Olio esausto da frittura e una manciata di sabbia di fiume. Tanto è bastato ai ricercatori malesiani dell'Università di Kebangsaan per riuscire a ricavare filtri in grafene capaci di purificare l'acqua da coloranti organici.
Lo studio, pubblicato recentemente su Scientific Reports, presenta la possibilità di sintetizzare il grafene in modo sostenibile: l'olio vegetale esausto, recuperato dalle cucine del campus universitario, è stato utilizzato come base di carbonio per ottenere il nanomateriale e la sabbia, precedentemente purificata, come supporto a basso costo e facilmente reperibile in grado di "intrappolarlo" e definire il filtro.
“L’olio da cucina esausto diventerà un'ottima alternativa a materiali più costosi, grazie al suo elevato contenuto in carbonio e al suo basso costo, che lo rende accessibile alla produzione su scala industriale - spiegano i ricercatori - La valorizzazione di olio da cucina esausto non solo può risolvere i problemi produttivi associati al grafene, ma aiuta anche a ridurre al minimo l'inquinamento ambientale dovuto al suo smaltimento improprio”. Il processo alla base della sintesi green messa a punto dall’equipe di scienziati è chiamato grafitizzazione termica: l’olio esausto, filtrato e privato di eventuali residui solidi, è stato aggiunto ad acido solforico, riscaldato a basse temperature e poi addizionato alla sabbia. Si forma così una sabbia di grafene capace di purificare l’acqua da diversi inquinanti organici, tra cui coloranti e metalli pesanti.

In precedenza, anche una divisione della Commonwealth Scientific Industrial Organization (CSIRO), in Australia, ha scelto l'olio vegetale come materia prima per ottenere filtri in grafene. La tecnologia GraphAir è illustrata sulle pagine di Nature Communications e consiste nel riscaldare olio di soia in un forno tubolare per circa mezz’ora, riuscendo così a decomporre il materiale in blocchi di carbonio, poi ricomposto in forma di grafene su un foglio di nichel.

Un materiale vittima del suo successo

La letteratura scientifica riferisce che è possibile ottenere grafene da molti materiali inusuali, dai rifiuti organici allo sciroppo di datteri, dall’asfalto allo zucchero. I processi per spostare la produzione su scala industriale sono però spesso complessi oltre che costosi. “Il grafene ha un grosso problema, di cui peraltro si parla poco, che è la processabilità. Va lavorato in solventi organici altobollenti, cari e non facilmente eliminabili. Un singolo foglio di grafene su grande scala è impossibile da ottenere - commenta a Materia Rinnovabile Vincenzo Palermo, direttore dell'Istituto per la Sintesi Organica e per la Fotoreattività (ISOF) del Cnr - Inoltre, bisogna essere sospettosi quando per produrre grafene si parte da materie prime insolite, in passato è stata annunciata la possibilità di ottenerlo perfino dai biscotti. Si chiama spesso grafene quello che in realtà è grafite, se non addirittura carbonio amorfo. Noi ricercatori che lavoriamo nel settore con aziende e startup ci troviamo spesso a fare i conti con claim esagerati, che per attrarre fondi e investitori sfruttano la popolarità del nuovo materiale, sul quale non vige ancora un rigido controllo di qualità”.

È vero infatti che a quasi vent'anni dalla sua scoperta, intorno al grafene continua a gravitare un interesse corale, comune a scienza, finanza e impresa. Già nel 2010, quando la scoperta del materiale bidimensionale valse agli scienziati russi Gejm e Novosëlov il Nobel per la fisica, l'hype sulle sue possibili applicazioni era altissimo: si presentava alla comunità scientifica come il materiale più sottile al mondo, praticamente trasparente, resistente come il diamante e flessibile come la plastica, in grado di assorbire, illuminare e condurre sia calore che elettricità. Un materiale dalle infinite possibilità tecnologiche. Anche se la scienza viaggia generalmente su binari molto lenti, oggi è già possibile trovare grafene nel mondo dell’abbigliamento, del wellness, dell'elettronica e dell'immagazzinamento energetico. Racchette, caschi e sci diventano così più leggeri e performanti, gli abiti trattengono o disperdono più facilmente il calore, le batterie riescono a immagazzinare più energia e a ricaricarsi più velocemente. Tuttavia, la ricerca scientifica e industriale è ancora a caccia della killer application, cioè quella applicazione davvero rivoluzionaria che possa rendere giustizia non solo alle aspettative di scienziati e aziende, ma anche agli investimenti che il nanomateriale ha attirato a sé.

