La Nestlé produce 1,7 milioni di tonnellate di plastica l’anno. La Danimer Scientific, impresa di biotecnologie con 101 dipendenti situata nella sonnolenta cittadina di Bainbridge in Georgia, sembrerebbe un partner improbabile per la multinazionale svizzera che è la più grande azienda alimentare al mondo, ma è proprio quello che è successo di recente alla Danimer. 

A gennaio la Nestlé ha ufficialmente arruolato questa piccola azienda produttrice di polimeri biodegradabili e compostabili per affidarle la produzione di una bottiglia che non sia fatta di plastica derivata dal petrolio. Questo colosso aziendale, che registra una capitalizzazione di mercato di oltre 283 miliardi di dollari, vende acqua in bottiglia in tutto il mondo, comprese le marche Poland Springs e Zephyrhills negli Stati Uniti. E le bottiglie di plastica nelle quali viene commercializzata sono diventate una piaga ambientale e un problema di pubbliche relazioni. 

La Nestlé è una tra i numerosi giganti che si stanno attrezzando per combattere su tutti i fronti la plastica usa-e-getta. Tutti i nomi più noti nel settore del cibo e delle bevande, dei prodotti per la casa e per la salute, della bellezza e cura della persona si sono posti l’ambizioso obiettivo di rendere i propri imballaggi completamente riciclabili, riutilizzabili e compostabili entro il 2025. Anche se questi gruppi multinazionali sono in grado di creare nuove tecnologie, ciò non fa propriamente parte del loro core business, e la burocrazia che caratterizza le aziende complesse può ritardare il processo di Ricerca & Sviluppo. Per questa ragione alcuni di questi colossi si stanno rivolgendo a imprenditori e innovatori che offrono materiali alternativi, tecnologie avanzate di riciclo e imballaggi utilizzabili a circuito chiuso.

“Le aziende di dimensioni ridotte possono essere più agili e accelerare il processo attraverso il quale la tecnologia diventa un prodotto utilizzabile dalla multinazionale” dichiara Mike Otworth, amministratore delegato di Innventure, specializzata nell’identificazione e commercializzazione di tecnologie altamente innovative. Il portfolio di aziende di Innventure comprende la PureCycle Technologies – partner di Nestlé dallo scorso marzo – un’innovativa start-up per il riciclaggio della plastica guidata da Mike Otworth.

La Danimer sta riadattando un ex stabilimento per la fermentazione delle alghe nel Kentucky, e mira ad avviare le spedizioni commerciali per altri clienti di oggetti compostabili per la casa quali le cannucce entro la fine dell’anno. L’azienda spera di immettere sul mercato entro il 2021 la prossima generazione di sacchetti di patatine della Pepsi compostabili in casa.

I marchi mondiali hanno influenza sul mercato e dimensioni sufficienti a trasformare letteralmente i consumi: la Coca-Cola per esempio controlla quasi il 50% del mercato mondiale delle bibite gasate. E la posta in gioco per queste aziende è alta: da un po’ di tempo subiscono pressioni da parte dei gruppi ambientalisti che chiedono loro di ridurre la dipendenza dagli imballaggi plastici monouso. Con la crescita dei divieti da parte dei governi dell’utilizzo di borse di plastica, cannucce e altri articoli usa-e-getta, e considerato che la consapevolezza dei consumatori sta aumentando vertiginosamente, le aziende produttrici di beni di largo consumo stanno diventando il volto dell’emergenza della plastica negli oceani.

Nell’autunno del 2018 il movimento Break Free From Plastic ha analizzato circa 200.000 parti di rifiuti in plastica raccolti sulle spiagge di 42 paesi, riscontrando che la maggiore percentuale di immondizia “di marca” proveniva dalle seguenti dieci aziende: Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé, Danone, MondelÄ�z International, Procter & Gamble, Unilever, Perfetti van Melle, Mars e Colgate-Palmolive. Non è di certo una top10 alla quale aspirare come azienda.

