Abbondanza di materie prime rinnovabili a basso prezzo, un settore agricolo e forestale leader a livello mondiale, forte sostegno all’innovazione, grandi imprese con ricchi portafogli e startup specializzate, un sistema regolatorio molto favorevole, con un Green Public Procurement preso come modello da tutti i paesi del mondo. Bastano questi pochi elementi per comprendere come gli Stati Uniti d’America continuino a essere il paese leader della bioeconomia, nonostante la presidenza di Donald Trump. Se l’attuale inquilino della Casa Bianca è forse uno dei più noti negazionisti dell’emergenza climatica e grande sostenitore delle fonti fossili – nel suo programma elettorale sosteneva infatti: “Lanceremo una rivoluzione energetica che porterà nuove e vaste ricchezze al nostro paese, libereremo i 50 trilioni di dollari americani di riserve di gas naturale, petrolio e shale gas non sfruttate, oltre a riserve di carbone pulito di centinaia di anni” – è altrettanto vero che la sua base elettorale più solida è fatta da quegli agricoltori del Midwest che tanto abbondantemente beneficiano delle politiche che incentivano le energie rinnovabili da biomassa. Così come che per molti Stati dell’Unione la strada verso uno sviluppo sostenibile è ormai ampiamente senza ritorno.

 

La strategia americana

Certo lo scenario politico è diverso da quando nell’aprile 2012 l’Amministrazione di Barack Obama lanciava il National Bioeconomy Blueprint. “Il mondo sta transitando verso un’economia dell’innovazione e nessuno innova meglio dell’America”, dichiarava Obama il 6 dicembre 2011. Con questa citazione si apre il sommario del documento che disegna la strategia d’Oltre Atlantico per sviluppare la nuova economia basata sulle risorse biologiche. “L’attività economica che è alimentata dalla ricerca e dall’innovazione nelle scienze biologiche, la bioeconomia, è un segmento ampio e in rapida crescita dell’economia mondiale, che fornisce sostanziali benefici pubblici. La bioeconomia è emersa come priorità dell’amministrazione Obama a causa del suo enorme potenziale per la crescita e molti altri benefici sociali che offre. Può consentire agli americani di vivere vite più lunghe e più sane, ridurre la nostra dipendenza dal petrolio, affrontare le principali sfide ambientali, trasformare i processi di produzione e aumentare la produttività e la portata del settore agricolo mentre crea nuovi posti di lavoro e fa crescere le industrie”. 

Alla base della strategia di Washington si trovano le biotecnologie, campo in cui gli Usa sono leader, con applicazioni rilevanti sia nel settore agricolo (76 miliardi di dollari di ricavi dai prodotti geneticamente modificati nel 2010, cita il National Bioeconomy Blueprint), sia nel settore industriale (100 miliardi di dollari) e in quello farmaceutico, compreso quest’ultimo a pieno titolo nella definizione americana di bioeconomia.

Sono cinque gli obiettivi strategici che il documento Obama fissa per il Paese: 1. supportare gli investimenti in ricerca e sviluppo che saranno il fondamento della futura bioeconomia americana; 2. facilitare il passaggio delle bio-invenzioni dai laboratori di ricerca al mercato, includendo una maggiore attenzione alle scienze traslazionali e della regolamentazione; 3. sviluppare e riformare le normative per ridurre le barriere, aumentare la velocità e la prevedibilità dei processi normativi, ridurre i costi proteggendo la salute umana e ambientale; 4. aggiornare i programmi di formazione e allineare gli incentivi delle istituzioni accademiche con la formazione degli studenti per le esigenze della forza lavoro nazionale; 5. identificare e supportare opportunità per lo sviluppo di partnership pubblico-private e collaborazioni precompetitive, in cui i concorrenti mettono in comune risorse, conoscenze e competenze per apprendere dai successi e dai fallimenti.