Grafene: se la chiave è nel filtro

"Penso che una delle applicazioni più utili per il grafene sia quella legata alla purificazione dell'acqua - continua Palermo - Il cambiamento climatico ha già determinato diverse ondate di siccità, un problema che probabilmente aumenterà nel tempo. Inoltre, le nostre acque sono contaminate dai prodotti chimici che usiamo quotidianamente, che sono solitamente piccole molecole organiche derivate per esempio da cosmetici, pesticidi e antibiotici. Si parla di decine di migliaia di tipi di molecole, molte delle quali nuove e quindi definite inquinanti emergenti. E mentre i filtri al carbone attivo non riescono a catturare efficacemente tutte le tipologie di contaminanti, piccole quantità di ossido di grafene addizionate a polimeri già utilizzati per filtrare l’acqua si dimostrano in grado di depurare efficacemente l'acqua dalla maggior parte di queste sostanze".

L’ossido di grafene è un derivato accessibile e facilmente processabile: si può lavorare direttamente in acqua, senza l’ausilio di alcun additivo, e basta aggiungerne piccole dosi per sfruttare proprietà difficili da ottenere in altro modo. A dimostrarlo è la tecnica messa a punto dal CNR-ISOF. I ricercatori hanno combinato fogli di ossido di grafene con membrane polimeriche, sfruttando le microonde per immobilizzare stabilmente il grafene sul polimero. L’1% di ossido è già sufficiente per ottenere performance di filtraggio superiori di oltre tre volte quelle del materiale standard.

“Le eccellenti prestazioni sono dovute alle proprietà uniche dei materiali bidimensionali, in particolare alla struttura dell’ossido di grafene - conclude Palermo - La disposizione a strati di questi foglietti, separati tra loro da distanze nanometriche che possiamo controllare, è ideale per intrappolare le molecole contaminanti e più efficiente di quella di classici filtri tridimensionali. Inoltre, è possibile addizionarlo non solo a nuovi filtri ma anche a prodotti di scarto industriali, per ottenere quindi un prodotto di recupero, dalla maggiore sostenibilità”. I filtri così realizzati sono già protetti da domanda di brevetto internazionale. La tecnica è pubblicata su Nanoscale e su Chemical Communications nell'ambito del progetto europeo Graphene Flagship, iniziativa di ricerca finanziata dalla Commissione europea con 9 miliardi di euro e che, in dieci anni, ha riunito 170 partner accademici e industriali in 22 Paesi, con l’obiettivo di spingere il grafene fuori dai laboratori e di accelerare i tempi di accettazione da parte dell’industria.

MEDICA S.p.A si sta preparando alla commercializzazione dei prodotti sviluppati all'interno del progetto Graphil, prevista alla fine del 2023 e destinata al settore del drinking water. Questo, grazie alla collaborazione con CNR-ISOF, le Università di Manchester e Chalmer e l’industria francese Polymem. “Le membrane a base di grafene che produciamo riescono a catturare molecole che generalmente non vengono trattenute dalle membrane classiche e che inquinano la rete idrica: contaminanti microbiologici come batteri, virus ed endotossine, antibiotici, metalli pesanti come piombo e cromo, pesticidi e perfino una miscela di 14 sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) diverse, ottenendo ottimi risultati - spiega a Materia Rinnovabile Letizia Bocchi, project leader di Graphil e responsabile dei laboratori di ricerca di MEDICA - Inoltre, i primi risultati su cartucce filtranti commerciali hanno confermato la grande stabilità del nuovo materiale, che nei limiti di rivelabilità analitici disponibili non presenta rilascio di grafene nelle acque trattate, neanche dopo la cattura degli inquinanti”.

