Il bambù, noto nell’immaginario comune per essere il cibo prediletto dai panda, possiede molte altre proprietà oltre a quelle alimentari. Non è infatti solo l’elevato apporto proteico dato dai germogli a renderlo una pianta utile all’uomo, ma sono anche le sue proprietà meccaniche e il suo basso peso specifico ad assegnarli un posto di rilievo come materiale da costruzione e per la produzione di oggetti. Da componente edilizio usato per la realizzazione di travi, rinforzi e parquet, alla produzione di pasta di cellulosa, questa specie è utilizzata anche per la fabbricazione di tessuti, filtri, telai, bioplastiche e per la produzione di biomassa. Pianta versatile, flessibile e resistente, ha un’altra caratteristica che oggi la rende uno dei principali attori emergenti nella scena globale: è un ottimo carbon sink.

L’acciaio vegetale

Bambù è il termine utilizzato per identificare un gruppo di piante della famiglia delle graminacee (in gergo botanico Poaceae) che conta circa 1400 specie e 100 generi. La sua velocità di crescita, stimata a seconda delle specie tra i 5 e i 10 anni, la rende una delle piante con il più basso intervallo di ricambio e quindi una risorsa estremamente utile per ridurre le pressioni sulle foreste, andando a sostituire alcuni dei mercati che oggi sono dominati dal legno. Essendo però una graminacea, ovvero un’erba gigante, il bambù di fatto non è legno. In Europa questo comporta la sua esclusione dall’utilizzo che potrebbe essere fatto per le costruzioni edilizie e per gli elementi portanti, in quanto non esistono ancora normative ISO che ne regolino l’impiego. A queste latitudini la pianta lavorata soddisfa principalmente il mercato dei rinforzi e dei rivestimenti, sia di facciata che di superficie, assumendo per lo più una funzione estetica e ornamentale. Diversamente accade in America Latina e soprattutto in Asia, dove la crescita spontanea, la sua resistenza meccanica e il basso peso specifico, ne fanno uno dei materiali edili per eccellenza, tanto da essere definitoacciaio vegetale. Le strutture realizzate in bambù infatti sono eccezionalmente leggere, flessibili e resistenti, tanto da essere impiegate con successo in quei territori dove le scosse sismiche sono frequenti (dall’Ecuador al Nepal). Nel corso del ‘900, comunque, anche in Occidente non sono mancati architetti visionari che hanno colto le grandi potenzialità della specie in campo edilizio. Tra questi è doveroso ricordare lo statunitense Richard Buckminster Fuller (1895-1983), pioniere della sostenibilità, che concentrò alcune dei sui esperimenti proprio sul bambù in quanto lo riteneva una risorsa rapidamente rinnovabile ed economica e quindi un materiale da costruzione ideale per progettare massimizzando il rapporto tra resistenza e massa. Ed anche il tedesco Frei Paul Otto (1925-2015), che nel 1964 fondò l'Istituto per le strutture leggere (IL) presso l'Università di Stoccarda, focalizzò le sue analisi sulle proprietà del bambù.

Bambù come carbon sink

Qualità meccaniche a parte, il bambù possiede anche grandi potenzialità nel sequestro del carbonio. Infatti rispetto ad un bosco misto di conifere e latifoglie, il rapporto di produzione di biomassa a parità di superficie occupata è di gran lunga superiore. Secondo uno studio ripreso da Forever Bambù, realtà impegnata nella piantumazione del bambù gigante in Italia mediante agricoltura biologica, un bambuseto di un ettaro (che comprende circa 1200 piante madri di bambù che diventano circa 30.000 canne nel bambuseto adulto) preleva annualmente dall’atmosfera una quantità di anidride carbonica 36 volte maggiore rispetto ad un bosco.
Mario Alejandro Rosato, ingegnere elettrico, elettronico e ambientale, esperto in energie rinnovabili, ha brevettato un modello circolare di utilizzo della pianta, in modo tale da favorirne e massimizzarne il sequestro di carbonio. “In linee generali, il ciclo prevede la produzione di energia dalla digestione anaerobica di rifiuti, fanghi fognari e/o scarti zootecnici e agricoli. - afferma Rosato - Il digestato va poi utilizzato per concimare una piantagione di Phyllostachys pubescens (una varietà di bambù) con eccesso di azoto, così da forzare la pianta ad assorbire CO2. La biomassa raccolta viene utilizzata integramente per produrre beni durevoli come elementi strutturali, mobili, isolanti di fibra, parquet, perfino le eliche delle turbine eoliche. In questo modo il carbonio rimane immobilizzato per decenni nell'oggetto industriale così prodotto. A conti fatti, l'effetto combinato della sostituzione di combustibili fossili, della cattura dell'azoto dai rifiuti e del carbonio immobilizzato nel suolo e nei prodotti, costituisce un efficace carbon sink.”