 

Il programma BioPreferred

Il principale strumento di supporto alla bioeconomia a stelle e strisce è rappresentato dal programma BioPreferred. Gestito dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), obiettivo del programma introdotto dal Farm Bill del 2002 e confermato e ampliato dal Farm Bill del 2014, è incrementare l’acquisto di prodotti biobased, fornendo nuovi mercati alle colture agricole, stimolare la crescita economica e creare nuovi posti di lavoro. Nato in era pre-Trump, ancora oggi il programma rivendica il proprio ruolo nel “ridurre la dipendenza della nostra nazione dal petrolio, aumentare l’uso di risorse agricole rinnovabili e contribuire alla riduzione degli impatti negativi sull’ambiente e sulla salute”.

BioPreferred è articolato in due parti: la prima prevede requisiti di acquisto obbligatori per le agenzie federali e i loro appaltatori; la seconda un’iniziativa volontaria di etichettatura per prodotti biobased. Si tratta di fatto della maggiore iniziativa di supporto alla domanda di bioprodotti attraverso un sistema di Green Public Procurement a livello mondiale, che ha consentito agli Stati Uniti – secondo un’analisi compiuta dalla Duke University e dall’Università statale del Nord Carolina nel 2016 – di accrescere il valore della propria economia di 393 miliardi di dollari nel 2014, con 4,2 milioni di nuovi posti di lavoro (diretti e indiretti). Nessun supporto finanziario è fornito ai suoi partecipanti.

La legge federale, il regolamento federale sugli acquisti e gli ordini esecutivi presidenziali indicano che tutte le agenzie federali acquistano prodotti biobased in categorie identificate dal Dipartimento dell’Agricoltura. A oggi, l’Usda ha identificato 109 categorie (per esempio detergenti, tappeti, lubrificanti, vernici) di prodotti biobased. Ogni categoria di acquisto obbligatoria specifica il contenuto minimo biobased per i prodotti che ne fanno parte. Il programma BioPreferred fornisce gli strumenti per l’acquisto, il catalogo dei bioprodotti e risorse per la formazione necessaria. L’etichetta del prodotto biobased certificato Usda (sono terze parti a svolgere le analisi) è progettata per fornire informazioni utili agli acquirenti sul contenuto da fonti rinnovabili biologiche del prodotto.

 

Il settore agricolo e forestale

Che il Dipartimento dell’Agricoltura sia protagonista del sistema più importante di supporto alla bioeconomia non stupisce se si considera quanto siano rilevanti il settore agricolo e forestale negli Stati Uniti. Secondo il Servizio di ricerca economica dell’Usda, l’agro-alimentare e le industrie correlate hanno contribuito per 1,053 trilioni di dollari al prodotto interno lordo degli Stati Uniti nel 2017, pari al 5,4% del totale. La produzione delle fattorie americane ha contribuito con 132,8 miliardi a questa somma, circa l’1% del Pil. Il contributo complessivo del settore agricolo al Pil– sottolinea l’Usda – è più ampio di questo perché i settori legati all’agricoltura – silvicoltura, pesca e attività connesse; cibo, bevande e prodotti del tabacco; tessuti, abbigliamento e prodotti in pelle; negozi di alimenti e bevande; e il servizio di ristorazione, i luoghi di ristorazione e di consumo – dipendono dai fattori di produzione agricoli al fine di fornire un valore aggiunto all’economia.

Nel 2017, 21,6 milioni di posti di lavoro a tempo pieno e parziale erano legati ai settori agricolo e alimentare, l’11% del totale degli impieghi negli Stati Uniti. L’occupazione diretta in azienda ha rappresentato circa 2,6 milioni di questi posti di lavoro, ovvero l’1,3% del lavoro negli Usa. L’occupazione nelle industrie agricole e alimentari ha sostenuto altri 19 milioni di posti di lavoro. Di questi, l’alimentare, i posti di ristoro e consumo hanno rappresentato la quota maggiore – 12,5 milioni di posti di lavoro – e i negozi di generi alimentari e bevande hanno sostenuto 3,2 milioni di posti di lavoro. Le restanti industrie legate all’agricoltura hanno aggiunto altri 3,3 milioni di posti di lavoro.

Significativo è anche il dato della superficie degli Stati Uniti coperta da foreste. Si tratta di oltre 750 milioni di acri, l’8% della superficie forestale mondiale (le maggiori foreste nazionali, Tongass e Chugach, si trovano in Alaska). L’11% di questa superficie è protetto.

