“Lasciateci respirare”, “No al consumo di suolo agricolo”, “Sì alla salute pubblica”. In Italia si fanno sempre più numerosi i comitati locali contro gli impianti per la produzione di biometano. Solo negli ultimi due mesi, per citarne alcune, le proteste hanno toccato i comuni di Govone (Cuneo), Gorgonzola (Milano), Vescovana (Padova), Papozze e Canaro (Rovigo), Isola della Scala (Verona), Cuzzago (Verbano Cusio Ossola) e Auletta (Salerno).

Un elenco certo destinato a non esaurirsi. Quella del biometano, a maggior ragione in un momento storico che vibra ai mantra della sicurezza e transizione energetica, è una tecnologia caratterizzata da uno sviluppo decentrato. Non c’è da stupirsi, quindi, se al crescere del potenziale produttivo degli impianti – solo quelli ammessi ai primi due round di finanziamento PNRR a oggi sono 86 – si moltiplicano le rimostranze dei cittadini. Si chiama sindrome NIMBY (acronimo di Not In My Backyard, non nel mio cortile) e tocca anche altri tipi di fonti rinnovabili oltre al biometano. È un fenomeno ormai noto. Ciò che si indaga meno, invece, è la necessaria riforma degli strumenti di partecipazione pubblica. E qui tocca alla politica. In palio, in fondo, c’è la pace sociale.

Cos’è il biometano?

Un passo indietro. Il biometano è un biocombustibile. Lo si ottiene attraverso la purificazione e l’upgrading del biogas grezzo, che a sua volta è prodotto prevalentemente attraverso la digestione anaerobica di biomasse agricole, agroindustriali, dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) e dai fanghi da acque reflue. A differenza di altre fonti di energia rinnovabile, come solare ed eolico, la produzione del biometano è programmabile. E, avendo qualità del tutto simili a quelle del gas naturale, può essere immesso nella stessa rete, quella che alimenta le nostre case.

Caratteristiche che hanno permesso al biometano di ritagliarsi uno spazio progressivamente più ampio nelle politiche europee. Di fronte all’obiettivo di neutralità climatica e alla necessità di diversificare gli approvvigionamenti in risposta al conflitto russo-ucraino, attraverso il Piano RePowerEu, Bruxelles non solo ha lanciato un partenariato industriale ma ha aumentato il target di produzione e uso al 2030 a 35 miliardi di metri cubi standard (smc), il doppio di quanto previsto dal Fit for 55.

Società agricola Festini

Produzione e potenziale del biometano in Italia

Un obiettivo ambizioso (che sarebbe pari all’8% del consumo annuo di gas naturale dell’UE, su base dati Eurostat 2021) a cui al 2030 l’Italia dovrebbe contribuire con una capacità di 5,7 miliardi di smc, come si legge all’interno della bozza del Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) di recente rigettata da Bruxelles. Il potenziale potrebbe però essere rivisto al rialzo. Secondo il Consorzio Italiano Biogas (CIB) si potrebbe toccare quota 8 miliardi di smc, a cui affiancare un potenziale di prosecuzione della produzione elettrica da biogas pari a 3.200 GWh/anno. “Attualmente, ci sono oltre 2.000 impianti di biogas e circa 85 impianti di produzione di biometano, soprattutto situati nel Nord Italia,” scriveva REF Ricerche a luglio, incrociando i dati di SNAM (Società nazionale metanodotti), EBA (European Biogas Association) e ANAC (Autorità nazionale anticorruzione).

In questo solco, a sostegno del settore, oltre agli 1,92 miliardi di euro previsti dal PNRR per il biometano, si inseriscono la recente approvazione del meccanismo di prezzi minimi garantiti per la produzione di energia elettrica rinnovabile degli impianti biogas (DL rigassificatori) e l’emendamento che stabilisce l’adeguamento dell’incentivo per la produzione di biometano all’andamento dell’inflazione (legge di conversione DL asset). Infine, Italia in prima linea sullo scenario internazionale. Non più tardi di settembre, il governo Meloni aderiva alla Global Biofuels Alliance, lanciata durante l’ultimo G20 in India.

“Un asse portante della transizione energetica”

“Questo tipo di impianti sono un asse portante della transizione energetica e dell'economia circolare e possono dare un valore aggiunto e immediato: consentono di gestire efficacemente la frazione organica dei rifiuti urbani, producendo ammendante che può essere a sua volta compostato, in maniera utile per l’agricoltura. Il biogas può essere raffinato e sostituire il metano fossile”, spiega a Materia Rinnovabile Annalisa Corrado, responsabile conversione ecologica segreteria nazionale del Partito Democratico.

