Se dovesse spiegare l’economia circolare a un bambino di 10 anni, come catturerebbe la sua immaginazione su un tema così complesso?

“Cercherei di spiegargli che è come se fossimo su una navicella spaziale che viaggia per l’universo con una popolazione che si prevede passerà da 7 a 9 miliardi di abitanti nei prossimi 35 anni, quando a oggi non più di un miliardo di persone gode di standard di vita accettabili. Gli direi che nei prossimi 20 anni il numero di persone con il nostro stile di vita si moltiplicherà, arrivando a 5 miliardi. Se in futuro tutti vivranno consumando secondo i nostri standard attuali, questa navicella spaziale esaurirà le proprie risorse. Quindi, se vogliamo garantire un futuro alla navicella e al suo equipaggio, dobbiamo pensare molto bene a come possiamo essere più efficienti dal punto di vista delle risorse.

Essere efficienti dal punto di vista delle risorse significa fare maggiore affidamento sulle risorse naturali. Allo stesso tempo dobbiamo però essere consapevoli del nostro capitale naturale, ossia dobbiamo cercare di capire che la quantità di aria pulita, di acqua, di suolo e di minerali sul pianeta è limitata. Il nostro attuale metodo di produzione lineare, che consiste nell’estrarre materie prime, fabbricare un prodotto e poi gettarlo in una discarica alla fine del suo ciclo vitale, finirà per uccidere il pianeta. Quindi dobbiamo cercare di mantenere le materie prime all’interno di un ciclo chiuso: questa è la ragione per cui chiamiamo il nostro modello ‘economia circolare’.” 

 

Quali pensa siano le sfide principali per l’Europa nel compiere la transizione dall’economia lineare a quella circolare, in un momento in cui per molti è l’incertezza economica e non l’ambiente a essere al primo posto fra i motivi di preoccupazione?

“È strano, perché vi sono moltissime prove che è proprio il settore delle tecnologie verdi ad aver aiutato l’Ue ad attraversare l’attuale momento di crisi. I principali settori che hanno continuato a creare posti di lavoro e crescita durante la recente crisi sono i così detti settori ‘verdi’ della nostra economia. Ma dobbiamo essere molto più bravi a comunicarlo. Ricordo per esempio lo stupore di un giornalista al quale ho detto che stiamo esportando più energia pulita e verde che non automobili! Bisogna che le persone comprendano questo fatto, e per molti aspetti abbiamo bisogno che la green economy esca dalla ‘nicchia dell’ambientalismo’. Nel mondo industriale abbiamo ormai compreso che l’economia circolare è il DNA competitivo dell’Europa. Nella green economy siamo competitivi a livello mondiale, e la domanda per la green economy è in crescita. Questo implica lavorare sul piano ingegneristico ma anche della governance, e creare il giusto contesto in cui poter operare. L’interesse da parte del mondo intero è evidente, e da molti paesi vengono a vedere come facciamo le cose qui in Europa. Quindi penso veramente che l’unico problema che abbiamo riguardi la comunicazione e la necessità di far comprendere il nostro messaggio.”

 

È stato detto che la strategia dell’economia circolare si dovrebbe basare su una politica di crescita economica, con misure appropriate e strumenti correlati. Lei oggi vede elementi incoraggianti che possono aiutare tutto ciò a diventare realtà?

“Stiamo lavorando in stretta collaborazione con i nostri colleghi della DG Crescita (prima nota come DG Industria) e con altre DG che capiscono l’opportunità che abbiamo davanti a noi. Ma come sempre questo implica un cambiamento strutturale e un periodo di transizione. Anche quando si è passati dal muoversi su carri trainati da cavalli alle automobili e ai camion vi è stata molta resistenza nei confronti di questa transizione, e al momento assistiamo ad atteggiamenti simili. Ho incontrato molte realtà industriali che hanno chiaramente iniziato a investire in un nuovo futuro industriale sostenibile, ma d’altra parte vedo molti altri che sperano in altri anni di status quo per continuare a trarre profitto dagli investimenti industriali compiuti in passato. In un periodo di crisi economica globale questa reazione è particolarmente forte. La mia speranza è che chi stabilisce le regole a livello europeo e nazionale si assicuri che, pur tenendo in considerazione queste realtà, si lavori per creare un contesto che favorisca e premi le forze innovative della nostra società e non i ritardatari.”

 

Come lei sa, la bioeconomia e l’industria biobased stanno lavorando e investendo con coraggio per lo sviluppo di un futuro dell’Ue basato sulle risorse rinnovabili, come dimostra l’investimento di 3,7 miliardi di euro del Joint Undertaking delle industrie biobased lanciato l’anno scorso, e quest’anno il lancio dell’European Bioeconomy Alliance. Quale ruolo vede per la bioeconomia all’interno dell’economia circolare?