 

Le imprese innovative

Il sostegno all’innovazione, alle biotecnologie e alla connessione tra agricoltura e industria ha consentito agli Stati Uniti di far crescere numerose imprese che oggi sono protagoniste della bioeconomia mondiale. LanzaTech, Anellotech, Renmatix, Genomatica, Sylvatex, NatureWorks sono accomunate da una forte componente tecnologica e nel loro rispettivo campo stanno cambiando le regole del gioco per far crescere l’impiego di fonti biologiche rinnovabili. 

Non è nata negli Stati Uniti la LanzaTech, ma a Chicago, in Illinois, ha trovato le condizioni migliori per sviluppare il proprio business, ovvero favorire l’approdo a un futuro “carbon smart”. Guidata dalla Ceo Jennifer Holmgren, LanzaTech ricicla il carbonio dai gas di scarico industriali e genera syngas da qualsiasi risorsa da biomassa (rifiuti solidi urbani, rifiuti organici e agricoli) per sviluppare biocarburanti per aviazione e biochemicals. Nell’ottobre 2018 un volo operato dalla Virgin Atlantic, partner di LanzaTech, da Orlando (Florida) a Londra Gatwick è stato alimentato da una miscela contenente il biocarburante della società americana.

Nello Stato di New York ha il proprio quartier generale la Anellotech, che ha brevettato il processo Bio-TCat per sviluppare prodotti chimici aromatici “drop-in” (omologhi di quelli di origine fossile) al 100% a base di bio-Btx (cioè benzene, toluene e xilene). La società guidata da David Sudolsky (vedi intervista) è stata fondata nel 2008 e ha raccolto 80 milioni di dollari in contanti e contributi in natura fino ad oggi. I bio-aromatici di Anellotech sono attualmente prodotti utilizzando materie prime provenienti dal pino loblolly diffuso negli Stati Uniti del Sud presso l’impianto pilota T-Cat8 di Anellotech a Silsbee, in Texas. Anellotech ha iniziato a pianificare la progettazione e l’ingegnerizzazione su scala ingrandita di un impianto commerciale.

Il team di ricerca di Anellotech sta sviluppando il processo Bio-TCat attraverso partnership a lungo termine con aziende leader nello sviluppo dei processi, nella catalisi, nella progettazione ingegneristica e nelle licenze. Tra questi: Johnson Matthey, un’azienda globale specializzata in prodotti chimici che co-sviluppa e fornisce catalizzatori; Ifp EnergiesNouvelles (Ifpen), l’ente pubblico francese di ricerca; Axens, fornitore internazionale di tecnologie avanzate. 

Suntory, una delle più importanti aziende produttrici di bevande al consumo, ha stretto una partnership con Anellotech per promuovere lo sviluppo e la commercializzazione di bio-aromatici a costi competitivi, tra cui il bio-paraxilene, il componente chiave necessario per realizzare bottiglie in Pet a base 100% biologica. Nel luglio 2016 Toyota Tsusho Corporation, la società commerciale generale del Gruppo Toyota che sviluppa attività diversificate, ha annunciato il suo investimento in Anellotech.

Un altro investimento importante nel settembre dello stesso anno è stato quello realizzato da Bill Gates (14 milioni di dollari) nella Renmatix, un’impresa con quartier generale in Pennsylvania che produce zuccheri cellulosici per il mercato dei combustibili e dei prodotti chimici rinnovabili. Gates si è così unito al colosso petrolifero Total (già azionista di Renmatix) per puntare sulla società guidata da Mike Hamilton, la quale ha sviluppato un processo a base di acqua (Plantrose) che consente di convertire con un metodo molto economico un’ampia gamma di biomassa non alimentare in zuccheri cellulosici. 

