L’esperienza di alcuni anni nella gestione degli pneumatici fuori uso ci ha confermato che, per raggiungere l’obiettivo di un loro effettivo e totale riciclo e attuare così un modello economico circolare minimizzando il ricorso a contributi economici da parte del consumatore, occorre una gestione attenta e responsabile. Concretizzata, in particolare, nell’attenzione che ogni produttore deve avere verso i propri prodotti e verso i clienti che acquistano tali prodotti (e a cui garantire il miglior prezzo).

Il concetto di responsabilità estesa del produttore (Epr) risponde a questa necessità di visione integrata: dalla progettazione al reintegro dei materiali riciclati in nuove applicazioni, passando attraverso la produzione e la commercializzazione dei prodotti e la loro raccolta e riciclo a fine vita. 

La Epr rappresenta un approccio molto avanzato, in grado di sostenere non solo lo sviluppo tecnologico sempre più sofisticato nell’ecodesign, nella produzione, nelle modalità di riciclo – assicurando al contempo che le scelte aziendali rispondano a una totale sicurezza verso le persone e l’ambiente – ma anche lo sviluppo dei mercati di sbocco. 

L’ultimo anello della filiera del trattamento del rifiuto, ossia il singolo riciclatore, spesso deve affrontare il problema di trovare validi sbocchi di mercato del materiale derivante dal riciclo. Per ovvie ragioni di bilanciamento dei flussi e di valorizzazione dei materiali riciclati, il suo mercato di riferimento deve sempre più essere rappresentato dal settore industriale che ha progettato e realizzato il prodotto poi divenuto rifiuto. 

Un presupposto necessario per poter assumere tale ruolo di “facilitatore” della realizzazione di una filiera regolarmente e proficuamente funzionante è però che il produttore sia effettivamente messo in condizione di organizzare e controllare la gestione del proprio prodotto a fine vita. 

Solo così viene data corretta attuazione alla responsabilità estesa del produttore che nasce, come evidente dalla stessa locuzione, dall’esigenza di responsabilizzare il produttore non solo sugli aspetti più tradizionali della commercializzazione del prodotto (prestazione, rispetto norme tecniche, garanzia) ma anche in relazione al cosiddetto “fine vita”, in coerenza con il principio “chi inquina paga”. 

La responsabilità estesa del produttore, dunque, non può che essere posta esclusivamente a capo degli stessi produttori, e quindi del relativo settore industriale, che dopo aver progettato, costruito e commercializzato il prodotto, vengono obbligati a gestirne il fine vita.

Appare invece contrario ai principi della Epr trasferire la responsabilità per la gestione del fine vita a soggetti diversi dai produttori dello specifico prodotto. Infatti, l’assegnazione di tale ruolo a soggetti che non sono espressione diretta del produttore del bene in questione, come organizzazioni o consorzi che gestiscono per conto dei propri soci altri rifiuti, non solo equivarrebbe a estromettere i “veri” produttori dalla gestione del fine vita del proprio prodotto, ma genererebbe una serie di altri rischi.

Un primo rischio che si correrebbe riguarda il raggiungimento di un livello ottimale di efficienza dei costi. Quanto maggiore è la specializzazione di una Producers Responsibility Organization (Pro) nella gestione del proprio prodotto giunto a fine vita (e quindi di una singola tipologia di rifiuto), tanto aumenta la capacità di tale Pro di trovare, grazie alla conoscenza accurata del settore, soluzioni ottimali in grado di generare ripercussioni positive sul costo della gestione, sull’ammontare del contributo ambientale, nonché sul prezzo del prodotto. Ciò, a maggior ragione, ove la Pro è gestita dal settore produttivo dello stesso bene giunto a fine vita. 

Il raggiungimento di un livello ottimale di efficienza dei costi è autentico interesse dello stesso produttore di un bene, in quanto nessuno più di lui ha vantaggio nel ridurre il valore del contributo ambientale da chiedere ai propri clienti per la gestione del fine vita.

Ma possono esserci anche rischi di possibili conflitti d’interesse: una Pro, espressione dei produttori di un rifiuto X, nel momento in cui potesse operare anche sui rifiuti W, Y e Z in nulla si differenzierebbe rispetto a un ordinario operatore multicodice, per il quale i rifiuti costituiscono il presupposto per il funzionamento della propria azienda. Come tale, esso ha un interesse tendenzialmente antagonista alla prevenzione della generazione del rifiuto. 

