In un’ottica di circolarità, la cenere vulcanica potrebbe trasformarsi da problema a opportunità e risorsa. Il progetto Reucet - Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee, condotto da un team di studiosi dell’Università di Catania e finanziato dal Ministero dell’Ambiente, ha studiato la possibilità di trasformare ceneri e lapilli in materiali utilizzabili in alcuni settori dingegneria civile e ambientale. Le proposte vanno da calcestruzzi, malte, intonaci e prodotti laterizi a opere geotecniche, fino a soluzioni in cui vengono utilizzati come adsorbenti con finalità di riduzione dell'inquinamento.

Sommersi dalla cenere dell’Etna

Tra gennaio e marzo di quest’anno, sulle pendici dell’Etna hanno avuto luogo numerosi e frequenti eventi parossistici, caratterizzati da ingenti emissioni di ceneri. I comuni a ridosso del vulcano si sono trovati letteralmente sommersi da coltri di polvere e lapilli, dovendo poi cimentarsi nella gestione e nello smaltimento del materiale vulcanico. Ad oggi, lo stoccaggio della cenere vulcanica è un processo costoso: secondo la normativa vigente il materiale che si deposita sul manto stradale viene classificato come rifiuto, che viene o conferito in discarica, ad un costo decisamente elevato di circa 120 € per tonnellata, o portato presso gli impianti di recupero di inerti (R5), ad un costo più ridotto di 12 € a tonnellata. A tali spese si aggiungono anche quelle della raccolta del materiale dalle strade, spese che, per ogni comune interessato, potrebbero ammontare a diverse centinaia di migliaia di euro.
Certamente l’attività etnea ha da sempre accompagnato la vita degli abitanti della costa orientale della Sicilia: grandi autori come Empedocle, Virgilio e Lucrezio raccontavano nei loro trattati e poemi l’azione distruttiva e al contempo rigenerativa del Mongibeddu, che sovrastava e condizionava l’affaccendarsi e l’operosità delle popolazioni che vivevano alle sue pendici. Ed anche Giovanni Verga, nel suo racconto “Agonia di un villaggio”, lo descrive come “il vulcano tenebroso [che], dietro un gran tendone di cenere, lanciava in aria, con un rombo sotterraneo, getti di fiamme alti cinquecento metri”. Un fattore decisivo, quindi, per il destino degli abitanti di Nicolosi, costretti ad abbandonare le proprie case per sfuggire al potere distruttivo del vulcano.
E ancora oggi la popolazione deve convivere con l’attività effusiva di questo gigante. Se un tempo però si fuggiva di fronte al “tendone di cenere”, oggi questa componente dell’azione vulcanica viene studiata al fine di produrre materiali di nuova generazione che possono essere impiegati all’interno dei settori di ingegneria civile ed ambientale.

Il progetto Reucet: tutti i modi per riutilizzare la cenere vulcanica

Il progetto Reucet (Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee) condotto da un team di studiosi dell’università di Catania, si è prefissato proprio questa finalità. La ricerca, iniziata nel 2018 e conclusasi nel 2020, ha individuato delle linee guida per il recupero del materiale, specificando quali sono le filiere che meglio lo valorizzano e quali sono le applicazioni da scartare.
“Inizialmente si pensava che la cenere potesse essere utilizzata in sostituzione al cemento tradizionale - spiega Paolo Roccaro, professore ordinario di Ingegneria Sanitaria Ambientale presso l’Università di Catania e responsabile scientifico del progetto - La ricerca, però, ha dimostrato che non è del tutto vero: la cenere, infatti, è porosa e friabile e presenta al suo interno dei composti come fluoruri e solfuri che possono inibire alcune reazioni di legame. Da un punto di vista meccanico, quindi, non presenta delle caratteristiche di resistenza idonee per essere utilizzata nella costruzione di strutture portanti, a meno che non venga pre-lavata. Inoltre, nel momento in cui venisse trattata, potrebbe anche essere un’alternativa ad alcuni composti cementizi, venendo per esempio utilizzata nei sottofondi stradali. Questo materiale viene invece valorizzato al meglio se usato nella produzione di intonaci, malte e isolanti sia acustici che termici. Inoltre un’altra applicazione perseguibile è stata riscontrata nel settore ceramico, in quanto la cenere conferisce maggiore leggerezza e lavorabilità ai prodotti, agevolando sia la messa in opera che il trasporto del materiali e andando a costituire anche un valore aggiunto derivante dalla sua sostenibilità. Finora siamo riusciti a coinvolgere alcuni artigiani nella lavorazione dei cotti, ma non siamo riusciti a coinvolgere il settore industriale, non per mancanza di volontà, ma per mancanza di fondi.”
La cenere può inoltre svolgere funzioni di disinquinamento di matrici ambientali (aria e acqua) tramite adsorbimento o fotocatalisi. Può infatti fungere da materiale di supporto per fotocatalizzatori, o può essere trasformata in zeolite, consentendo ad esempio la rimozione del cesio dall’acqua, metallo alcalino pericoloso per l’uomo.

La cenere è un rifiuto? Un problema di norme

La cenere vulcanica quindi appare particolarmente promettente per la produzione di materiali sostenibili per alcuni settori industriali che accusano grandi problemi nell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e nell’ingente rilascio di anidride carbonica in atmosfera. Un problema che si presenta a chi volesse utilizzarla riguarda però il suo status normativo, che, di fatto, non la considera rifiuto. Essa infatti non possiede un codice CER e non è quindi prevista una procedura per il suo recupero. “Solo nel momento in cui va a ricoprire il manto stradale, la cenere rientra nella definizione di rifiuto e le viene assegnato un codice CER da parte dell’autorità competente (provincia o città metropolitana). Di solito le viene attribuito il codice 170504, che è quello delle terre e rocce non contenenti sostanze pericolose, per il materiale che si deposita sul suolo con esclusione di quello raccolto dalle piattaforme stradali. Quest’ultimo viene classificato con CER 20 03 03, ovvero residui della pulizia stradale”, spiega Roccaro. È però in corso la stesura del regolamento End of waste per i rifiuti inerti non pericolosi derivanti dallo spazzamento stradale, che disciplinerebbe il recupero del materiale. Sulla base delle procedure semplificate di recupero, la cenere ad oggi viene portata o ad impianti di tipo R5, che recuperano l’inerte, o direttamente in discarica. E questo, come si è visto, con costi decisamente differenti.
In conclusione l’utilizzo di questi lasciti vulcanici nel settore dell’ingegneria civile e ambientale è oggi un campo di ricerca ancora aperto, che sembra possa contribuire in modo positivo a rendere l’economia odierna un poco più circolare e più rispettosa delle risorse limitate del nostro pianeta.

Immagine: l'Etna durante un'eruzione, ph Shawn Appel (Unsplash)