Nel campo delle biotecnologie industriali, vero e proprio leader mondiale è Genomatica, un’impresa californiana costituita nel 1998 che in pochi anni è riuscita a imporsi come punto di riferimento per l’innovazione dell’industria chimica. All’attivo, la società di Christophe Schilling ha numerose partnership con veri e propri colossi come Braskem, Versalis, Covestro, Novamont e Aquafil. Con quest’ultima ha siglato un accordo pluriennale per la realizzazione di un caprolattame – ingrediente per la produzione del nylon – di origine vegetale. L’obiettivo della collaborazione tra l’azienda trentina e quella basata a San Diego è lo sviluppo di un bioprocesso vantaggioso in ottica commerciale (il Processo Geno Cpl di Genomatica) per produrre caprolattame utilizzando ingredienti rinnovabili di origine vegetale, in sostituzione dei materiali derivati dal petrolio greggio tradizionalmente impiegati dall’industria del nylon.

Un’altra impresa californiana sotto i riflettori è Sylvatex, che riutilizza input vegetali di basso valore per produrre alternative di alto valore per i prodotti petrolchimici. La piattaforma della società guidata da Virginia Klausmeier – MicroX – consente di sostituire le emulsioni a base di petrolio con un sistema tecnicamente superiore, a basso costo e non tossico. Si tratta di nanoparticelle composte da materiali vegetali e sistemi ingegnerizzati che manipolano sostanze chimiche, fabbricano materiali e strutture, producono energia e migliorano l’ambiente fornendo soluzioni più sicure.

Americana, con quartier generale in Minnesota, è anche la società leader nel mercato delle bioplastiche Pla, NatureWorks, frutto di una joint venture tra il gigante delle commodity agricole Cargill e il gruppo chimico thailandese Ptt Chemical. Così come Butamax (nel Delaware), joint venture tra il colosso chimico Dupont e la BritishPetroleum, che sviluppa isobutanolo da fonti rinnovabili biologiche, il quale può essere utilizzato sia per sviluppare biocarburanti sia come intermedio per un ampio spettro di prodotti chimici. 

 

Il sistema della ricerca

Alla base della capacità di innovare c’è la ricerca americana. Nel campo della bioeconomia una delle eccellenze è rappresentata dall’Università statale dell’Iowa (siamo sempre nel Midwest), dove è presente un Istituto per la bioeconomia costituito nel 2002 e focalizzato sullo studio della biomassa come materia prima per bioenergie e biocarburanti, biochemicals e biomateriali. Negli ultimi cinque anni l’istituto ha ricevuto 80 milioni di dollari di fondi dall’industria e dalle agenzie federali per proseguire le proprie ricerche. 

Per coordinare tutta l’attività di ricerca sulle biomasse, nel 2000 il governo americano ha istituito il Consiglio per la ricerca e lo sviluppo della biomassa, al fine di rendere coerenti i programmi all’interno dei dipartimenti e delle agenzie federali e promuovere l’uso di prodotti industriali biobased mediante la massimizzazione dei benefici derivanti da sovvenzioni federali e assistenza, e la coerenza della pianificazione strategica federale. 

Il consiglio è co-presieduto da alti funzionari dei Dipartimenti dell’energia (Doe) e dell’agricoltura (Usda) e ne fanno parte anche rappresentanti del Dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti (Dot), del Dipartimento degli interni (Doi), del Dipartimento della difesa (Dod), dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa), della National Science Foundation (Nsf) e dell’Ufficio delle politiche per la scienza e la tecnologia che fa capo all’Ufficio esecutivo del presidente.

 

BioPreferred, www.biopreferred.gov/BioPreferred

Renmatix, https://renmatix.com

Sylvatex, https://sylvatex.com

Immagine in alto: ©Flaticon

 


 

Intervista a Brent Erickson, presidente di BioInsights Consulting

di M. B.

 

Economia biobased nell’era di Trump

 

Brent Erickson è presidente di BioInsights Consulting Llc. Nel 2000 ha iniziato una collaborazione con la Biotechnology Industry Organization (Bio) in cui ha ricoperto il ruolo di vicepresidente esecutivo alla guida della Sezione Industriale e Ambientale di Bio, durata fino all’aprile 2019. In questo ruolo è stato uno dei più importanti stakeholder della bioeconomia statunitense. 

In questa intervista con Materia Rinnovabile, Brent Erickson ci illustra i punti di forza e di debolezza della bioeconomia americana, e ci parla delle prospettive dell’economia biobased nell’era di Trump. 

