“La nostra strategia ha una serie di princìpi ispiratori. A cominciare dalla tutela del capitale naturale, un tema che ci sta molto a cuore. E dalla gestione efficiente delle risorse e dei beni comuni che deve essere condivisa perché le risorse naturali, come l’acqua, l’aria, il suolo, sono beni di assoluto interesse per le comunità.” Parla schiettamente Elena Jachia, direttore dell’Area Ambientale di Fondazione Cariplo. Ed espone quei princìpi che da una parte indicano le linee guida degli investimenti della Fondazione a difesa dell’ambiente. Mentre dall’altra spiegano come per la Fondazione stessa la crescita della bioeconomia faccia parte di questo disegno complessivo. 

“Salvaguardare il capitale naturale”, afferma Jachia, “significa anche sviluppare quelle attività economiche che contribuiscono alla salvaguardia stessa”. Poi precisa: “Noi puntiamo a una economia più collaborativa, più sostenibile, a un’economia circolare che sia attenta all’uso delle risorse, a evitare gli sprechi e al recupero e al riutilizzo di tutti i materiali e le risorse.” Insomma, per Fondazione Cariplo la tutela del capitale naturale è la cornice in cui inquadrare il sostegno nei confronti di quei progetti che sono in grado di sviluppare elementi o “germogli” di bioeconomia. 

Fondazione Cariplo è un soggetto filantropico che concede contributi a fondo perduto alle organizzazioni del terzo settore per la realizzazione di progetti di utilità sociale. Ed è in assoluto il maggior donatore nel panorama nazionale finanziando iniziative nei settori dell’arte e della cultura, della ricerca scientifica e dei servizi alla persona oltre che nell’ambiente. A questo proposito va ricordato che nel 2014 la Fondazione ha investito in Lombardia e nelle province di Novara e Verbania più di 11 milioni di euro solo nell’area ambientale: il 2,8% in più dell’anno precedente. Certo, è difficile individuare una quota destinata espressamente all’economia circolare e alla bioeconomia. Tuttavia non mancano iniziative che vanno in questo senso. 

Un bell’esempio dell’impegno di Fondazione Cariplo nell’ambito della bioeconomia è offerto da “Caffè in campo! Verso la strategia zero rifiuti”, iniziativa che ha coinvolto cinque comuni del Parco Agricolo Sud Milano ed è stata finanziata tramite il bando “Costruire comunità sostenibili” il cui obiettivo era: “Contribuire allo sviluppo di iniziative finalizzate a una gestione del ciclo delle risorse efficiente e sostenibile nelle comunità locali”. A guidare questa esperienza è stato il consorzio Cantiere Aperto mentre “Venti sostenibili”, un’associazione di giovani ingegneri esperti di sostenibilità, design e informatica, ha avuto un ruolo più operativo. Al progetto hanno inoltre partecipato la Sasom, la società che gestisce il verde pubblico e i rifiuti nel sudovest milanese, e la Scuola Agraria del Parco di Monza. 

Il risultato più interessante di “Caffè in campo” è stato la creazione di una rete per la raccolta differenziata dei fondi di caffè che ha coinvolto una sessantina di esercenti pubblici fra alberghi, bar, mense e ristoranti. Fino al punto di raccogliere ogni mese circa due quintali di caffè esausto. “Il nostro scopo”, spiega Giulia Detomati, fondatrice di Venti Sostenibili, “è stato intanto quello di differenziare meglio i rifiuti organici in modo che possano passare dall’essere un costo per la comunità – come lo sono ora – a una risorsa. E quindi in grado di creare nuove filiere di business. Ecco perché abbiamo puntato sui fondi di caffè, particolarmente adatti a concimare le terre locali vocate all’orticoltura”.

E in effetti quei due quintali di fondi di caffè recuperati ogni mese sono stati utilizzati come fertilizzanti per fiori e orti. “Ma anche per la coltivazione di funghi commestibili”, precisa Detomati, “come il Pleurotus ostreatus. Abbiamo costruito una filiera produttiva corta coinvolgendo alcune cascine della zona che hanno imparato ad apprezzare le qualità di questo nuovo concime del tutto naturale”. Purtroppo, però, l’esperimento del Parco Agricolo Sud Milano ha avuto un limite: quello di essere stato, appunto, solo un esperimento. Le normative attuali, infatti, non riconoscono ai fondi di caffè lo status di “materia prima seconda” impedendo quindi la creazione di una rete stabile di questo processo. Ma Giulia Detomati rimane convinta della bontà dell’iniziativa. Dice: “Intanto il test è stato positivo: abbiamo verificato che quello che veniva considerato un rifiuto può essere utilizzato a vantaggio di tutti come materia prima seconda. E questo ci darà forza per un altro tipo di battaglia tesa a modificare la normativa a vantaggio dell’ambiente e delle comunità. Abbiamo anche sviluppato e promosso un’app ‘Junker’ che aiuta gli abitanti dei cinque comuni a orientarsi meglio per quanto riguarda la raccolta differenziata. Junker, infatti, risponde a una semplice domanda: dove lo butto? Il progetto si è sviluppato attraverso un contatto continuo con il territorio, la popolazione, gli enti locali e i pubblici esercenti. Ci sono stati incontri sul compostaggio, sul raggiungimento dell’obiettivo rifiuti zero e ovviamente sul caffè”. 