La realtà italiana

Così da qualche anno diverse società italiane hanno intrapreso investimenti nelle piantumazione di alcune specie di bambù sul territorio nazionale con lo scopo di generare rendimenti finanziari e implementare un modello di business fondato sulla green economy. Due nomi di spicco tra queste società sono Alma italia spa e Forever Bambù. Il loro obbiettivo è quello di rilanciare le economie rurali attraverso la piantumazione di bambuseti e, grazie ad essi, ridurre la pressione sulle foreste naturali e valorizzare il loro ruolo come carbon sink
Alma italia spa è una società nata nel 2015 con l’intento di tutelare l’ambiente attraverso un modello di business circolare e sostenibile. Ad oggi la società possiede 60 ettari di bambuseti tra Piemonte, Emilia Romagna e Puglia. La società nasce con l’idea di creare una filiera del bambù gigante a livello nazionale: a partire dalla coltivazione e manutenzione dei bambuseti fino ai prodotti lavorati da vendere al dettaglio. Dalle piante infatti vengono tratti i filati con cui sono prodotti tessuti, scarpe, borse e cinture, oltre che telai per le biciclette, germogli per il mercato del food e prodotti per la tisaneria. Nell’ambito della gestione agricola, invece, risultano interessanti alcune scelte virtuose messe in atto dalla società. Una prevede di fruire della funzione fitorimediatrice delle piante, coltivandone una parte in terreni impoveriti o con presenza di metalli pesanti. L’altra è quella di usare per la concimazione dei bambuseti il vermicompost prodotto dalla società stessa. “Ad oggi noi abbiamo il piu grande impianto di vermicoltura d’Europa. - spiega Antonio Villani, presidente e co-fondatore di AlmaItalia spa – In pratica sfruttiamo la capacità che possiede il lombrico di demolire e trasformare i materiali organici presenti nel terreno. Proprio per questa sua funzione nutritiva noi chiamiamo il vermicompost lievito madre della terra. Così nei campi impoveriti dove coltiviamo i bambuseti, l’uso di questo prodotto arricchisce di sostanze organiche i terreni e li rinvigorisce della parte biologica. Il vermicompost, inoltre, andrebbe a risolvere il problema dell’eccessiva presenza di nitrati nel terreno, presenza dovuta all’uso di letame per la concimazione dei campi e che in Italia supera di gran lunga i limiti posti dalla direttiva nitrati. Il lombrico trasforma naturalmente il letame andando a ridurre la massa e la quantità di azoto al suo interno e rendendolo più assimilabile dalle piante.”
Ma attenzione, come detto, il bambù presenta almeno 1400 specie e la scelta di prediligerne alcune rispetto ad altre può comportare delle complicazioni. Il germoplasma del bambù, infatti, è incerto, perché tutte le specie fioriscono a intervalli irregolari e solo una piccola frazione dei semi è viabile. Pertanto quando vengono comprati semi o piante ottenute da semi è impossibile sapere che cosa crescerà. Almaitalia ha però trovato una soluzione a questa complicanza: “Nel 2017 abbiamo creato un nostro vivaio interno dove poter produrre e controllare le piante. Per ora rimaniamo una produzione di nicchia, in quanto gli impianti sono giovani e stanno ancora crescendo, ma il mercato è in incredibile espansione.”