 

Quali sono i punti di forza e di debolezza della bioeconomia statunitense? 

“Nel corso degli anni l’economia biobased negli Stati Uniti è cresciuta e si è differenziata. In passato riguardava soprattutto l’etanolo, ma ora assistiamo a un rapido incremento di piattaforme chimiche rinnovabili che vengono immesse sul mercato. Inoltre vi è una grande attività intorno agli ingredienti alimentari e alle proteine a base vegetale, come è emerso dal recente Ipo (Initial Public Offering) Beyond Meat. Anche nei biocarburanti per l’aviazione si osservano progressi.

Il suo punto di debolezza consiste nel fatto che l’industria del petrolio continua a ostacolare l’espansione dei biocarburanti a etanolo, e la commercializzazione dell’etanolo è ancora difficoltosa.” 

 

Quali sono i principali protagonisti della bioeconomia negli Stati Uniti? 

“Continuano a essere coloro che l’hanno adottata per primi, come per esempio DuPont, Dsm, Novozymes, Amyris e Poet, che però non dominano la scena come facevano in passato. Stiamo assistendo alla rapida crescita di un numero sempre maggiore di nuovi attori di piccole e medie dimensioni. L’economia biobased si è molto evoluta e le nuove tecnologie quali l’editing genetico stanno creando nuove opportunità di startup. In più le materie prime che vengono convertite non sono più solo il mais o la soia, ma ve ne sono molte altre, quali i gas naturali e anche i rifiuti.” 

 

Quali iniziative sono state adottate negli Stati Uniti per sostenere lo sviluppo della bioeconomia? Pensa che vi siano particolari misure che dovrebbero essere adottate nel breve termine?

“Il Congresso e le varie amministrazioni hanno avviato diverse iniziative di policy a livello federale. Si tratta del Renewable Fuels Standard (Rfs), del BioPreffered Program e della Green Fleet Initiative, per nominarne alcune. I programmi nazionali hanno permesso di dare impulso a innovazione e commercializzazione, ma in cantiere ci sono pochi altri programmi. L’eccezione potrebbe essere costituita da un nuovo credito di imposta per la chimica rinnovabile, e più avanti da una norma sui carburanti a bassa emissione di carbonio. Alcuni Stati però non aspettano il governo federale e stanno prendendo alcune misure per attirare gli investimenti nelle loro economie biobased, adottando crediti di imposta per la chimica rinnovabile. Probabilmente a livello locale verranno approvate norme sui carburanti a bassa emissione. Modifiche nella legislazione e nei regolamenti potrebbero dare una grossa spinta all’economia biobased negli anni a venire.”

 

Pensa che il programma BioPreferred potrebbe essere replicato in altri paesi, per esempio nell’Unione europea? 

“Il BioPreferred Program ha impiegato molto tempo a diventare un programma solido, ma la sua attuazione progredisce in modo costante. Il sistema degli appalti delle agenzie governative e dei contraenti è lento a cambiare, e c’è bisogno di educazione. A mio parere il programma potrebbe essere replicato nell’Unione Europea e credo che grazie alla lezione appresa dagli amministratori del programma statunitense, in Europa potrebbe avere un successo in tempi più rapidi.” 

 

In che modo l’amministrazione Trump sta influenzando la crescita della bioeconomia statunitense?

“L’amministrazione Trump ha avuto un effetto diversificato sull’economia biobased. Trump ha dato il proprio sostegno ai biocarburanti a etanolo, ma i funzionari dell’Epa hanno intrapreso diverse azioni per minare l’Rfs e per garantire esenzioni alle raffinerie di petrolio, in violazione dell’intento originario del Congresso. L’Usda ha parzialmente continuato a favorire l’incremento dei prodotti biobased, ma non sembra sostenerli con convinzione.”

 

Come viene percepita la bioeconomia dall’opinione pubblica americana? 

