In questo viaggio di (ri)scoperta del legame fra tradizione, innovazione ed economia circolare non potevamo che partire da quel settore che si trova alla base di ogni sviluppo sociale, culturale ed economico e cioè l’agricoltura. Ci troviamo dinanzi a sfide importanti, come la necessità di soddisfare in maniera sostenibile il fabbisogno nutrizionale di circa 10 miliardi di persone entro il 2050 e, ovviamente, la crescente domanda alimentare ha fatto sì che nel corso dei decenni l’agricoltura necessitasse di spazi sempre maggiori, arrivando ad occupare circa la metà della superficie abitabile del pianeta, con un impatto importante sulla biodiversità. Per di più, si stima che l’agricoltura rappresenti oltre il 70% del consumo di acqua a livello globale.

Un’agricoltura circolare è fondata sulla consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti dell’importanza degli equilibri naturali. Gli agricoltori non sono gli unici protagonisti: i cittadini e le pubbliche amministrazioni sono fondamentali per garantire la chiusura circolare del processo attraverso il reimpiego dei sottoprodotti sotto forma di sostanza organica. E ovviamente non possono non essere ricompresi sia aspetti sociali, come una redistribuzione più equa dei redditi, che ecologici quali l’efficienza, l’abbattimento delle risorse fossili non rinnovabili e chimiche, la riduzione della CO2.

Stop ai fertilizzanti chimici: la nostra urina è circolare

Partendo dall’obiettivo di ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche nei processi agricoli, l’utilizzo di fertilizzanti organici rappresenta una soluzione chiave. Essi si pongono infatti all’inizio della catena agro-alimentare, come input nel processo produttivo agricolo, e alla fine della produzione agricola (scarti vegetali e reflui zootecnici) e del consumo alimentare, come prodotti di scarto. Di fatto, molti di questi prodotti di scarto sono ancora ricchi di elementi nutritivi e il loro recupero e la loro successiva trasformazione in nuovo materiale organico, che torna all’inizio della catena agro-alimentare, rappresenta un prezioso processo di circolarità con numerosi vantaggi.
Il primo vantaggio consiste nella possibilità di sostituire parte dei fertilizzanti minerali impiegati in agricoltura con i fertilizzanti organici con conseguente minore dipendenza da Paesi terzi all’UE, dove si trovano le miniere di minerali, oltre a un minore impatto ambientale legato all’estrazione e lavorazione di tali minerali. Inoltre, il riutilizzo degli scarti organici consente di ridurre i problemi legati allo smaltimento degli stessi e la creazione di nuovi posti di lavoro collegati agli impianti di recupero e trasformazione degli scarti.

Uno degli esempi più interessanti è quello dell’urina umana che è stata utilizzata sia dagli antichi romani che per l’antica Cina come fertilizzante. Tuttavia, solo recentemente questa tecnica ha attirato l'attenzione della comunità scientifica e del pubblico in generale per la sua sostenibilità ambientale.
L'urina è una
fonte di azoto, fosforo e potassio, elementi essenziali per la crescita delle piante. La sua composizione varia in base all'età, al sesso, all'alimentazione e alla salute del donatore, ma in generale, contiene circa il 90% di acqua e il 10% di nutrienti.

Oggi, l'urina umana è utilizzata come fertilizzante in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. L'urina può essere utilizzata sia direttamente come fertilizzante, che diluita in acqua. Inoltre, può essere trasformata in compost o in una soluzione fertilizzante a base di urina, che può essere applicata alle colture. In alcuni Paesi, come ad esempio la Svezia, è raccolta in modo sistematico e utilizzata come fertilizzante per le colture. Inoltre, ci sono startup in tutto il mondo che stanno sviluppando tecnologie per la raccolta, la sterilizzazione e la distribuzione dell'urina come fertilizzante. Ad esempio, la società danese Pee-Power ha sviluppato un sistema di toilette che raccoglie e trasforma l'urina in energia e fertilizzante per l'agricoltura. Un'altra startup, la Rich Earth Institute negli Stati Uniti, raccoglie l'urina da bagni pubblici e privati e la trasforma in fertilizzante per le colture.

