13 chilogrammi di acciaio, gomma e poco più, mentre per un’auto ci vogliono circa 900 chilogrammi di acciaio, gomma e così via. Quindi, nel caso di un’economia basata sull’uso della bicicletta, la quantità di materiale utilizzato è infinitamente inferiore rispetto al consumo di materiale tipico di un’economia incentrata sulle automobili.” 

 

Ma ci sono altre tecnologie pulite più complesse che ancora richiedono grandi quantità di materiali rari.

“Esatto, alcuni materiali rari sono impiegati nei pannelli fotovoltaici e in altre applicazioni. Ma la cosa entusiasmante a questo proposito è che – indipendentemente da questo – la quantità di energia solare o eolica che utilizziamo oggi non influisce sulla quantità di energia disponibile in futuro. E questo non succede con i combustibili fossili: più se ne usano e meno ce ne sono. Inoltre più la quantità residua si riduce e più sale il prezzo. 

Inoltre questi materiali possono essere riutilizzati o riciclati. Il petrolio no. Le cose stanno cambiando rapidamente e questo è appassionante per me che da mezzo secolo mi occupo di questi problemi e che ho vissuto il periodo in cui le emissioni di carbonio sono aumentate e poi la temperatura ha cominciato a salire rendendo concretamente visibili i primi segni del cambiamento climatico globale. Ma ora improvvisamente abbiamo la possibilità di fermarlo trovando sistemi per ridurre le emissioni di carbonio. Ecco perché questo è un periodo eccitante, ed ecco perché ho intitolato il mio ultimo libro The Great Transition: la transizione è in corso.”

 

1965, nella stanza ovale della Casa Bianca: Lester Brown premiato per il suo lavoro nell’amministrazione federale, riceve le congratulazioni del Presidente Lyndon B. Johnson

 

Più rinnovabili, più economia circolare. Il mondo ha cominciato ad agire seguendo un piano B molto simile al piano B che lei aveva delineato nel suo omonimo libro.

“I segnali più interessanti arrivano da Wall Street. La finanza sta iniziando a sostenere le iniziative ecosostenibili in modo consistente. Oggi le grandi compagnie investitrici e le grandi banche stanno investendo massicciamente sulle rinnovabili. 

Ci sono anche diversi miliardari, come Warren Buffett – probabilmente l’uomo più ricco del mondo – che finanziano queste tecnologie: ha già sovvenzionato con 15 miliardi di dollari le energie rinnovabili nel sud ovest degli Stati Uniti e ha affermato “Aggiungerò altri 15 miliardi”. Parliamo di miliardi, non di milioni. 

Poi ci sono altre persone come Ted Turner che investono nelle centrali fotovoltaiche. O Phil Anschutz, di Denver, diventato miliardario grazie al carbone e al petrolio e che ora sta costruendo in Wyoming centrali eoliche per migliaia di megawatt di potenza e linee per la trasmissione dell’energia prodotta. Come sottolineo all’inizio del libro, nel prossimo decennio vedremo mezzo secolo di cambiamenti.”

 

Ritiene che a Parigi (alla Cop21) si arriverà a un patto solido riguardo ai cambiamenti climatici?

“Non penso che la conferenza di Parigi farà molta differenza. Quello che sta succedendo oggi è così forte e così fortemente guidato dal mercato che i negoziati di Parigi sono diventati quasi irrilevanti. È difficile trovare situazioni in cui un gran numero di paesi si riuniscono e negoziano qualcosa: questo è molto significativo. Ma più persone ci sono intorno a un tavolo, meno flessibile risulta il gruppo, quindi nel migliore dei casi si ottengono piccolissimi cambiamenti. Sempre che il negoziato non vada a monte, come a volte succede.”

 

Pensa che il calo del prezzo del petrolio rallenterà in qualche modo la transizione?

“Non molto, perché la gente sa che le scorte di petrolio sono limitate. E sa anche che il prezzo è destinato a salire. Uno degli esempi che illustro nel libro riguarda il giacimento petrolifero Kashagan nel Mar Caspio. L’aspettativa originale era di avviare l’estrazione di gas naturale con un investimento di 10 miliardi di dollari. Che poi sono diventati 20, poi 30 e poi 40 miliardi e ancora non si è entrati in produzione. Se fosse stato chiaro dall’inizio quanto sarebbe costato, nemmeno quella coalizione di tutte le principali compagnie petrolifere del mondo avrebbe affrontato l’impresa. 

Le compagnie petrolifere e del carbone iniziano a vedere che il loro mercato si restringe. Guardiamo a uno degli esempi più drammatici: la Peabody Coal, che è stata una delle più grandi compagnie del carbone degli Stati Uniti. Il valore delle sue azioni è crollato del 70-90%. 