“Gli americani sono sempre più consapevoli della bioeconomia perché iniziano a vedere gli effetti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento della plastica su larga scala. Inoltre molte grandi aziende come la United Airlines e la Coca-Cola sono sempre più esplicite sulle loro scelte di utilizzo di biocarburanti e altri prodotti biobased che aiutano l’ambiente. Questo aumenta la consapevolezza dei consumatori a livello nazionale, di singoli Stati e a livello locale, e si traduce in una maggiore domanda di prodotti biobased e biodegradabili.” 

 

www.bioinsight.pt

 


 

Intervista a David Sudolsky, presidente e Ceo di Anellotech

di M. B.

 

Diventare leader nella bioeconomia

 

David Sudolsky è presidente e Ceo di Anellotech, una delle aziende più dinamiche e in crescita nel panorama della bioeconomia statunitense. In questa intervista a Materia Rinnovabile ci parla della sua azienda e della bioeconomia negli Stati Uniti.

 

Ci può spiegare in che tipo di business opera Anellotech?

“Anellotech è un’azienda che si occupa di tecnologia sostenibile, focalizzata sulla commercializzazione dell’innovativa produzione di sostanze chimiche e carburanti rinnovabili a prezzi competitivi da biomasse non alimentari e potenzialmente da rifiuti plastici.

La nostra tecnologia brevettata Bio-Tcat costituisce un efficiente processo catalitico termico per convertire biomasse in idrocarburi aromatici Btx (una miscela di benzene, toluene e xilene) che sono chimicamente identici ai loro corrispettivi estratti dal petrolio.

La tecnologia Bio-Tcat è stata ampiamente testata con materie prime derivate dalla polpa di legno nel nostro impianto pilota Tcat-8 di Silsbee, in Texas, progettato in collaborazione con il nostro partner Ifpen. La tecnologia Bio-Tcat può anche utilizzare altre materie prime rinnovabili non alimentari o addirittura rifiuti plastici, espandendo ulteriormente le potenzialità dell’economia circolare. AnelloMate è il nome del marchio attribuito alla famiglia di prodotti liquidi ricavati mediante il processo Bio-Tcat: comprende ‘AnelloMate Btx’ una nafta che contiene oltre il 90% di bio-Btx e ‘AnelloMate Distillate’, una miscela di idrocarburi distillati di fascia media e pesante.

I Btx di derivazione biologica possono essere utilizzati in una serie di applicazioni chimiche e anche essere impiegati per produrre plastiche come poliestere (polietilene tereftalato o Pet), polistirene, policarbonato, nylon e poliuretano, che sono utilizzate per la produzione di beni di consumo come bottiglie per bevande, packaging per alimenti, indumenti, calzature, tappeti e moquette, componenti per l’industria dell’auto e componenti elettronici.”

 

Le plastiche così prodotte sono meno dannose per l’ambiente?

“Un recente studio Lca condotto da Jacobs Engineering ha rilevato che le emissioni di CO2 legate alla produzione di para-xilene e benzene dalla polpa di legno usando il processo di AnelloTech sono inferiori del 70-80% rispetto alle emissioni generate per ricavare sostanze identiche di origine fossile dal petrolio grezzo. Se i prodotti Bio-Tcat sono utilizzati per produrre benzina rinnovabile e miscele di carburanti distillati, il potenziale di riduzione supera il 90% perché i carburanti vengono bruciati per produrre energia.

La tecnologia Bio-Tcat di Anellotech aiuterà chi produce sostanze chimiche aromatiche, proprietari di raffinerie e di marchi, a raggiungere i loro obiettivi in fatto di sostenibilità, grazie alla sua bassa impronta di carbonio e alle sue materie prime costituite da biomasse non alimentari. Il nostro preparatissimo team di Ricerca e Sviluppo sta accelerando lo sviluppo di tecnologie economicamente vantaggiose. Tra i nostri partner ci sono Suntory, Toyota Tsusho, Ifpen, Axens 

e Johnson Matthey.”

 

Quali saranno i vostri prossimi passi?

“Il nostro obiettivo principale è di arrivare a progetti di impianti su scala commerciale. Il nostro impianto pilota ha generato dati di scala per ottimizzare il processo Bio-Tcat con una produzione nell’ordine delle tonnellate e recentemente abbiamo avuto alcuni risultati molto positivi che confermano il potenziale economico del processo Bio-Tcat che ci hanno rassicurati sul fatto che le scale di produzione iniziali sono realizzabili.