Inoltre, il gestore della filiera del rifiuto ha un interesse opposto a quello del produttore. Se il finanziamento dei sistemi di Epr rappresenta per il primo una fonte di guadagno, lo stesso finanziamento produce un effetto negativo per il produttore, dal momento che grava sul costo di acquisto del prodotto, senza generare per lui alcun guadagno. 

C’è poi un rischio per l’efficacia dell’ecodesign, ambito che attiene esclusivamente al settore dei produttori ed è, al contempo, strettamente collegato alla responsabilità estesa del produttore: l’assegnazione della gestione dei prodotti a fine vita a un soggetto diverso dai produttori non garantisce il filo diretto tra la progettazione e la fase del fine vita.

Le organizzazioni di gestione dei rifiuti mostrano molteplici gradi di maturità e diverse posizioni di mercato. Permettere di occuparsi anche di rifiuti non prodotti dai soggetti aderenti porta facilmente a una distorsione della concorrenza a favore di soggetti presenti da tempo sul mercato, che così estenderebbero il proprio raggio di azione ad altre tipologie di rifiuto, conseguendo un indubbio vantaggio rispetto ai Pro di nuova costituzione. Peraltro, la gestione frammista di più tipologie di rifiuto da parte dello stesso soggetto genera rischi di trasparenza gestionale, con spostamento di costi e ricavi, di criticità e vantaggi, di inconvenienti e benefici.

L’economia circolare passa attraverso la corretta gestione dei rifiuti e questo richiama immediatamente due punti di attenzione: gli impatti connessi alla forte responsabilità sociale (ambientale) e le responsabilità derivanti dalla delicata gestione dei contributi economici (importi che il consumatore paga per legge). È pertanto essenziale che per le Producers Responsibility Organization vengano esplicitati specifici obblighi comportamentali, quali indicatori di performance ambientale, etica, rendicontazione e trasparenza; non distorsione della concorrenza; copertura geografica nazionale; meccanismi idonei a evitare il cherry picking; rispetto della gerarchia dei rifiuti e nessuna forma anche indiretta di profitti o benefici sostitutivi. Ciò presuppone l’esistenza di un efficace sistema di controlli: autorità di sorveglianza, verifiche regolari sul modello organizzativo e sui processi aziendali, regolari audit sui flussi di competenza e sugli indicatori economici.

Sarà verosimilmente la stessa legislazione Ue a rendere presto obbligatoria l’istituzione di meccanismi di regolamentazione nazionale dei vari schemi di Epr presenti nei diversi paesi. Considerata la varietà e lo stato più o meno evoluto di tali schemi, la Commissione europea, nella recente proposta di revisione della direttiva 2008/98/Ce sui rifiuti presentata a dicembre 2015, ha suggerito i contenuti indispensabili per definire inequivocabilmente il concetto. 

Anche il legislatore italiano ha riconosciuto la necessità del controllo e del monitoraggio dei sistemi di Epr. L’articolo 29 del Collegato ambientale alla Legge di stabilità 2014 (legge n. 221 del 28 dicembre 2015) attribuisce ora al ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare funzioni di vigilanza e controllo in materia, in linea con il dictat della proposta di revisione della direttiva rifiuti presentata dalla Commissione europea.

Evidentemente anche in Italia i tempi sono maturi.

 

Rifiuti: diverse forme di responsabilità

di David Röttgen,partner dello studio legale Ambientalex e membro della Commissione Ippc del ministero dell’Ambiente

 

Quando si parla di rifiuti nasce anche la necessità di individuare correttamente il soggetto su cui grava la responsabilità della relativa gestione.

Salvo qualche eccezione, la normativa italiana ha optato per la “corresponsabilizzazione” di tutti i soggetti concretamente implicati nel circuito della produzione e gestione del rifiuto, prevedendo che il produttore iniziale, o altro detentore di rifiuti, conservino la responsabilità per l’intera catena di trattamento del rifiuto (art. 188, Dlgs 152/2006).

Esiste, tuttavia, un ulteriore e distinto tipo di responsabilità.