Si è creato questo strano fenomeno, detto dei ‘beni arenati’. In passato le compagnie petrolifere calcolavano il loro valore societario basandosi non solo sugli impianti che possedevano, sulla capacità estrattiva e di stoccaggio, ma anche su quanto petrolio ci fosse nell’area di cui avevano comprato le riserve. E se ora, improvvisamente, quel petrolio non si può più estrarre quegli asset non valgono più così tanto. È stato interessante vedere come il valore di queste cose sia cambiato. Il termine ‘beni arenati’ fino a tre anni fa non esisteva nemmeno nel nostro vocabolario lavorativo, ora ha una posizione di rilievo. Include le miniere di carbone che sono state chiuse e non verranno mai riaperte. Comprende le stazioni di servizio per le auto. Quella vicino a casa mia, a circa un chilometro e mezzo da qui, è appena stata chiusa – sull’area stanno costruendo una piccola abitazione – perché hanno calcolato che non ci sarebbe stata una sufficiente domanda di benzina per tenerla aperta. Intorno al 1960 negli Stati Uniti il numero di distributori di benzina era di circa 150.000: ora è sceso a 100.000. E continuerà a diminuire visto che useremo sempre più auto elettriche che si potranno ricaricare con l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici collocati sul tetto di casa. L’idea di avere il carburante dell’auto sul tetto, a 3 metri da noi, è ‘geograficamente’ interessante, perché fino a non molto tempo fa l’energia per la nostra auto arrivava da mezzo mondo.”

 

Lester Brown a fianco di Gro Harlem Brundtland durante il Summit della Terra a Rio de Janeiro, nel 1992

Foto di Mark Edwards/Still Pictures

 

Quindi possiamo essere fiduciosi riguardo all’energia. Ma cosa ci dice del cibo? Molti stati hanno raggiunto il tetto massimo della loro produttività.

“Nei paesi in cui l’agricoltura è più avanzata gli agricoltori hanno capito di cosa hanno bisogno per far aumentare la loro produttività: concimare i campi, irrigare se necessario e così via. Ora queste cose vengono fatte. Una volta che si sono eliminati i problemi legati alle sostanze nutritive e all’idratazione, il limite viene posto dalla fotosintesi. Se guardiamo i raccolti di riso in Giappone, vediamo che hanno cominciato ad aumentare più di un secolo fa. Poi circa 17 anni fa si è raggiunto il tetto e la crescita si è arrestata. Da allora gli agricoltori giapponesi hanno provato – e sono tra i migliori al mondo – ma non sono riusciti a superare quel limite. Il motivo è che quella è la quantità di fotosintesi possibile. L’abbiamo visto prima in Giappone, e ora lo stiamo vedendo per il riso in Cina, dove i raccolti sono solo del 4% inferiori a quelli del Giappone. A meno che gli agricoltori cinesi non trovino un modo per far aumentare i loro raccolti oltre la soglia di quelli giapponesi, cosa di cui dubito seriamente, allora anche la Cina – il maggior produttore di riso al mondo – ha raggiunto il suo tetto. Lo stesso accade in Europa per quanto riguarda il grano e negli Stati Uniti per il granturco.

Dunque stiamo vedendo emergere questi limiti che renderanno le cose più difficili per tutto il mondo. Ma qual è l’anello più debole nella nostra catena alimentare? La scarsità d’acqua. In India ci sono in questo momento 26 milioni di pozzi per l’irrigazione che pompano acqua a una velocità che supera quella di ricarica. In tutti gli stati dell’India i grafici riguardanti l’acqua hanno un andamento negativo: in alcuni casi le falde acquifere sono state più o meno prosciugate e i pozzi si stanno svuotando.”

 

Come succede in California o in Medio Oriente.

“Esatto. E lo stesso sta succedendo in molti altri paesi. Negli anni ’50 gli agricoltori hanno iniziato a estrarre l’acqua dal terreno e a usarla per irrigare i loro raccolti. Ora, e questo vale anche per tutta l’India e gran parte della pianura settentrionale della Cina, stiamo assistendo a un sovrasfruttamento delle falde acquifere e all’andamento negativo dei grafici. I pozzi si stanno prosciugando. L’acqua si sta dimostrando come uno dei limiti principali agli sforzi per far aumentare la produzione di cibo nel mondo. Abbiamo molte aree che produrrebbero cibo se avessero acqua. 

Il terreno non è un limite. L’acqua lo è. Alcuni anni fa la Banca Mondiale ha esaminato la situazione dell’India e ha calcolato che 175 milioni di persone si stavano sostentando con i cereali prodotti grazie al sovrasfruttamento delle falde, il che – per definizione – non è sostenibile a lungo termine. Così la scarsità di acqua aumenta in India, ma anche in parte della Cina e nel Medio Oriente arabo. In tutti i paesi del Medio Oriente arabo – ho creato grafici ricavati dai dati di picco dell’acqua e a breve lo farò con i dati della produzione di cereali – si sta registrando una ripida curva negativa relativamente all’acqua. I sauditi hanno dichiarato che entro il 2016, non praticheranno più l’agricoltura perché si saranno prosciugate tutte le falde acquifere. Così il declino nell’irrigazione e nella produzione di cibo li costringerà a rivolgersi al mercato mondiale. Certo, dato che si tratta di un paese con una popolazione scarsa, questo non sovraccaricherà il mercato mondiale. Ma nella stessa situazione si trovano paesi più grandi, come Cina o India: quindi vedremo le scorte di cereali sotto pressione a causa delle limitazioni derivanti dalle carenze d’acqua.”