“Per quanto riguarda il problema della plastica, la sensazione è di essere prossimi a una svolta decisiva”, dichiara Graham Forbes, tra i responsabili dei progetti globali di Greenpace, una delle organizzazioni che fa parte del movimento Break Free. “Per gli ultimi 30 o 40 anni i grandi marchi hanno insistito sulla storia che poiché i loro prodotti sono riciclabili, allora sono i consumatori che possono occuparsi dei rifiuti. Data la crescente consapevolezza dell’opinione pubblica le aziende – in particolare le grandi marche – stanno cambiando atteggiamento al proposito”. 

Forse abbiamo raggiunto il punto in cui non hanno più alternative. I paesi in via di sviluppo erano già privi di infrastrutture per il riciclo, quando nel gennaio 2018 la Cina ha smesso di accettare i rifiuti in plastica dai paesi industrializzati, mettendo in crisi l’intera industria del riciclaggio. 

Secondo l’organizzazione no-profit Plastic Oceans International, gli esseri umani continuano però a produrre circa 300 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, la metà della quale monouso. E più di 8 milioni di tonnellate l’anno finiscono nei mari. 

 

 

Lavorare alla trasformazione

 

L’universo plastic-free è in espansione da un po’ di tempo e sta dando rapidamente vita a start-up e nuovi prodotti. Per esempio, il numero di prodotti compostabili certificati negli Stati Uniti è aumentato dell’80% negli ultimi 3 anni e mezzo salendo a 9.000, secondo i dati dell’ente di certificazione Biodegradable Products Institute.

Finora però le aziende che offrono alternative alla plastica usa-e-getta hanno rifornito principalmente mercati di nicchia, quali marchi di prodotti ecocompatibili e ristoranti, bar e negozi sensibili al tema ambientale. L’ingresso sul mercato dei grandi marchi è destinato a trasformare questo aspetto. Offrire i propri servizi a nuovi, potenti partner potrebbe però trasformare alcuni di questi protagonisti di nicchia in veri sabotatori?

“Il numero di persone con le quali stiamo lavorando e ci stiamo confrontando è cresciuto enormemente negli ultimi due o tre anni” afferma Richardi Ivey, responsabile marketing della Danimer, aggiungendo che l’azienda dialoga non solo con le multinazionali ma anche con rivenditori online e negozi di alimentari, e con start-up che stanno creando prodotti propri. “Ogni giorno riceviamo cinque o sei richieste. Tre anni fa la media era probabilmente di una o due.” 

La crescita prevista dell’azienda ha spinto la società Advantage Capital a investire nella Danimer 6,5 milioni di dollari, cosa che la aiuterà ad aumentare la propria produttività e a “far crescere significativamente” la propria forza lavoro nello stabilimento di Bainbridge nei prossimi anni, anche se l’azienda non ha specificato il numero di posti di lavoro che pensa di creare. Ivey sostiene che il processo di sviluppo, sperimentazione e approvazione della nuova bottiglia durerà probabilmente alcuni anni. 

PureCycle riciclerà il tipo di plastica che si trova nei tappi delle bottiglie della Nestlé, utilizzando una tecnologia sviluppata in un laboratorio della Procter&Gamble. John Layman, ingegnere macromolecolare della P&G che lavora anche come chief technology officer alla PureCycle, ha inventato un sistema di purificazione che separa colori, odori e altri contaminanti dai rifiuti in polipropilene, trasformandoli in un materiale abbastanza pulito da poter essere utilizzato in bottiglie da cui bere. 

Se estesa a un mercato più ampio, questa tecnologia di cui la Innventure, capogruppo della PureCycle, ha acquisito licenza dalla P&G, potrebbe aumentare considerevolmente il tasso di riciclo del polipropilene, che è utilizzato non solo negli imballaggi di cibo e bibite, ma anche nell’elettronica, negli interni delle automobili e in molti altri prodotti. Infatti poiché impiegando i metodi tradizionali di riciclo questo tipo di plastica presenta poi un cattivo odore e un aspetto orribile, negli Stati Uniti ne viene riciclato meno dell’1%, mentre si ricicla il 20% delle bottiglie di plastica, che sono prodotte in polietilene teraftalato o in PET.