La fattibilità della tecnologia Bio-Tcat è stata dimostrata quando abbiamo raggiunto rendimenti coerenti con la scala commerciale nel nostro impianto pilota Tcat-8 nel corso di sei mesi di attività continua del processo, superando le 5.000 ore di operatività a regime. Il lavoro ingegneristico in collaborazione con il nostro partner Axens è iniziato nel giugno del 2019, e una volta garantiti i finanziamenti, la fase successiva di costruzione partirà nella seconda metà del 2020. Prevediamo che il primo impianto sarà in grado di trasformare 500 tonnellate (peso a secco) al giorno di legno di pino taeda in 40.000 tonnellate all’anno (860 barili per giorno di operatività) di prodotti tra i quali benzene, toluene, xilene e idrocarburi aromatici C9+ da utilizzare come carburanti o per produrre plastiche a base biologica per packaging o prodotti di consumo. Saranno prodotte anche 30.000 tonnellate di monossido di carbonio (CO) e altri sottoprodotti gassosi per l’utilizzo nella generazione di energia elettrica rinnovabile o di materie prime chimiche.

Infine, con il nostro partner Axens stiamo lavorando ad attività ingegneristiche sull’impianto commerciale e stiamo prendendo contatti con potenziali partner riguardo agli investimenti e all’ubicazione del primo impianto su scala commerciale.”

 

Quali sono i punti di forza e i punti deboli della bioeconomia statunitense? Quali misure sono state implementate negli Stati Uniti per sostenere lo sviluppo della bioeconomia e quali pensa che dovrebbero esserlo a breve termine?

“Come nazione focalizzata sulla biotecnologia e l’innovazione, gli Usa sono diventati uno dei leader nella bioeconomia. Il National Bioeconomy Blueprint del 2012 contribuisce a promuovere la costruzione di bioraffinerie e la produzione di biocarburanti, e le aziende chimiche statunitensi stanno sempre più utilizzando processi di produzione biobased.

Il metodo Biopreferred Product dell’Usda (Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti) per l’etichettatura dei prodotti biobased è stato ideato nel 2002 perché il Congresso era focalizzato sui nuovi mercati. Il suo rinnovo nel Farm Bill del 2014 ha contribuito a estenderne la portata: oggi conta 109 categorie di prodotti.

Però gli Stati Uniti potrebbero addirittura andare oltre con politiche più ambiziose. Il Dipartimento dell’Energia sostiene che gli Usa potrebbero potenzialmente produrre 1 miliardo di tonnellate (peso a secco) di biomasse all’anno entro il 2030 e questa quantità di biomasse sarebbe sufficiente a generare fino a circa 190 miliardi di litri di biocarburanti, produrre 22 miliardi di kg di sostanze chimiche e prodotti biobased e generare abbastanza elettricità per alimentare 7 milioni di abitazioni.

Il Congresso ha creato il programma relativo allo standard per i combustibili rinnovabili (Rfs) per ridurre le emissioni di gas serra ed espandere il settore dei combustibili rinnovabili riducendo al contempo la dipendenza dal petrolio di importazione. Questo programma dovrebbe essere applicato alle sostanze chimiche rinnovabili come ai biocarburanti, dato che entrambi permettono una riduzione significativa delle emissioni di gas serra.”

 

Secondo lei quali sono i principali attori della bioeconomia negli Stati Uniti?

“Tra le tante aziende, abbiamo recentemente assistito a presentazioni notevoli nelle conferenze sul biobased da parte di DuPont, LanzaTech, Genomatica e Ginko Bioworks. Recentemente queste aziende hanno lavorato per commercializzare le tecnologie o per accedere a finanziamenti significativi.”

 

Qual è la percezione della bioeconomia da parte dell’opinione pubblica?

“Anche se non ai livelli riscontrati in Europa, l’interesse positivo per la bioeconomia da parte degli americani aumenta ogni giorno, in particolare tra i millenial.” 

 

Anellotech, https://anellotech.com