 

Allora se dobbiamo discutere di un argomento all’Expo di Milano, riguardo al nutrire il pianeta, questo tema è l’acqua.

“Direi proprio di sì. A Stanford hanno selezionato 600 contee agricole degli Stati Uniti: per ognuna sono stati raccolti i dati sulla produzione dei cereali e quelli relativi alle temperature. Poi per ognuna di queste contee è stata analizzata anno per anno la produzione di cereali in relazione alle temperature: ne è emerso che l’aumento di 1°C della temperatura comporta una riduzione della produzione di cereali del 17%. Ora sappiamo che le previsioni dei meteorologi per il pianeta dicono che ci sarà un aumento della temperatura di 6°C se continuiamo con il business as usual. Se l’aumento di 1°C riduce i raccolti del 17%, immaginiamo se si arrivasse a 2 o 3 o 6°C. 

Ci troviamo di fronte sfide mai affrontate. Finora singoli paesi hanno avuto problemi nel settore agricolo a causa di siccità o malattie delle colture o inondazioni o altro, ma ora si tratta di tutto il mondo.

Un’altra cosa va considerata: ci sono circa tre miliardi di persone che vogliono salire nella catena alimentare, vogliono consumare più carne, latte e uova e per produrli servono cereali. Negli Stati Uniti consumiamo circa 720 chilogrammi di cereali all’anno pro capite e la maggior parte serve a produrre carne, latte e uova. In India il consumo è di 180 chilogrammi annui a persona. Solo un quarto. Quando hai solo 180 chilogrammi di cereali all’anno per persona, che significa 450 grammi al giorno, non puoi permetterti di trasformarne molti in proteine animali. Quella quantità ti basta solo a tenere insieme anima e corpo. Questo dà il senso di cosa succederà quando i salari in India cominceranno a salire e si comincerà a consumare più latte e uova. Per motivi religiosi gli indiani non possono consumare enormi quantità di carne in più, come succede in Cina, ma mangeranno più latte e latticini e uova e tutto questo richiede cereali. In linea di massima per convertire i cereali in carne di buoi allevati occorrono circa 320 chilogrammi di cereali per ogni mezzo chilo di peso in più del bue. Per i maiali è di circa 1,5-2 chilogrammi di cereali per mezzo chilo di ingrasso dell’animale. Per il pollame è inferiore a un chilogrammo di cereali per mezzo chilo di ingrasso. Per i pesci gatto il rapporto scende a quasi 1 a 1 perché alcune specie di pesci gatto sono bottom feeders, altri sono vegetariani. Questo è il motivo per cui si sta verificando un’enorme crescita dell’itticoltura in Cina.”

 

Come stiamo sfruttando il territorio?

“Una delle questioni centrali è l’enorme crescita della domanda di soia. La miscela standard dei mangimi per il bestiame e il pollame è di 1 parte di cereali e 4 parti di farina di soia perché le proteine di alta qualità contenute nella farina di soia permettono al bestiame e al pollame di convertire i cereali e le proteine animali in modo più efficiente di quanto accadrebbe se gli animali si nutrissero solo di cereali. Allora la questione è: come produrre la soia? Nell’emisfero occidentale oggi, in Argentina, Brasile e su fino agli Stati Uniti e al Canada, ci sono più terreni dedicati alla coltivazione della soia rispetto a quelli per grano e granoturco. Nonostante la soia abbia avuto origine in Cina, oggi Pechino ne produce forse 13 milioni di tonnellate all’anno. Gli Stati Uniti sono a 85 milioni di tonnellate; il Brasile sta tra gli 85 e i 90 milioni di tonnellate. Questo richiede territorio.”

 

Lester Brown in India, nel 1956

 

Se volesse portare un messaggio all’Expo quale sarebbe?

“Dobbiamo riesaminare il problema della popolazione: non può continuare a crescere indefinitamente. Dobbiamo cominciare a coordinare le politiche sulla popolazione con quelle sull’acqua, per esempio.” 

 

Quindi dobbiamo ricominciare a parlare del problema della popolazione.

“Senza dubbio. Questa è una prima cosa. Un’altra è la risalita nella catena alimentare. Molti americani non solo consumano quantità eccessive di carne, latte e uova, ma stanno anche danneggiando la loro salute perché ci sono troppi grassi animali nella loro dieta. Per un paese come gli Stati Uniti scendere nella catena alimentare migliorerebbe lo stato di salute delle persone e insieme quello del pianeta.

Terzo punto: occorre concentrarsi sul problema dell’acqua, su come stabilizzare la situazione idrica. Questo riguarda in particolare l’irrigazione, perché l’80% dell’acqua prelevata è utilizzata per l’irrigazione. Quindi l’efficienza dell’irrigazione diventa la chiave. Il che non riguarda solo il sistema di irrigazione in sé, ma il fabbisogno di acqua delle varie colture. Questo è nutrire il pianeta.”