La PureCycle punta a inaugurare il suo primo impianto commerciale nel sud dell’Ohio all’inizio del 2021. La prima fase dell’operazione avrà inizio nel corso di quest’anno. 

P&G e Nestlé sono anche investitori e fondatori del progetto Loop di TerraCycle, lanciato a gennaio al Forum economico mondiale a Davos, in Svizzera. Loop utilizzerà un “modello lattaio”: i prodotti verranno consegnati in imballaggi di alta qualità che potranno essere riconsegnati e riutilizzati più e più volte. Tra gli altri partecipanti al progetto Loop vi sono Pepsi, Unilever, Mars, Clorox, Coca-Cola, MondelÄ�z, Danone e un’altra dozzina di marchi minori. Obiettivo di TerraCycle è far partire progetti pilota di Loop a Parigi, New York, nel New Jersey e in Pennsylvania a partire da maggio. 

 

La bellezza e la bottiglia di carta che resiste alla doccia

 

Chi acquista il nuovo shampoo di L’Oréal Seed Phytonutrients sta già utilizzando un prodotto contenuto in una bottiglia di carta resistente all’acqua. 

Ideato da Shane Wolf, manager di L’Oréal, questo marchio per la cura naturale dei capelli e della pelle è stato lanciato un anno fa e finanziato dalla conglomerata francese, la più grande azienda cosmetica del mondo con un fatturato di 30,1 miliardi di dollari nel 2018. Opera però come entità separata basata a Doylestown in Pennsylvania, la comunità rurale in cui abita Shane Wolf, e i cui agricoltori forniscono gli ingredienti biologici utilizzati dal marchio. 

La bottiglia a prova di doccia è prodotta da Ecologic, una piccola azienda di imballaggi sostenibili fondata nel 2008 dall’imprenditrice Julie Corbett a Manteca, in California. Prima di Seed, Ecologic ha rifornito con successo Seventh Generation e alcuni altri piccoli marchi, anche se di recente ha registrato un colossale insuccesso con una bottiglia per il vino in carta. Corbett ha dichiarato che quando Wolf la contattò, il suo team stava lavorando a una nuova versione della bottiglia che però non era ancora pronta, e per la quale non avevano ancora trovato nuovi clienti. 

“Stavamo per andare in bancarotta, e io soffrivo di un serio disturbo post traumatico da stress”, ha raccontato Julie Corbett. “Così quando Shane mi ha contattato ho risposto di no: non volevo un altro fallimento.” 

Shane Wolf però non accettò il rifiuto: insieme progettarono una bottiglia composta da due pezzi a incastro, interamente compostabile e senza utilizzare colla. La bottiglia è fatta di materiali riciclati prodotti dalle scatole trovate nei centri di distribuzione L’Oréal. All’interno vi è un rivestimento in plastica molto sottile, anch’esso prodotto in materiale post-consumo, che contiene il sapone, lo shampoo o il balsamo liquidi. La prima versione delle bottiglie conteneva il 60% di plastica in meno rispetto a una bottiglia di shampoo standard. 

“Ho dato alla mia squadra un anno di tempo per ridurre la quantità di plastica del 70%, e ci sono riusciti in 6 mesi”, ha dichiarato Wolf. “Non ci fermeremo fino a che non avremo trovato un modo di eliminare del tutto la plastica.”

Si prevede di estendere il progetto, sia all’interno di L’Oréal che oltre. Wolf, che gestisce i marchi Redken, Pureology e Mizani della gamma professionale per capelli di L’Oréal, ha dichiarato che l’azienda convertirà altri marchi al design della bottiglia Seed l’anno prossimo, iniziando con uno dei tre di sua gestione. Allo stesso tempo Corbett sta lavorando per trovare altri clienti per la bottiglia.

L’Oréal non è l’unico produttore di cosmetici che si sta orientando al packaging sostenibile. A dicembre la casa di moda Chanel ha annunciato un investimento nella start-up finlandese Sulapac. Co-fondata da due biochimici, Suvi Haimi e Laura Kyllönen, Sulapac produce imballaggi con un materiale biodegradabile brevettato, prodotto da trucioli in legno e leganti naturali. 

