“Water, water, everywhere,/And all the boards did shrink;/Water, water, everywhere,/Nor any drop to drink” (“Acqua, acqua, ovunque,/ e tutto il tavolato della nave si rinsecchiva;/Acqua, acqua, ovunque,/e nemmeno una goccia da bere”). Samuel Taylor Coleridge scrisse queste righe alla fine del 18° secolo, ma ancora oggi suonano drammaticamente vere per molti paesi del mondo. Nonostante il pianeta sia letteralmente coperto di acqua, solo una minuscola porzione (quasi l’1%) è acqua dolce accessibile per l’utilizzo umano. La carenza idrica, che si verifica quando le richieste di tutti i settori (agricoltura, industria, usi domestici) non possono essere soddisfatte a causa di ristrettezze legate alla quantità o alla qualità dell’acqua, attualmente riguarda circa il 40% della popolazione mondiale. 

E le previsioni per il futuro non sono rassicuranti: entro dieci anni 1,8 miliardi di persone vivranno in aree con assoluta scarsità d’acqua e circa il 60% in regioni con problemi idrici. La scarsità fisica di acqua è particolarmente pesante in Medio Oriente, Africa settentrionale e Asia meridionale, mentre in molti paesi dell’Africa si riscontra la scarsità idrica economica (l’acqua ci sarebbe ma è poco accessibile all’uomo) dovuta a carenze infrastrutturali, barriere istituzionali o finanziarie. 

 

Chi sono i competitor

Nel corso dell’ultimo secolo, l’uso di acqua è cresciuto a un tasso più che doppio di quello dell’incremento demografico. La sfida raggiunge proporzioni ancora maggiori se consideriamo che – da qui al 2050 – si prevede che la popolazione mondiale toccherà i 9,6 miliardi, per poi passare a quasi 11 miliardi nel 2100. 

Ma soprattutto, grazie allo sviluppo delle economie, le preferenze alimentari della popolazione si stanno spostando verso una maggiore domanda di prodotti di origine animale. 

Non solo. I cambiamenti climatici stanno già modificando i pattern delle precipitazioni, l’evapotraspirazione e le temperature, come pure la frequenza e la potenza degli eventi climatici estremi. 

Queste nuove condizioni, dunque, comporteranno enormi sfide specialmente per le società con scarsa diversificazione economica e più carenti dal punto di vista sociale e istituzionale. 

Per prima cosa è quindi essenziale affrontare le questioni legate all’uso agricolo dell’acqua, visto che oggi la coltivazione rappresenta il settore che ne utilizza la maggiore quantità ed è in competizione con gli altri tipi di impiego, non solo con quello domestico e industriale ma anche con gli ecosistemi acquatici e terrestri. 

Circa il 70% dell’acqua prelevata dalle falde e dai bacini in superficie è impiegata dal settore agricolo; percentuale che sale al 90% in alcune economie dei paesi in via di sviluppo. E la situazione si aggraverà nei prossimi anni: entro il 2050 si prevede che la quantità di acqua utilizzata in agricoltura aumenterà di circa il 20%. Un incremento inevitabile che si verificherà anche nei paesi che già oggi soffrono di deficit idrico e persino in presenza di miglioramenti della produttività raggiungibili grazie allo sviluppo tecnologico.

In questo ambito, infine, un ulteriore elemento con cui fare i conti è quello legato alla degradazione del suolo. La produzione agricola occupa oggi circa l’11% del territorio, il 52% del quale è moderatamente o gravemente degradato. Basti pensare che ogni anno 12 milioni di ettari di terreno diventano improduttivi a causa della siccità e della desertificazione. Un problema grave che sembra voler essere rimosso, considerato che solo pochi paesi al mondo si sono dotati di una politica nazionale sulla siccità.

 

Lo stretto rapporto tra cibo e acqua 

L’incremento demografico, insieme al cambiamento di stile di vita e all’urbanizzazione, farà crescere del 50% il fabbisogno di cibo nel 2030, del 70% nel 2050. Nei paesi in via di sviluppo questo incremento sarà del 100% entro metà del secolo. 

Il consumo di cibo è consumo di acqua a causa della stretta connessione tra produzione di cibo attraverso la fotosintesi nelle piante e dispersione di acqua attraverso la traspirazione delle colture. 