“Penso che si tratterà di un ruolo molto importante. Vedo grande innovazione e grandi prospettive. Sotto molti punti di vista la bioeconomia è rinnovabile per definizione, perché lavoriamo con materie prime che si rigenerano anno dopo anno. La sfida sarà trovare la giusta ‘dimensione’. In passato abbiamo esagerato con l’economia rinnovabile: un esempio è la pesca eccessiva. Le risorse ittiche si riprenderanno e continueranno a offrirci nutrimento in futuro, ma solo se non le sovrasfrutteremo. La bioeconomia per me si trova di fronte alle stesse sfide. Possiamo utilizzare le nostre risorse forestali e altre biorisorse in molti modi nuovi e innovativi, ma dobbiamo assicurarci che il tutto resti nell’ambito della sostenibilità. Ciò significa non prelevare più di quanto gli ecosistemi siano in grado di rigenerare, e la sfida è riuscire a raggiungere questo equilibrio. Quindi dobbiamo stabilire che la sostenibilità è il nostro approccio di base.”

 

Oltre ai provvedimenti di stimolo dei mercati, quali gli acquisti verdi e innovativi da parte del settore pubblico, quali altre misure potrebbero essere adottate per permettere alle industrie biobased e alle altre industrie di aprire la strada a un’economia circolare di successo nell’Ue?

“Abbiamo ancora necessità di attirare investimenti, e ciò di cui gli investitori hanno bisogno sono stabilità e un contesto privo di incertezze. Dobbiamo convincere gli investitori che avranno a disposizione un periodo di tempo accettabile, in un contesto di condizioni favorevoli e di supporto, per poter recuperare i propri investimenti e creare nuovo mercato. Dobbiamo introdurre queste forme di sostegno perché noi, come società, pensiamo che l’economia circolare sia qualcosa che va sostenuta e di cui dobbiamo fare maggiormente utilizzo. Ovunque vado nell’Unione europea, dalla Finlandia all’Austria, alla Germania, alla Spagna e altrove, queste sono il tipo di richieste che sento. Le attività industriali, gli stati membri e le regioni, sarebbero pronti a investire, a condizione di sapere per certo che vi sarà un quadro stabile, di supporto e a lungo termine. Al momento comunque manca chiarezza su molte questioni fondamentali negli stati membri riguardo a molti aspetti critici, come l’ILUC (cambiamento indiretto di destinazione d’uso dei terreni, ndR) e come ciò che si intende davvero per gestione ‘sostenibile’ delle risorse. Se vogliamo approfittare di uno dei nostri punti di forza in quanto Unione, ossia il mercato unico, abbiamo bisogno di risoluzioni e accordo su questi aspetti.

Esistono già alcuni strumenti per aiutare i prodotti più sostenibili a raggiungere i mercati, ma al momento nell’economia circolare i nostri obiettivi sono troppo a breve termine. Molti investimenti importanti realizzati oggi nell’economia circolare non diventeranno redditizi entro il 2020, ma più probabilmente entro il 2030 o il 2040. Le misure di sostegno che offriamo devono riflettere questo aspetto e dobbiamo essere pronti a rassicurare l’Ue e i leader internazionali della sostenibilità che il quadro di condizioni che abbiamo creato sarà favorevole a chi investe qui.” 

 

Vede un possibile ruolo in questo senso del pacchetto di investimenti di 315 miliardi di Juncker e dell’iniziativa Innovfin della European Investment Bank?

“Sono convinto che abbiamo bisogno di ogni forma di finanziamento, ma di certo dobbiamo riuscire ad accedere al capitale privato. Il modello Juncker, che prevede finanziamenti privati a sostegno dei finanziamenti pubblici, è il modello che vedo applicato ovunque, dagli Stati Uniti ai paesi in via di sviluppo. Semplicemente oggi non ci sono abbastanza fondi pubblici. Ciò significa che dobbiamo utilizzare con saggezza i nostri soldi pubblici per avere un effetto moltiplicatore e incrementare la quantità di denaro con cui possiamo lavorare.”

 

Un’economia circolare nell’Ue può incoraggiare approcci regionali alla produzione e all’utilizzo sostenibili? 