Trattasi della cosiddetta “responsabilità estesa del produttore del prodotto”, di recente introduzione (art. 178-bis, Dlgs 152/2006), che chiama in causa i soggetti che hanno materialmente prodotto i beni estendendo la loro responsabilità anche alla fase di “fine vita” del proprio prodotto, ossia alla fase in cui lo stesso diventa un rifiuto.

È importante tuttavia non incorrere nell’errore di confondere la “responsabilità estesa del produttore del prodotto” con la “classica” responsabilità di chi produce il rifiuto e dei soggetti che intervengono nel trattamento dello stesso (disciplinata all’articolo 188 del medesimo Dlgs 152/2006).

E ciò non solo per il fatto che esse sono ben distinte dal punto di vista normativo, ma anche perché gli interessi del produttore del prodotto e di chi gestisce un rifiuto sono spesso divergenti. Il produttore di un prodotto è interessato a limitare la quantità di rifiuti generati dai suoi prodotti, mentre il gestore di un rifiuto certamente non trarrebbe vantaggio da una riduzione dei rifiuti, che costituiscono la sua “materia prima”.

Nel dibattito quotidiano, tuttavia, si tende a confondere spesso il ruolo dei produttori dei prodotti da quello di chi gestisce materialmente il rifiuto (raccoglitori, riciclatori ecc.).

Tale confusione origina da un utilizzo – non sempre appropriato – del termine “responsabilità condivisa”.

In alcuni casi, infatti, il concetto viene utilizzato per affermare che tutti i soggetti della filiera di gestione del rifiuto sono in solido responsabili in caso di mala gestio di un rifiuto. In altri è invocato per giustificare la richiesta che i sistemi collettivi agiscano di concerto, ovvero si coordinino con i soggetti impegnati nella raccolta e nel trattamento del rifiuto. Infine per alcuni giustificherebbe il diritto di partecipazione anche dei raccoglitori, riciclatori ecc. ai sistemi collettivi istituiti in forza della “responsabilità estesa del produttore del prodotto”, in qualità di soci.

Chi argomenta in tal senso travisa il significato che la stessa legge attribuisce al concetto: il legislatore italiano riconosce infatti la “responsabilità condivisa” solo ed esclusivamente nel settore degli imballaggi. Al contrario, la “norma principe” (art. 178-bis) sulla “responsabilità estesa del produttore del prodotto” non la menziona in alcun modo.

Ma anche per quanto riguarda lo specifico settore degli imballaggi, i destinatari della “responsabilità condivisa” ivi prevista non sono affatto gli operatori della filiera del rifiuto, bensì solo ed esclusivamente gli “operatori delle rispettive filiere degli imballaggi” [cfr. art. 217, comma 2): ossia i produttori (fornitori di materiali di imballaggio, fabbricanti, trasformatori e importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio) e gli utilizzatori (commercianti, distributori, addetti al riempimento, utenti di imballaggi e importatori di imballaggi pieni)].

In sintesi, è comunque possibile giungere alle seguenti conclusioni:

  • La “responsabilità condivisa”, esclusivamente riferibile al produttore del prodotto (e non anche al produttore del rifiuto), è da tenere ben distinta dalla “corresponsabilità” di tutti i soggetti concretamente implicati nel circuito della produzione e gestione del rifiuto.
  • La nozione di “responsabilità condivisa” non richiede affatto la concertazione tra sistemi collettivi e soggetti dediti alla raccolta e trattamento del rifiuto.
  • Tantomeno è in grado di giustificare il fatto che ai sistemi collettivi (consorzi ecc.), istituiti in forza della “responsabilità estesa del produttore del prodotto”, abbiano diritto di partecipare, in qualità di soci, anche coloro che gestiscono materialmente i rifiuti. 
  • È contrario ai principi della “responsabilità estesa del produttore” trasferire la stessa su soggetti diversi dai produttori dello specifico prodotto.
    Peraltro, escludendo gli operatori del settore della gestione dei rifiuti dalla governance dei sistemi collettivi, non si genera affatto il rischio di “eliminare” dal sistema della responsabilità estesa del produttore il settore industriale legato alla gestione dei rifiuti. Infatti, il settore produttivo, soggetto alla “responsabilità estesa del produttore del prodotto”, necessita comunque, per adempiere ai propri obblighi, del settore della gestione dei rifiuti. Il tutto però tenendo ben distinti i rispettivi ruoli e funzioni.

 

 

Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06152dl.htm

 

 

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