Il processo di upgrading da biogas a biometano in alcuni impianti consente il recupero della CO da destinarsi all’industria dei gas tecnici, alimentare o come componente per la produzione di materiali. Delle vere centrali di trasformazione utili all’integrazione del reddito agricolo. “Si tratta di impiantistica molto avanzata che, se ben fatta, può essere assolutamente sostenibile – continua Corrado ‒ Oltretutto in agricoltura può diventare un elemento portante della gestione degli scarti e dei rifiuti, permettendo di rendersi indipendenti dal punto di vista energetico. Per le aziende significa fare un salto di qualità anche nella tenuta dei conti.”

Gli svantaggi del biometano

Ma quali sono all’opposto le criticità sottolineate dai comitati contro gli impianti di biometano in giro per l’Italia? Le argomentazioni spaziano dalla produzione di emissioni climalteranti ai miasmi, cioè le esalazioni dovute alla decomposizione della componente organica. Tra le ragioni dei “no” in molti casi ci sono anche l’uso di colture alimentari come materia prima, l’aumento dell’inquinamento dovuto agli automezzi necessari per movimentare le biomasse e le merci, oltre al rischio che sui terreni vengano dispersi ammendanti contaminati, in particolare patogeni derivanti dal refluo zootecnico in ingresso.

Oltre a queste preoccupazioni – tutte legittime, anche se la stessa Legambiente in passato le ha definite fake news, cioè disinformazione spesso basata su vecchi svantaggi ora superati dall’avanzamento tecnico ‒ se ne leggono altre. Lo spreco di denaro pubblico, la tutela del paesaggio, che sarebbe rovinato dalle “cupole” o “campane” tipiche dei digestori, il consumo di ettari di suolo agricolo, la scarsa spinta dal punto di vista occupazionale dovuta alla sempre maggiore automazione. In quasi tutti i casi, però, c’è una costante: i comitati lamentano mancanza di trasparenza e di processi partecipativi in un periodo storico che risponde all’urgenza con la semplificazione degli iter autorizzativi.

Un Capodanno in corteo

“Grandi spazi di interlocuzione con la Regione non ci sono mai stati”, spiega a Materia Rinnovabile Gianni Bregolin, referente del comitato locale Lasciateci respirare di Vescovana, un piccolo Paese della bassa padovana dove è in discussione la realizzazione di un impianto di trasformazione in biometano da liquami e scarti vegetali con annesso micro-zuccherificio. 3 biodigestori per 6 MWh di potenza ‒ sottolineano dal comitato ‒ che produrranno 1.500 smc/ora di biogas di cui 500 composti da CO₂ che sarà dispersa nell’aria.

“Da maggio la nostra amministrazione comunale è riuscita ad avere un colloquio soltanto il 19 dicembre. Il 30 dicembre scade tutto e poi si dovrà tentare una nuova conferenza di servizi. Anche se forse hanno ottenuto qualche giorno in più per confrontarsi sul punto di vista tecnico. Per fortuna l’impianto non è ancora stato autorizzato”, continua Bregolin, annunciando la manifestazione che si terrà nell’abitato sabato 30 dicembre, alle porte del Capodanno. Corteo che dovrebbe vedere anche la partecipazione delle rappresentanze locali di Coldiretti e Confagricoltura. “Ci saranno forse più trattori che persone” commenta prima di sollevare un’ultima preoccupazione.

“Spesso per realizzare questi impianti vengono proposte delle Newco, società definite a quello scopo con un capitale sociale di poche decine di migliaia di euro.” Una cifra che non sarebbe sufficiente a garantire progetti che richiedono milioni di euro di investimenti. “Ciò può significare che ci sono dei soci nascosti, o che ci sarà la vendita immediata del progetto realizzato, una volta portato a casa. Possibilità permesse dalla legge, pertanto non ce l’ho con il proponente, ma con la politica, che consente cose del genere.”

Impianto Caione Alleva, Puglia

E se fosse tutta questione di favorire la partecipazione pubblica?

“Per questo dico che è necessario condividere il processo con la cittadinanza”, commenta invece Piero Gattoni, Presidente del CIB, interrogato da Materia Rinnovabile. “A essere importante non è tanto la natura giuridica del soggetto proponente, ma verificare se all'interno del progetto ci sono le basi per costruire una positiva filiera nella gestione delle matrici agricole a livello territoriale. La bioenergia è un modello che prevede l'utilizzo di prodotti locali. A differenza della produzione energetica fossile, che è molto concentrata e difficile da spostare, quella bio deve venire dai territori, creando sinergie con le varie realtà aziendali. Per noi oggi è importantissimo che le comunità locali abbiano i parametri per valutare quelle che sono le iniziative che hanno delle positività.”