Ma quali sono gli impatti in termini di circolarità dell’urina oltre a quello di ridurre l’utilizzo di fertilizzanti chimici? In primo luogo, la riduzione dell'inquinamento dell'acqua, poiché l'urina contiene azoto e fosforo, spesso responsabili dell'eutrofizzazione delle acque, che può portare a fioriture di alghe tossiche e alla morte di pesci e altri organismi acquatici. Un ulteriore beneficio è la riduzione di utilizzo di acqua potabile per le colture, aspetto particolarmente importante in Paesi con problemi di penuria idrica.

La precisione abilita la circolarità

Un secondo obiettivo di un’agricoltura circolare, così come per ogni settore, è sicuramente la riduzione degli scarti. Come abilitatore di circolarità, l‘agricoltura di precisione gioca un ruolo primario nel favorire l’efficienza nell’utilizzo delle risorse. Utilizzando sistemi innovativi per ottimizzare gli input agricoli, garantisce infatti che siano usate le risorse minime necessarie.
Oggi l’agricoltura di precisione consente ai coltivatori di ottimizzare il rendimento dei loro campi attraverso l'uso di tecnologie avanzate come GPS, sensori, droni, robot, e software di analisi dati. Queste tecnologie permettono ai coltivatori di raccogliere informazioni sulle condizioni del terreno, sulle piante e sulle colture, per poi analizzare i dati e prendere decisioni informate sull'utilizzo di fertilizzanti, acqua e pesticidi.

Ma ancora una volta, nulla di nuovo! Lirrigazione a goccia, ad esempio, è una tecnica di agricoltura di precisione che consiste nel fornire acqua in modo controllato direttamente alle radici delle piante attraverso un sistema di tubi perforati ed è chiaramente ispirata a un’antica pratica cinese. Infatti, la prima fonte storica che ci parla di irrigazione a goccia è il Fan Shengzhi shu, un libro relativo alle tecniche agricole cinesi risalente al I secolo a.C. In questo antico testo viene descritto l'uso di vasi di argilla non smaltata interrati a livello delle radici per irrigare le colture. Questi vasi venivano riempiti d'acqua e poi interrati per rilasciare lentamente l'acqua attraverso la loro superficie porosa, inumidendo il terreno in maniera cadenzata. Secondo uno studio del MiT, grazie alle tecnologie attualmente disponibili, questa tecnica sarebbe in grado di ridurre il consumo idrico fino al 60% rispetto alle tecniche tradizionali.

L’agricoltura idroponica ai tempi dei Babilonesi

Una delle tecniche innovative che rientra pienamente nell’economia circolare con collegamenti alla tradizione è quella dell’agricoltura idroponica e quella cosiddetta “fuori suolo”. Cominciamo però facendo chiarezza sulla definizione di agricoltura idroponica, che è spesso usata come sinonimo di agricoltura fuori suolo.
L'agricoltura fuori suolo si riferisce a qualsiasi tipo di coltivazione che non utilizza il suolo naturale. Questo può includere sia l'agricoltura idroponica che altri metodi come la coltivazione in substrati organici, come la torba o il compost, o la coltivazione su letti di coltivazione rialzati, come i letti di coltivazione in giardino. D’altra parte, l'agricoltura idroponica si riferisce specificamente ad un metodo di coltivazione in cui il substrato di coltivazione viene sostituito da un materiale inerte, come ad esempio la lana di roccia, la perlite o la fibra di cocco, che serve a supportare la pianta le cui radici vengono immerse in una soluzione di acqua e sali minerali, che forniscono l’apporto nutritivo necessario alla crescita. In questo modo, l'acqua, i nutrienti e l'ambiente di coltivazione vengono controllati in modo preciso per garantire una crescita rapida e sana delle piante. Stando alle ultime ricerche, l’agricoltura idroponica consente, a parità di produzione, di ridurre fino all’80% il consumo idrico e di produrre, a parità di spazio ed in meno tempo, fino a 10 volte la quantità di cibo prodotta con i metodi tradizionali.

