Il 12 dicembre 2020 ricorre il quinto anniversario dello storico Accordo di Parigi sul clima. Nell’anno in cui la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite è stata cancellata a causa dell’emergenza sanitaria, Edizioni Ambiente con il contributo della Fondazione Enel pubblica un libro che ripercorre la storia delle COP dal punto di vista di un giovane attivista. Con gli occhi puntati alla COP26, che, posticipata di un anno, si terrà a Glasgow dall’1 al 12 novembre 2021, Federico Brocchieri, ormai veterano delle conferenze sul clima, ne descrive i meccanismi tecnici, scientifici e politici dagli anni Novanta ad oggi.
Pubblichiamo qui alcuni estratti del volum
e “I negoziati sul clima. Storia, dinamiche e futuro degli accordi sul cambiamento climatico”.

Dalla COP21 all’anno dell’ambizione

In conclusione: è esagerato affermare che la COP21 sia stata un successo? Probabilmente sì. Ma ha rappresentato, senza dubbio, un buon nuovo inizio, come sostenuto anche dalle principali reti globali di associazioni e organizzazioni attive nella questione climatica. Un primo passo in un nuovo percorso che per la prima volta nella storia vedrà tutti i Paesi nella stessa piattaforma, con regole comuni, in uno sforzo congiunto – seppur tra i rispettivi interessi e le difficoltà procedurali – per cercare di garantire alle generazioni future un clima (e un pianeta) vivibile.”

Il 2020 è stato definito in diverse occasioni ‘l’anno dell’ambizione’. Già dall’adozione dello storico Accordo di Parigi nel 2015, infatti, era considerato come la prima scadenza per verificare la crescita degli obiettivi di mitigazione dei Paesi, attraverso il primo aggiornamento degli NDC secondo il ciclo di revisione quinquennale stabilito alla COP21.”

Un delicato equilibrio di responsabilità

Il nuovo approccio della diplomazia ai negoziati sul clima si basa su un delicato equilibrio, costruito attorno a tre principi fondamentali ma non sempre facilmente compatibili tra loro: il principio delle responsabilità storiche, che riconosce le economie industrializzate come la causa principale dello stato attuale delle concentrazioni di gas serra in atmosfera e che ha contraddistinto il negoziato fin dai suoi primi passi; quello delle responsabilità comuni ma differenziate in base alle rispettive capacità, che riconosce un approccio globale al problema ma anche le diverse capacità di Paesi industrializzati e in via di sviluppo, nonché il diritto di questi ultimi a uno sviluppo sostenibile; e infine le attuali evidenze scientifiche, che indicano con chiarezza la necessità di un’azione collettiva e radicale, il cui riconoscimento può dirsi definitivamente sancito con l’Accordo di Parigi.”

L’influenza degli Stati Uniti

In generale, una grande influenza sui negoziati UNFCCC è stata certamente esercitata dagli Stati Uniti, il cui ruolo è stato particolarmente controverso fin dai tempi del Protocollo di Kyoto quando risultarono gli unici firmatari a non portare a termine il processo di ratifica.”

Il 9 novembre 2016, proprio all’alba del terzo giorno di negoziato della COP22 di Marrakech, giunse l’esito del voto statunitense con l’elezione di Donald Trump (più volte dichiaratosi scettico riguardo l’esistenza del cambiamento climatico e le sue cause di origine antropica) come nuovo presidente degli Stati Uniti. Un’onda di preoccupazione travolse la conferenza: cosa ne sarebbe stato dell’Accordo di Parigi adottato l’anno precedente?”

Tra i suoi primi annunci, il Presidente eletto Biden ha comunicato di voler riportare gli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi non appena si sarà ufficialmente insediato alla Casa Bianca… Un simile scenario potrebbe assumere un valore particolarmente significativo in virtù del rinvio della COP26, posticipata al 2021 per via dell’emergenza legata al Covid-19.”

Il Covid-19 e il clima

Fin dall’inizio della pandemia, è apparso evidente che il 2020 avrebbe visto rapidamente mutare il proprio focus dall’azione sul clima alla risposta al Covid-19. Questo ha richiesto un ripensamento delle strategie diplomatiche e degli approcci alla questione climatica, che si sono presto incentrati sulla necessità di includere, nei pacchetti di stimolo per la ripresa economica post-pandemia, misure e criteri dotati di una forte connotazione ambientale e in particolare utili al contrasto del cambiamento climatico. Piani e progetti concreti per una green recovery hanno dunque costituito il fulcro dei messaggi politici di numerosi Paesi, che hanno rinnovato l’intenzione di mantenere gli impegni intrapresi o di comunicare come previsto i nuovi NDC, inizialmente attesi entro il 2020.”

E se da un lato è vero che il 2020 marcherà una significativa riduzione delle emissioni globali di gas serra su base annua per via del forte rallentamento delle attività produttive e dei trasporti, associati a cali della domanda di energia, dall’altro diversi studi suggeriscono che questo effetto sarà estremamente limitato sulle concentrazioni di gas serra in atmosfera; e che comunque l’impatto sarà in buona parte compensato dal “rimbalzo” che l’economia mondiale tenterà nel corso del 2021.”

Il tempo sta per finire

Abbiamo ancora la possibilità di ridurre le emissioni in modo da raggiungere gli obiettivi globali più ambiziosi per il contenimento dell’aumento delle temperature, ma stiamo esaurendo il tempo a disposizione: per riuscire, dovremo attuare una trasformazione senza precedenti. Come già menzionato, la scienza si è espressa in maniera molto netta riguardo le nostre possibilità di raggiungere gli obiettivi presenti nell’Accordo di Parigi: per mantenere l’aumento delle temperature al di sotto degli 1,5 °C ‘sarà necessaria una transizione rapida, estesa e senza precedenti in termini di portata nei sistemi energetici e industriali e nelle varie infrastrutture, che porti a riduzioni drastiche delle emissioni di tutti i settori’.”