“Penso che cittadinanza sostenibile e NIMBY siano in parte assolutamente conciliabili – conclude Corrado – La preoccupazione delle cittadine e dei cittadini che il proprio territorio venga reso più fragile, più insalubre e che la loro salute venga messa a rischio è assolutamente comprensibile. La questione negativa è l’assenza di piani strategici nazionali. Il PNIEC fa acqua da tutte le parti e manca la pianificazione che dovrebbe derivare da questa strategia. Chiaramente sui territori spesso questi progetti cadono senza un'adeguata preparazione dei cittadini e quindi poi chi gioca a fare consenso attorno ai ‘no’ trova terreno fertile, ovviamente. Anche perché, spesso, l'assenza di pianificazione fa sì che le iniziative private magari abbiano una particolare concentrazione in una determinata area.”

Una capacità di discernimento che dovrebbe essere coltivata a suon di informazione, cultura e percorsi partecipativi, da rivedere. Ma come? “Voglio fare alcune considerazioni che prescindono in modo specifico solo dal biometano o dal biogas”, spiega a Materia Rinnovabile Sergio Costa, vicepresidente della Camera dei deputati ed ex Ministro dell’Ambiente. “I cittadini coinvolti chiedono in generale trasparenza, tracciabilità, rintracciabilità delle attività della PA e partecipazione. Ciò significa conoscere tutti i passaggi in modo chiaro, congruo e in atti pubblici, senza accessi riservati o secretati.”

Una possibile ricetta per la pace sociale

In primo luogo, nelle valutazioni dovrebbe essere trasparente il criterio secondo cui si sceglie un territorio e non un altro. “Bisogna innanzitutto valutare il fattore di pressione ambientale, verificando quindi se l’opera supera una soglia di tollerabilità territoriale e quindi anche cittadina. È un tipo di valutazione – continua Costa ‒ che si può fare tranquillamente, che oggi noi non siamo abituati a fare in Italia perché concediamo la valutazione di impatto ambientale dell'opera in sé ma non dell'opera in relazione alle altre opere sul territorio. Una volta definito il parametro va solo aggiornato. Potrebbe essere una norma di carattere regionale, così come una norma quadro nazionale, ma con obblighi che nascono in capo alle regioni.”

Il secondo elemento è l’introduzione di una valutazione sanitaria predittiva, cioè prima della realizzazione dell’impianto. “Di fronte alle diverse tipologie di impianto, ci si deve chiedere quali ricadute sanitarie si possono manifestare. Quali problematiche astratte e concrete ci possono essere? Il calcolo si fa anche in questo caso attraverso un algoritmo, in modo che io so qual è il costo sanitario, ammesso che ci sia, rassicurando il cittadino. L’algoritmo è un fatto oggettivo, studiato all'università. Non è qualcosa di opaco, lo si può tranquillamente manifestare se si vuole. Ho riproposto tale misura in questa legge finanziaria come vicepresidente, ma ho appena saputo che il mio emendamento è stato reso inammissibile. Insieme alla valutazione di pressione ambientale, questi elementi danno le risposte a quei cittadini organizzati e non organizzati che temono possa accadere qualcosa e contemporaneamente spiegano perché a casa tua sì e a casa mia no.”

Esiste infine una necessità di guadagnare la fiducia del cittadino rispetto all'opera. “Molti cittadini oggi non si fidano della PA, non parlo solo di Stato. Qual è il tema, allora? L'ho fatto, quindi sono sicuro che si può fare: parlo dell’Osservatorio dei cittadini. In sostanza, l’opera in discussione va sottoposta in tutto il suo percorso a un comitato stabilito secondo regole ovviamente regionali. A livello nazionale firmammo la Carta di Carditello. In modo che i comitati, o le associazioni riconosciute sul territorio con una propria rappresentanza, possano conoscere tutti gli atti e seguirli in perfetta trasparenza. Sia per quanto riguarda l’esecuzione dell’opera che della sua gestione. Questo contribuisce alla pace sociale. Si abbassa il livello di tensione, assicurando allo stesso tempo che l’opera sia portata a termine e possa funzionare.”

 

Immagini: Consorzio Italiano Biogas