È diventato sempre più normale per il business sfornare prodotti specificamente progettati per perdere valore nel tempo, in alcuni casi a livelli drammatici, con l’intento di manipolare i consumatori e spingerli nel vortice dell’acquisto continuo. A parte gli aspetti etici di questo comportamento, uno degli effetti collaterali della progettazione di beni “usa e getta” è una forte pressione sulla catena di rifornimento affinché produca in serie nuovi oggetti. Questo a sua volta pone un’enorme pressione sulle risorse naturali e si traduce in molti degli sviluppi negativi dal punto di vista ambientale e sociale ai quali assistiamo oggi.

Il riciclo viene spesso presentato come la soluzione agli effetti collaterali creati da questa situazione, tuttavia il riciclo sostanzia la produzione di rifiuti e incentiva il perpetrarsi dell’economia lineare. Le tecniche per renderla circolare che cominciamo a implementare oggi non possono occuparsi solo della gestione del fine vita dei prodotti che vanno riusati, rilavorati e riciclati, ma invece devono partire da una visione sistemica dei prodotti lungo l’arco della loro intera vita al fine di generare un cambiamento nei sistemi.

 

 

Dal mio punto di vista di designer sostenibile, vedo continuamente progettisti in tutti i settori dell’industria investire le loro incredibili capacità creative nello sviluppo di “roba problematica”, progetti agghindati dei fronzoli della novità per mascherare il fatto che non danno alcun contributo positivo. Per essere chiari, la più grande sfida dei nostri tempi non consiste nel creare un’app più efficiente per il parcheggio, ma nel progettare un futuro che funzioni meglio per tutti noi. E questo richiede lo sviluppo di una visione del mondo più multidimensionale, che tenga in considerazione le infinite possibilità dell’universo insieme alle limitate realtà biologiche del mondo in cui viviamo.

A questo scopo, durante diversi anni di lavoro all’avanguardia nell’uso della progettazione come catalizzatore di un cambiamento positivo, ho sviluppato il “Disruptive Design Method”. Il DDM è un processo articolato in tre parti – estrazione, progettazione del contesto e costruzione – che adotta un approccio basato sui sistemi, sulla scienza della sostenibilità e sulla progettazione per l’esplorazione e la soluzione di problemi complessi e l’evoluzione in questo campo.

Quando si guarda dal punto di vista del ciclo di vita è facile vedere che tutti i materiali hanno un impatto di qualche tipo. Il punto non è quali materiali usiamo, è quello che facciamo con loro a determinare il grado di impatto planetario e sociale. Ecco perché la progettazione di prodotti che non solo soddisfino i nostri bisogni ma contribuiscano anche a un sistema più rigenerativo deve considerare i componenti fisici insieme alle implicazioni cognitive, sociali e ambientali.

 

 

Nel DDM, il primo stadio dell’“estrazione” consiste nel comprendere i componenti che formano il sistema. Esploriamo l’ambito di un problema senza giudicare, dato che il pensiero sistemico non biasima un sistema interconnesso (e tutto è interconnesso!). Esaminiamo quali elementi e componenti creano quel tipo di problema liberandoci dal bisogno di risolverlo, il che permette la raccolta di intuizioni sulle relazioni tra gli elementi del sistema e di identificare il substrato nel quale quel tipo di problema è radicato. Dopo di che prendiamo queste nuove intuizioni e le mettiamo insieme nella fase di “progettazione del contesto” per sviluppare un’immagine più accurata della complessità intrinseca all’ambito del sistema in cui stiamo lavorando. Con una visione dall’alto, possiamo allora identificare le aree di intervento all’interno del nostro raggio di azione, concentrandoci sui punti su cui fare leva, spesso piccoli e passati precedentemente inosservati, che permettono un cambiamento a livello sistemico dello status quo. Questo naturalmente continua nella fase ideativa della “costruzione”, in cui sviluppiamo velocemente gli interventi potenziali progettati che si adattano al problema in modi diversi, eseguiamo dei test, creiamo prototipi e progrediamo.

L’intero processo viene ripetuto ciclicamente secondo un metodo interattivo e orientato all’azione: cercare nuove intuizioni nello stadio di estrazione che si prende a cuore il problema, identificare le aree di intervento nello stadio basato sul pensiero sistemico della progettazione del contesto, e poi generare approcci divergenti per fare evolvere istantaneamente la situazione attuale in una nuova durante la fase di costruzione.

Se si volesse applicare questa struttura al processo di sviluppo dei prodotti, si utilizzerebbe la fase di estrazione per esplorare la funzione principale del sistema, per definire lo status quo dello svolgimento di quella funzione, per identificare le cose che funzionano e che non funzionano e poi metterle insieme per definire l’attuale contesto operativo, e infine costruire un modello alternativo che renda obsoleto quello precedente da un punto di vista sistemico.

 

 

Prendiamo, per esempio, il frigorifero. La progettazione del funzionamento di questo elettrodomestico non è cambiata molto nel corso di 65 anni: una scatola con due parti principali, ripiani, e un contenitore interno per le verdure. La funzione fondamentale di un frigorifero è di mantenere il cibo fresco, malgrado non lo faccia così bene per molti alimenti deperibili composti da cellule come le verdure. Questo è principalmente dovuto alla scadente progettazione del cassetto per le verdure, che accelera la disidratazione delle cellule vegetali poiché non è un ambiente isolato, e questo si traduce in verdure flosce e mollicce. Usare il DDM per analizzare i vari punti permetterebbe una visione d’insieme del sistema riguardo a questo problema. Poi, nel passaggio alla fase di progettazione (costruzione), i creativi avrebbero gli strumenti per agire riprogettando dal livello funzionale in su, grazie alla comprensione, “estratta” nella prima fase, del fatto che il frigorifero è tanto uno status symbol culturale quanto un’unità funzionale per conservare il cibo. Quindi il compito di conservare il cibo può essere svolto in molti modi diversi che massimizzano il servizio ma minimizzano il consumo di energia e il deterioramento del prodotto.

Partendo da una prospettiva sistemica della progettazione e della produzione si tiene conto degli impatti delle nostre azioni lungo l’intero ciclo di vita, si progetta affinché il valore aumenti e si considerano gli impatti sociali, ambientali ed economici non solo sugli esseri umani, ma sull’intera biosfera.

Sono molti i passi che un produttore creativo può compiere per cambiare drasticamente lo status quo degli ambiti che creano problemi complessi. Non si tratta di boicottare o protestare; si tratta di capire e di motivarsi per poter prendere decisioni di progettazione più informate sulla base di una più ampia e profonda visione sostenibile del mondo. Il DDM consente un approccio alla progettazione più tridimensionale, nel quale le nostre scelte vengono fatte con l’obiettivo di generare intenzionalmente cambiamenti positivi.

Da qui possiamo esaminare e creare quello di cui c’è veramente bisogno. Più ci saranno menti creative che investono le loro capacità nelle sfide allo status quo (invece di rendere possibili le sue parti disfunzionali), e più rapidamente progetteremo un futuro che sia rigenerativo, non incidentalmente distruttivo.