Basta chiacchiere, parliamone sul serio: ora che gli eventi meteorologici colpiscono persone, proprietà e produttività, la realtà concreta della connessione tra meteo e cambiamento climatico è diventata incontestabile. Dal gelo in Texas alle inondazioni in Europa al fumo degli incendi boschivi in California che si infiltra nel mio appartamento mentre scrivo, i recenti eventi mi hanno portato a riflettere sul ruolo dei professionisti che più di tutti si occuperanno dei rischi concreti: gli assicuratori.
Il boom recente degli ESG (Environmental, Social and Governance), e la relativa guerra di competenze, si incentra soprattutto sul potere del debito e dei mercati azionari. Come si è posizionato il settore assicurativo in questo momento critico per accelerare la transizione verso un'economia pulita? I fondi azionari ESG hanno raccolto quasi 9 dollari su ogni 10 investiti a luglio. Sebbene ci siano buone ragioni per essere scettici sull'importanza di questo dato, viste le normative lassiste che regolano i fondi ESG e lo scarso allineamento tra i più importanti valutatori, si tratta comunque di un bel po’ di soldi già frutto degli ESG.
Soprattutto, il settore assicurativo ha un grande potenziale per fare ciò che investitori, autorità di regolamentazione e altri non sono stati in grado di fare: fissare un prezzo del rischio climatico sufficientemente alto da modificare il comportamento aziendale e muovere i mercati.

La Net Zero Insurance Alliance

Come sottolineano Alex Wittenberg e i colleghi di Oliver Wyman, "attraverso la limitazione della copertura per determinati asset o settori dell'economia, gli assicuratori hanno la capacità di spostare intere catene del valore" e "il portafoglio di sottoscrizione può reagire molto più rapidamente a programmi in continuo cambiamento rispetto al portafoglio di investimenti, vista la durata annuale della maggior parte dei contratti assicurativi."
Così la
Net Zero Insurance Alliance (NZIA), lanciata a luglio, presenta una coalizione con una missione potenzialmente di grande impatto. È composta da otto delle più grandi compagnie assicurative globali (ma nessuna società statunitense), collettivamente considerate indolenti sulla questione climatica. Il nuovo gruppo mira a utilizzare il proprio potere di sottoscrittori per sostenere la transizione verso un'economia pulita, impegnandosi a portare i propri portafogli di sottoscrizione a zero emissioni entro il 2050. Ciò include obiettivi intermedi stabiliti su dati scientifici ogni cinque anni e report indipendenti sui progressi ottenuti, resi pubblici annualmente.
Metà delle otto compagnie assicurative fondatrici dell’alleanza sono tra le 10 più grandi al mondo, e l’impatto causato dalla possibilità di portare i loro portafogli di sottoscrizione a zero
emissioni sarebbe davvero significativo. Gli assicuratori statunitensi dovranno seguire a ruota.
E potrebbe succedere
presto: un professionista della sostenibilità appena nominato presso una compagnia assicurativa americana, che ha chiesto di rimanere anonimo, la scorsa settimana mi ha riferito che "Sebbene ce ne siamo stati buoni sulla questione climatica fino ad ora, il 2021 ha cambiato la nostra prospettiva, riaffermando il nostro impegno e le nostre priorità per quanto riguarda gli ESG."
Lo spazio della sostenibilità aziendale è già saturo di
parole e promesse e ha ora un disperato bisogno di azioni concrete, quindi è con entusiasmo che tengo d'occhio la NZIA e la risposta proattiva del settore assicurativo statunitense mentre ci avviciniamo alla COP26 di novembre.

Alzare la posta

Finora, la continua pressione degli attivisti e degli investitori esercitata sulle più grandi istituzioni che finanziano i combustibili fossili non ha colpito gli assicuratori che aiutano a rendere questi progetti finanziariamente sostenibili, ma anche questo potrebbe cambiare. Che risultati vogliono ottenere coloro che esercitano pressioni sull’industria e come si sta attivando l’industria?
Insure Our Future, una campagna che comprende organizzazioni ambientaliste, per i diritti dei consumatori e organizzazioni della società civile, fa da capofila nel richiedere al settore assicurativo statunitense di allineare le proprie pratiche di sottoscrizione alla retorica climatica che va promuovendo. L'elenco delle recenti vittorie della campagna di sensibilizzazione sta crescendo e sembra probabile che la maggiore comprensione scientifica del legame tra il cambiamento climatico e la gravità e frequenza dei disastri naturali contribuirà a sostenere questa tendenza.
Le richieste del gruppo non sono nuove, ma i risultati dell'ultimo
rapporto del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) hanno conferito loro maggiore urgenza. La prima richiesta, di "cessare immediatamente l'assicurazione di nuovi e ampliati progetti per lo sfruttamento di carbone, petrolio e gas", è stata ripresa dall'Agenzia internazionale per l'energia (IEA), un ente fondato da Henry Kissinger nel 1974 per fornire un contrappeso geopolitico all'OPEC e che, storicamente, non si allinea alle richieste degli attivisti.

Il nocciolo della questione

È chiaro ormai che la pressione degli attivisti è in grado di ottenere risultati. Liberty Mutual, la terza più grande compagnia assicurativa per beni e sinistri negli Stati Uniti, ha recentemente rinunciato a un nuovo progetto sul carbone in Australia, un progetto palesemente in contrasto con gli avvertimenti dei principali organismi scientifici del mondo, a causa delle pressioni di Insure Our Future e altri. Eppure la società non sembra ancora pronta ad ammettere la realtà. Come Liberty Mutual ha condiviso con me in una dichiarazione piuttosto rassicurante la scorsa settimana, "Abbiamo un ruolo importante da svolgere nel sostenere la resilienza climatica attraverso la nostra gestione del rischio, la sottoscrizione e gli investimenti".
Un ruolo importante da ricoprire, infatti, la cui abdicazione ha incalcolabili implicazioni per gli investitori. Di recente, ad esempio,
Legal and General Investment Management, il più grande gestore patrimoniale del Regno Unito, ha scaricato AIG dalle sue partecipazioni a causa della mancanza di progressi da parte dell'assicuratore nell'affrontare il rischio climatico.
Questo è solo un assaggio di ciò che accadrà. Forti dell’analisi sui combustibili fossili resa pubblica da IEA, così come delle recenti dichiarazioni dell'IPCC, i gruppi di pressione stanno puntando sulla
responsabilità del settore assicurativo. Lindsay Keenan, coordinatrice europea di Insure Our Future, ha recentemente dichiarato al Financial Times: "Più tempo impiega l'industria assicurativa a tirarsi fuori dal mirino riguardo a questo tema, più sarà presa di mira".
Non ci sono solo gli attivisti, ovviamente. Come
Mark Carney, ex governatore della Banca d'Inghilterra, ha condiviso sul podcast Climate One in luglio, "Considero il settore assicurativo come un fedele reporter di ciò che sta accadendo sul campo. Quello che non vorranno assicurare è un indicatore importante di quanto si metteranno male le cose, visto che prevederlo è il loro lavoro".
Quindi la domanda a cui
il settore sarà chiamato a rispondere quest'anno è: gli assicuratori incasseranno sugli ultimi profitti dei combustibili fossili o useranno il loro "superpotere della sostenibilità" (quello che sostiene il rischio aziendale al servizio dello sviluppo economico) per accelerare la transizione verso un'economia pulita?

Questo articolo è stato pubblicato su GreenBiz.com