Circa il 90% dell’acqua utilizzata dalle società è legata al cibo: per questo il cambiamento delle preferenze alimentari gioca un ruolo importante. I prodotti di origine animale hanno, infatti, una forte impronta idrica a causa dei grandi volumi di acqua “incorporati” nel mangime: dai 4.000 litri per un chilo di carne di pollo agli oltre 15.000 litri per un chilo di manzo, anche se sono le condizioni locali (paese povero o ricco di acqua e tipologia di acqua utilizzata) e le modalità di produzione (allevamento intensivo o al pascolo) a determinare la dimensione degli impatti sulle risorse idriche.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il consumo medio annuale di carne raggiungerà i 45 kg pro capite entro il 2030. Con l’aumento della domanda di proteine animali una maggiore quantità di cereali sarà dirottata dal consumo umano a quello animale. 

Attualmente più di un terzo della produzione globale di cereali è utilizzato per l’alimentazione di animali (o per altri usi, per esempio i biocarburanti). Circa il 26% del territorio mondiale è utilizzato per il pascolo di bestiame e il 21% del terreno arabile per la produzione di cereali destinati alla loro alimentazione. 

 

Acqua per l’energia e per i trasporti

Entro il 2035 la domanda globale di energia salirà di un terzo rispetto al 2011, specie nelle economie emergenti del mondo: Cina e India, ma anche paesi in Medio Oriente e Asia meridionale. Soddisfare questo crescente fabbisogno di energia rappresenta un’altra sfida ineludibile da affrontare nei prossimi anni. 

Di conseguenza crescerà anche la domanda di acqua per usi energetici. Nei prossimi 20 anni il prelievo di acqua per scopi energetici si prevede arriverà al 20% dei prelievi totali (era il 15% nel 2010) e l’utilizzo di centrali elettriche più efficienti con più avanzati sistemi di raffreddamento farà salire la percentuale di consumo all’85%.

Ma il fabbisogno idrico crescerà anche nel settore del trasporto dove la domanda si sta spostando dai carburanti convenzionali verso combustibili fossili non convenzionali che però richiedono un uso intensivo di acqua: fracking, sabbie bituminose, biocarburanti ed elettricità. 

Proprio i biocarburanti – nonostante l’Unione europea stia rivedendo le proprie politiche energetiche – continueranno a essere una componente sostanziale dell’insieme dei carburanti per la produzione di energia. La domanda di materie prime per produrre biocarburanti è da decenni la maggiore fonte di nuove richieste inerenti i prodotti agricoli e attualmente riguarda il 2-3% del terreno arabile mondiale. Si stima che entro il 2030 per produrre la materia prima per i biocarburanti saranno necessari tra i 18 e 44 milioni di ettari in più. 

La coltivazione di biomassa per i biocarburanti destinati ai trasporti è inoltre in competizione con la produzione di cibo. Per due motivi: sottrae cospicue aree di terreno coltivato e richiede grandi volumi di acqua. 

È stato dimostrato che la scarsità di acqua dolce si acuirà nei prossimi 15 anni dato che si prevede che l’impronta idrica dei biocarburanti crescerà di oltre dieci volte rispetto al 2005. L’aumento del consumo di biocarburanti nei paesi europei sarà alto per quanto riguarda sia il bioetanolo sia il biodiesel, con Francia, Italia, Germania e Regno Unito tra i maggiori consumatori mondiali.

Raggiungere questo triplice obiettivo di garantire la soddisfazione dei bisogni della società, contribuire allo sviluppo e preservare l’ecosistema richiede l’ideazione di nuove politiche e, soprattutto, la volontà politica di superare un processo di riforme politicamente controverso. 

Una componente fondamentale di questo processo riguarda il considerare la pioggia come fonte ultima dell’acqua gestibile per uso agricolo e riuscire ad alleggerire la pressione sulle fonti di acqua dolce (laghi, fiumi e falde acquifere) che sono le più onerose in termini di costo opportunità, visto che possono anche essere usate per altri scopi con una resa di maggior valore. 

L’efficienza dell’agricoltura alimentata dalla sola acqua piovana può essere aumentata mediante una migliore gestione dell’umidità del suolo e della fertilità del terreno, per esempio, ricorrendo all’irrigazione supplementare solo quando necessaria. È stato stimato che il 75% delle richieste globali legate all’aumento di produzione potrebbero essere soddisfatte innalzando la produttività dell’agricoltura a basso rendimento delle regioni in via di sviluppo e portandola a un livello pari all’80% di quella dell’agricoltura ad alto rendimento.

Inoltre, l’adozione di tecnologie come i Sistemi di supporto alle decisioni (Decision Support Systems) permette una migliore efficienza nell’uso degli input agricoli.

Il potenziamento dei dati è anche un passo fondamentale per rendere la gestione dell’acqua un tema prioritario nell’agenda dei politici. Sviluppare un approccio integrato che tenga conto delle interazioni multiple tra i differenti settori e delle implicazioni trans-settoriali dell’utilizzo di acqua è la chiave per andare avanti sulla strada della sostenibilità.

 

 

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