 

 

In effetti il coinvolgimento attivo delle comunità locali è uno degli elementi che accomuna i progetti finanziati da Fondazione Cariplo. Lo confermano anche i bandi sulle “Comunità resilienti” che di fronte al rischio di shock ambientali si propongono “di definire nuove strategie che integrino obiettivi di tutela del capitale naturale e di sviluppo sostenibile con efficaci azioni di mitigazione e adattamento”. E quindi puntano a “rafforzare la resilienza dei sistemi territoriali, cioè la loro capacità di assorbire shock e stress, reagendo attraverso azioni appropriate che consentano di moderare i danni e far fronte alle conseguenze”. Anche in questi casi la Fondazione “ritiene indispensabile un approccio che preveda il coinvolgimento delle comunità e permetta di individuare le soluzioni più adeguate ai contesti locali”.

Lo sa bene Arnaldo Barni, alla guida di Demetra Onlus, capofila del progetto “Orti resilienti di Carate Brianza”, condotto in partnership con l’Associazione Vivere Giovani Acli, l’Associazione Socio Culturale Cca e il Comune di Carate Brianza. “Il nostro obiettivo”, afferma, “non è stato solo quello di recuperare aree degradate utilizzate in passato come orti per riportarle alla funzione originaria ricorrendo a pratiche virtuose come il compostaggio, la permacultura e la riduzione progressiva e quindi l’eliminazione dei pesticidi con la contemporanea riduzione dei rifiuti in una logica di economia circolare. Ma anche di aumentare la socialità e la collaborazione fra i cittadini di Carate”. A sostegno di questa tesi, Barni sottolinea che su 28 orti 18 sono stati riservati agli anziani, otto alle famiglie e due alla comunità. 

“Il vincolo che abbiamo posto nel progetto”, precisa Barni, “è che tutti coloro che ottengono la conduzione di un orto s’impegnino a coltivare almeno per un’ora alla settimana le aree comuni”. Ma non è tutto. Perché gli orti resilienti di Carate Brianza oltre a costituire di fatto un’integrazione al reddito per molte famiglie in difficoltà educano gli abitanti a vivere all’interno di una filiera produttiva biosostenibile. E destinano la sovraproduzione a organizzazioni benefiche come la Caritas. 

 

 

Un altro esempio interessante è offerto dal progetto dedicato alla “Capra bionda dell’Adamello” che vede come capofila Gal Vallecamonica Val di Scalve. Questo progetto si muove più chiaramente all’interno di una logica di mercato: accanto all’esigenza di scongiurare l’estinzione di una specie considerata a rischio dalla Ue e che per secoli è stata una risorsa importante per la Vallecamonica e la Valsaviore, si punta alla costruzione di una filiera economica sostenibile. Da qui la scelta di costruire un centro polifunzionale per la tutela di questa razza autoctona che sviluppi un piano di selezione e ripopolamento. E che nel contempo sia uno spaccio e un caseificio per la produzione e la commercializzazione del “fatulì”, famoso formaggio della zona.

 

 

Un caso a parte, infine, è quello di “Ri-Ponte”, un progetto localizzato nel quartiere milanese di Ponte Lambro e affidato come capofila a Fondazione Lombardia per l’Ambiente. L’iniziativa coinvolge la popolazione e numerosi attori locali: da Amsa, l’azienda che gestisce i rifiuti e la pulizia della strade in città, a Milano Ristorazione, la società del Comune che fornisce 80.000 pasti al giorno agli alunni delle scuole, il Comune stesso, quindi Ecoistituto della Lombardia e il Laboratorio di quartiere. Nel quadro di Ri-Ponte, come racconta Mita Lapi, responsabile dell’Area di ricerca Sviluppo Sostenibile per Fondazione Lombardia per l’Ambiente, ci sono state decine di iniziative per fare di Ponte Lambro un quartiere resiliente che punta a ridurre la produzione di rifiuti plastici. 

 

©WikiCommons / Andrea from Vancouver

 

 

Ebbene, due delle iniziative di “Ri-Ponte” rientrano a pieno titolo in una logica bioeconomica. La prima riguarda la vendita di detersivi ecologici sfusi presso il Mercato coperto comunale: un esperimento che ha coinvolto la popolazione mettendola a contatto con una forma nuova di consumo. Il secondo esperimento, più ambizioso, è stato condotto assieme a Milano Ristorazione e ha riguardato la sostituzione della plastica nella mensa scolastica con una bioplastica biodegradabile. Sarà una coincidenza ma – quasi contemporaneamente al test di Ponte Lambro – proprio Milano Ristorazione ha adottato i piatti biodegradabili e compostabili nelle mense di tutte le scuole della città.

 

Info

www.fondazionecariplo.it/it/index.html

www.caffeincampo.it