Inoltre, l'assenza di suolo elimina il rischio di malattie del suolo e l'uso di pesticidi, consentendo di produrre alimenti più sani e sicuri per i consumatori. Ad oggi esistono diversi livelli di tecnologia utilizzati nell’agricoltura idroponica: il livello High Tech, che utilizza sensori in grado di monitorare i livelli di nutrienti, umidità e temperatura nonché sistemi di illuminazione LED ad alta efficienza; il livello Medium Tech, in cui il contenuto tecnologico è inferiore ma vi è ancora un alto livello di automatizzazione dei sistemi di irrigazione e di controllo delle serre; infine il livello Low tech, dove il controllo dell’ambiente è meno sofisticato ma ancora possibile attraverso tecniche di areazione e di riciclo dell’acqua. Quanto al mercato mondiale delle produzioni idroponiche, nel 2022 si è toccato il valore di 12,1 miliardi di dollari, e si prevede raggiungerà i 25,1 miliardi di dollari nel 2027.

Tutta questa tecnologia ci porta a pensare che questa tecnica debba esser frutto delle menti del nostro secolo. In realtà, i primi esperimenti di coltura idroponica risalgono al secondo millennio avanti Cristo. A idearla furono i Babilonesi, che nel momento di massima espansione della loro civiltà non disponevano più di una produzione agricola sufficiente a rifornire popolazione e soldati. Nacque così l’idea di ricreare, nei terreni sabbiosi sulle sponde dei fiumi, le stesse condizioni chimiche della terra fertile. Questa veniva sostituita da un mix di argilla, soluzioni chimiche, sali minerali, fibre e poi idratata con residui vegetali e acqua: gli ortaggi crebbero anche lì.
E i Babilonesi non furono i soli: gli antichi
Aztechi utilizzavano tecniche di coltivazione idroponica per coltivare mais su grandi zattere galleggianti sulle acque del Lago Texcoco, mentre gli Egizi utilizzavano tecniche di coltivazione idroponica per coltivare piante medicinali e aromatiche.

Una delle realtà di maggiore successo in questo comparto è sicuramente Agricooltur, startup nata nel 2018 a Carignano, in Piemonte, che addirittura supera il modello idroponico per ridurre ulteriormente l’utilizzo di risorse e sviluppare un sistema di coltivazione aeroponica, dove l’acqua viene solo vaporizzata quando necessaria e tra l’altro recuperata dagli scarichi dei sistemi di condizionamento e climatizzazione interni alla serra. Una forma di ottimizzazione ma soprattutto una riduzione massima degli sprechi perfettamente in linea con il modello di economia circolare.
Insalate, erbe aromatiche, micro ortaggi e fiori commestibili vengono prodotti utilizzando un metodo di coltivazione dove l’acqua e le sostanze nutritive vengono nebulizzate sulle radici delle piante. Il vantaggio principale risiede proprio nella riduzione del consumo di acqua (dal95% al 98% rispetto alla coltivazione tradizionale – così come dichiarato dalla startup) e di pesticidi fa calare drasticamente l’impatto ambientale delle coltivazioni e ne aumenta la produttività.
La filiera diventa cortissima perché si può coltivare praticamente dovunque anche all’interno delle aziende associando questo servizio a programmi di welfare dei dipendenti, alle pubbliche amministrazioni ed alla GDO per fornire soluzioni innovative e sostenibili ai propri clienti.

Una spinta all’agricoltura del futuro

Il settore agricolo si presenta dunque come uno dei settori cardine per la circolarità dell’intero sistema economico. Sarà essenziale promuovere la ricerca, la condivisione delle conoscenze e l'innovazione ed è per questo che la Commissione europea ha proposto di destinare 10 miliardi di euro del programma Horizon a progetti relativi all'alimentazione, all'agricoltura, allo sviluppo rurale e alla bioeconomia. È tempo di guardare al passato per sviluppare le idee circolari del futuro!

Immagine: Envato Elements