Acqua potabile: nuovi inquinanti al vaglio dell’UE

La nuova generazione di filtri a base di grafene per la depurazione delle acque potrebbe rispondere alle richieste della nuova Direttiva Europea sulle acque potabili destinate al consumo umano (UE 2020/2184), che stabilisce standard più elevati sia microbiologici che chimici sulla qualità delle acque per uso potabile e igienico, nonché una serie di iniziative per informare correttamente autorità e popolazione. La nuova direttiva, già in fase di recepimento, richiede agli Stati Membri l’adozione di tutte le misure previste entro il 12 gennaio 2026. “La prima novità della direttiva è il controllo preventivo sull’intera filiera di approvvigionamento delle acque per uso potabile: vengono stabiliti nuovi requisiti igienici anche per i tutti i materiali che entrano in contatto con tubature e acque a uso umano, inclusi reagenti chimici e materiali filtranti impiegati nel loro trattamento - spiega a Materia Rinnovabile Stefania Di Vito, dell’Ufficio Scientifico di Legambiente Nazionale - Inoltre, vengono ridotti i limiti di vecchi inquinanti come il piombo e messi al vaglio diversi contaminanti emergenti tra cui batteri come la Legionella, interferenti endocrini come il Bisfenolo A, microplastiche, e PFAS, sostanze utilizzate in campo industriale per le loro proprietà antiaderenti ma che per la loro persistenza contaminano le acque superficiali e si accumulano negli organismi viventi”. Entro il 12 gennaio 2024, la Commissione definirà le linee guida per il monitoraggio dei PFAS, che includeranno i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento. “Accogliamo positivamente l'inserimento dei PFAS tra i nuovi inquinanti da monitorare - prosegue Di Vito - ma, alla luce dei danni ambientali che hanno prodotto queste sostanze, dal caso Miteni in Veneto a quello di Spinetta Marengo ad Alessandria, sarebbe auspicabile che tali sostanze non venissero immesse per niente nell’ambiente”. La direttiva contiene inoltre nuove disposizioni che impongono agli Stati membri di migliorare e mantenere l’accesso all’acqua potabile per tutti, con attenzione particolare ai gruppi più fragili. Una richiesta già avanzata da Right2Water, iniziativa di cittadini europei che ha raccolto – per la prima volta - quasi due milioni di firme a sostegno di una normativa che sancisse il diritto universale all'acqua potabile, come riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Dalle acque domestiche a quelle industriali: l’eccellenza italiana del grafene a prova di petrolio

Le membrane a base di grafene si sono rivelate promettenti anche nella purificazione delle acque industriali da sversamenti di petrolio e altri idrocarburi. Tra le tecnologie messe a punto spicca Grafysorber, prodotto sviluppato da Directa Plus, una tra le aziende leader nel mercato mondiale di grafene con sede a Lomazzo, in provincia di Como e con una previsione di fatturato 2022 che supera i 10,8 milioni di euro. “La tecnica in questione è la prima a realizzare grafene con processi esclusivamente fisici (alta temperatura), e senza l’uso di additivi chimici - si legge in una nota - Inoltre, ha una capacità assorbente selettiva rispetto agli idrocarburi presenti in acqua non solo nel caso di sversamenti accidentali in mare, ma anche all’interno dei processi industriali”. Grafysorber è stata approvata dal Ministero dell’Ambiente per la decontaminazione dell’acqua in situazioni di emergenza e recentemente anche l’EPA, Ente per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti, ne ha autorizzato per l’uso in tutti i processi di recupero di idrocarburi. Sfruttando la struttura dei fogli in grafene, la prodigiosa tecnica permette un assorbimento che supera di 90 volte il peso dell’inquinante oleoso da “catturare”, consentendone facilmente il recupero per un eventuale riciclo.

Immagine: Envato Elements