“Non penso che dovremmo concentrarci su un modello che funziona per tutti allo stesso modo. D’altra parte vi sono alcuni principi di base ai quali dovremmo tutti aderire: per esempio e soprattutto, non prelevare dalla natura più di quanto essa sia in grado di rigenerare. Poi possiamo lasciare che le diverse regioni elaborino un proprio modello di economia rinnovabile e circolare, sempre nel rispetto di questo principio. Se sfruttiamo in modo eccessivo creiamo del debito ambientale e, come ho già detto, penso sia necessario essere concordi su cosa sia sostenibile per evitare la frammentazione del nostro mercato unico. Negli stati membri vedo però che queste preoccupazioni vengono condivise, e vi è un approccio concertato per affrontarle in modo responsabile, tenendo conto delle differenze e delle peculiarità locali.”

 

La consultazione pubblica sull’economia circolare inizierà a giugno, e all’orizzonte abbiamo la Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici, la COP 21, a Parigi. Come pensa che l’economia circolare possa tenere conto della grande sfida dei cambiamenti climatici, specialmente in vista della minaccia per il nostro ambiente e per la biodiversità?

“Sono convinto che la proposta dell’economia circolare tenga seriamente in considerazione i cambiamenti climatici sotto molti aspetti. I nostri colleghi della DG Clima stanno lavorando a stretto contatto con noi alla proposta dell’economia circolare, concentrandosi con particolare intensità sull’utilizzo di materiali secondari piuttosto che primari ogni qual volta è possibile nel caso di alluminio o vetro. Ma noi crediamo che avere ecosistemi forti e una sana biodiversità sia ancora la migliore politica di adattamento che abbiamo per affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici. Siamo tutti consapevoli della connessione tra i tentativi di mitigare i cambiamenti climatici e lo sviluppo dell’economia circolare e, fatto importante, non lavoriamo più a compartimenti stagni. Lavoriamo insieme per vedere le cose nel loro complesso e vedere oltre, proponendo approcci di tipo olistico alle sfide che dobbiamo affrontare in tutti i settori di policy rilevanti.”

 

Che cosa dovrebbero fare le industrie biobased oltre a contribuire alla consultazione della Commissione a giugno, per dare un contributo in direzione dello sviluppo di un’economia circolare e trarne giovamento?

“Tre cose: comunicare, comunicare e comunicare. Molte persone si pongono ancora quesiti molto semplici: cosa significa bioeconomia? Come possiamo assicurarci quantità sufficienti di cibo? Come possiamo creare un contesto di sostenibilità? È poi è anche importante comprendere come funziona la fine del ciclo di vita. Che cosa può e dovrebbe essere riciclato e cosa no. In alcuni ambienti si pensa che chi produce combustibili da biomassa non sia un “riciclatore”, e forse questa cosa va approfondita. Nella nostra economia abbiamo bisogno di materiali, ma anche di energia. 

Naturalmente recuperare i materiali deve essere una priorità, ma dobbiamo anche capire che la peggiore opzione è quella di continuare a buttare rifiuti nelle discariche: a) perché inquinano e b) perché possono avere costi considerevoli per la società, e molto spesso li hanno. Possono volerci da 30 a 40 anni prima che il loro impatto si faccia sentire, ma di solito alla fine accade, che sia attraverso l’inquinamento dell’aria, del suolo o delle acque. Dobbiamo essere consapevoli della nostra reale capacità di produrre materiali riciclati di buona qualità. Con alcuni materiali sarà più facile rispetto ad altri, e perciò sarà necessario mettere in atto sistemi appropriati di separazione e di raccolta. Se non riusciremo ad avere materiali secondari di qualità non saremo in grado di utilizzarli, e dobbiamo evitare una reazione di riflesso che ci porti a credere che l’intero processo di recupero non funzioni. Abbiamo una gerarchia e ci siamo arrivati con cognizione di causa: le discariche sono l’opzione peggiore, il recupero energetico è meglio, il riciclaggio dei materiali è ancora meglio, ma il modo migliore di gestire i rifiuti è evitare di produrli.

Adesso sappiamo come le industrie biobased siano in grado di lavorare con nuove fibre, per esempio alcune di quelle che si trovano nei residui agricoli e forestali, e tutto ciò è emozionante, innovativo e ad alta tecnologia. Possono giocare un ruolo importante nella transizione verso l’economia circolare della Ue, e lo faranno.” 

 

Lei è Direttore Generale della DG Ambiente da oltre sei anni, e prima ha giocato un ruolo fondamentale nella Ue in campi molto diversi, dal commercio alla riunificazione della Germania. Che cosa la emoziona ancora quando va al lavoro al mattino? 

“Credo totalmente nell’Europa. L’Europa è la mia famiglia e assicurarsi che questa famiglia in crescita collabori invece che combattersi è per me una motivazione sufficiente.”

Foto di Karl Falkenberg: polytalk2014.blogspot.it