 

Prendersi una vacanza dalla plastica

 

Anche in altri campi commerciali si sta lavorando per eliminare la plastica usa-e-getta. 

Nel primo quadrimestre del 2019, Regent Seven Seas Cruises e Oceana Cruises sono diventate le prime compagnie di crociera ad annunciare l’eliminazione delle bottiglie di plastica su tutte le loro navi. Le sostituiranno con bottiglie in vetro riutilizzabile contenenti acqua filtrata attraverso un sistema progettato dalla Vero Water, con sede a Miami. 

La Vero Water è nata nel 2011, offrendo a ristoranti prestigiosi acqua filtrata a un costo inferiore rispetto a quello della spedizione di acqua in bottiglia. Diventata rapidamente popolare presso hotel e resort, recentemente la Vero Water ha realizzato che il fattore ambientale è diventato un fattor e primario di motivazione negli acquisti, in particolar modo per le strutture situate sulle spiagge.

“Si sono accorti che per chi gestisce un hotel o un resort su una spiaggia incontaminata dei Caraibi, i mucchi di immondizia galleggiante in riva al mare sono un deterrente per gli affari” dichiara David Deshe, fondatore e presidente di Vero Water. 

Deshe afferma che analizzando gli acquisti di bottiglie in plastica effettuati in passato dai resort, Vero ha osservato che passando a questo tipo di servizio molti hanno eliminato dal proprio flusso di rifiuti tra le 300.000 e le 500.000 bottiglie all’anno. 

Tra i clienti di Vero Hyatt, Mariott e altri operatori mondiali; inoltre l’azienda sta lavorando con il gruppo spagnolo Iberostar per eliminare completamente le bottiglie di plastica dalle loro proprietà entro la fine dell’anno.

“Nei ristoranti e nelle strutture ricettive, l’acqua in bottiglia ha i giorni contati”, conclude Deshe.

 

Un’impresa davvero difficile

 

La strada per eliminare la plastica per coloro che non sono nei top10 degli inquinatori sarà molto più lunga e difficile. La plastica è profondamente radicata nella società e nei business plan. Nel mondo ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica, circa 20.000 al secondo, secondo l’ente di ricerca di mercato Euromonitor International. 

Anche con tutte le migliori intenzioni, raggiungere l’obiettivo del 2025 costituirà una sfida enorme. 

“Siamo felici di lavorare con persone così motivate”, ha dichiarato Ivey della Danimer. “Speriamo davvero che ce la possano fare, ma è sicuramente un’impresa difficile.” 

La Danimer ha lavorato per alcuni anni con la Pepsi alla creazione di un pacchetto per le patatine compostabile, e l’azienda ha appena lanciato una versione “industriale compostabile” per la sua marca di patatine Artesanas in Cile. Questo tipo di imballaggio ha bisogno di un programma di raccolta che consegni il rifiuto a un impianto di compostaggio industriale in cui vi siano il calore e l’umidità necessari affinché il materiale si decomponga. Se il sacchetto della Pepsi deve diventare effettivamente compost, occorre che i consumatori in Cile la buttino in contenitori speciali che si trovano solo in alcuni negozi Walmart. I critici sostengono che le informazioni inadeguate sulle etichette e la mancanza di infrastrutture fanno sì che molti pacchetti compostabili finiscono nei normali bidoni dell’immondizia. 

“Per risolvere completamente il problema è necessario che vi siano le strutture necessarie alla gestione di questi materiali”, riconosce Ivey. “E questo richiederà l’impegno di tutti, dalle aziende ai consumatori ai governi.” 

Il 13 marzo più di 350 aziende, governi e altre organizzazioni hanno firmato il New Plastic Economy Global Commitment della Fondazione Ellen MacArthur per eliminare la plastica usa-e-getta entro il 2025. 

 

Break Free from Plastic, www.breakfreefromplastic.org

Plastic Oceans International, https://plasticoceans.org

TerraCycle, www.terracycle.com/en-US

Fondazione Ellen MacArthur, New Plastic Economy Global Commitment; www.ellenmacarthurfoundation.org/news/spring-2019-report