Oltre che per la crisi pandemica, potrà il 2021 essere ricordato anche per l’approvazione della nuova direttiva sul suolo delll’Unione Europea, che, come per acqua e aria, si propone di tutelare una risorsa naturale pressoché non rinnovabile e indispensabile per la sopravvivenza? È quel che si augurano gli ambientalisti e tutti i portatori di interesse – come gli agricoltori, i rigeneratori urbani e gli imprenditori della bioeconomia circolare – che, sin dalla Conferenza sul Clima di Parigi, esortano le istituzioni internazionali ad adottare, anche nell’ambito della ben più ampia Strategia sulla biodiversità, un nuovo quadro giuridico sul suolo. Un strumento che da un lato provveda a ricomporre l’attuale frammentazione costituita da numerose linee guida e indicazioni non vincolanti; dall’altro sostenga le ambizioni della nuova presidente dell’Unione Ursula Von Der Leyen che, entro il 2030, vorrebbe una percentuale di suoli sani e in salute pari al 75%.

Italia: l’assenza di una normativa nazionale e la piaga del consumo di suolo

Per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, non sarà fondamentale soltanto ciò che sarà emanato dalla Commissione, accogliendo e migliorando la risoluzione approvata a larghissima maggioranza dall’Europarlamento; ma anche e soprattutto, ancor più dopo il tentativo fallito nel 2006 per il sabotaggio di alcuni Stati membri, cosa decideranno di fare i singoli governi nazionali. Nonostante questo nuovo pronunciamento comunitario e l’istituzione di una Missione Board proprio dedicata alla tutela e alla salute dei suoli, infatti, molti Paesi non dispongono di una normativa nazionale che custodisca un simile “bene comune ecologico”.
Tra questi, duole ricordarlo,
c’è anche l’Italia, che dal novembre 2011 (il premier era Mario Monti) attende una legge nazionale che limiti il consumo di suolo, ottemperando alle previsioni del progetto della “land degradation neutrality” per il quale bisognerebbe azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050. L’Italia, come periodicamente ricordano l’Agenzia Europea dell’Ambiente tramite il Jrc (Joint Research Centre) e l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), è tra i primi Paesi in Europa per questa particolare manifestazione di degrado, dovuta prioritariamente all’esplosione dei processi di urbanizzazione dei paesaggi originariamente agricoli e semi-naturali. Un fenomeno che si rivela, inoltre, particolarmente pernicioso per la progressiva e inarrestabile riduzione di popolazione: in ragione di questo sempre più cronico disaccoppiamento, secondo le ultime stime disponibili fornite dall’Ispra nel 2020, ogni nuovo nato dispone di una “culla” da 135 metri quadri che diventa un “villino” da 355 metri quadri una volta diventato adulto, pur in presenza di un 30% almeno di alloggi sfitti e inutilizzati in tutto il Paese.

Carbon Farming: curare il suolo e combattere il cambiamento climatico

Per sollecitare nuovamente l’approvazione di almeno una delle oltre 12 proposte di legge in discussione in Parlamento da anni nelle Commissioni congiunte “Ambiente” e “Agricoltura” in Senato (nello specifico il Ddl 164/2018), i soci fondatori di ReSoil Foundation hanno redatto un position paper con il quale chiedono ai rispettivi componenti delle medesime, davanti al contestuale aumento del rischio di desertificazione per la tropicalizzazione delle temperature medie a causa dei cambiamenti climatici e nell’urgenza di ridurre di almeno il 55% le emissioni climalteranti entro il 2030, di prevedere l’applicazione del carbon farming. “Il carbon farming, ovvero tutte quelle pratiche agricole in grado di apportare materia organica nel suolo – si legge nel documento presentato – prevede di definire e sviluppare schemi di remunerazione per gli agricoltori che praticano tecniche di sequestro di carbonio”, nonché consente di ricordare che “un suolo sano, capace di fornire diversi e diffusi servizi ecosistemici, è un prerequisito per una produzione alimentare sostenibile”.

Landsupport project: misurare gli impatti e costruire scenari futuri

La Fao, nel richiamare l’utilità di tali pratiche di sequestro e di gestione del carbonio, sottolinea, tuttavia, l’importanza di corroborare le analisi – sempre più approfondite anche attraverso le evidenze elaborate da programmi europei di telerilevamento del pianeta come Copernicus – con indicatori di impatto e indici qualitativi per poter misurare sia la rilevanza delle trasformazioni di uso e di copertura dei terreni, sia la loro specificità e fertilità.
Per perseguire questi scopi, nell’ambito del programma europeo “Horizon 2020” e per volere di alcuni centri di ricerca come l’Università Federico II di Napoli o l’Ispra e organizzazioni come l’Istituto Nazionale di Urbanistica, è nat
o il Landsupport project. Si tratta di una piattaforma geoinformatica e multi-scalare che mette a disposizione degli utenti una platea di 15 tool per una corretta "pianificazione, gestione e fruizione del territorio". L'obiettivo è non solo di monitorare le trasformazioni del suolo, ma, attraverso simulazioni dinamiche, di costruire scenari futuri, per elevare la qualità della progettazione dei processi di rigenerazione territoriale mediante le soluzioni basate sulla natura e trasformare le nostre città in comunità sempre più resilienti e accoglienti.