1.400 miliardi di dollari è la cifra record di denaro pubblico che le venti economie più grandi al mondo hanno destinato all’industria dei combustibili fossili. A calcolarlo è stato l’International Institute for Sustainable Development (IISD), think thank di fama mondiale che in un corposo studio mostra come i Paesi del G20 abbiano quadruplicato rispetto al 2021 i finanziamenti pubblici a sostengo della produzione e soprattutto al consumo di petrolio, gas e carbone.

Impegni presi e disattesi

Nel 2009 i leader del G20 concordarono di eliminare gradualmente i sussidi inefficienti ai combustibili fossili. Undici anni dopo, al vertice sul clima della COP26 in Scozia, 34 Paesi più cinque istituzioni finanziarie scelsero di accelerare gli sforzi firmando un impegno congiunto, la cosiddetta dichiarazione di Glasgow.

Tuttavia, con la crisi energetica innescata dall’invasione dell’Ucraina e il rimbalzo dei consumi post pandemia, diversi Paesi hanno scelto di ridurre i costi delle bollette e del carburante optando per i tagli alle accise della benzina e altre forme di sussidi al consumo. Solo Germania, Francia e Italia hanno impegnato circa 213 miliardi di dollari di denaro pubblico a sostegno di imprese e cittadini.

Secondo il report dell’IISD, i sussidi alla produzione, invece, costituiscono una quota esigua, ma il loro impatto non dovrebbe essere sottovalutato. In genere i governi progettano questi finanziamenti diretti o indiretti in modo che una piccola somma di spesa pubblica si accumuli in volumi molto più grandi di investimenti privati per le fasi di esplorazione e sviluppo di progetti di energia fossile.

In questo modo, da una parte si incentivano flussi di investimenti privati più ampi, dall’altra però, si assorbono le già scarse risorse fiscali necessarie ad accelerare la transizione energetica. In alcuni Paesi, i sussidi alla produzione possono superare ampiamente quelli al consumo, come accaduto in Argentina nel 2021.

Sussidi ai combustibili fossili: una riforma possibile

Dei 1.400 miliardi di denaro pubblico speso dai governi del G20 nel 2022, 1.000 miliardi di dollari sono finiti in sussidi, 322 miliardi di dollari in investimenti di imprese statali e 50 miliardi di dollari in prestiti da parte di istituzioni finanziarie pubbliche. Con 33 miliardi sborsati o non incassati annualmente, Giappone, Canada, Cina e Corea sono stati i quattro Paesi più esposti nel biennio 2019-2021, con petrolio e gas che rimangono gli idrocarburi più sussidiati.

“È fondamentale che i leader inseriscano nell’agenda politica i sussidi ai combustibili fossili”, ha dichiarato Tara Laan, autrice principale dello studio. “Queste cifre impressionanti ci ricordano le enormi quantità di denaro pubblico che i Paesi G20 continuano a versare nei combustibili fossili, nonostante gli impatti sempre più devastanti del cambiamento climatico”.

Chissà se al prossimo G20 ‒ che si terrà a Dehli tra il 9 e il 10 settembre ‒ ci sarà tempo per discutere di una riforma dei sussidi. L’attesissimo summit potrebbe dare risalto al tema, soprattutto in vista della Conferenza del Clima (COP28) presieduta dagli Emirati Arabi Uniti di novembre. In qualità di presidente del vertice, l’India potrebbe prendersi il ruolo di leader, avendo ridotto del 76% i sussidi ai combustibili fossili, dal 2014 al 2022.

Con i soldi per i combustibili fossili si potrebbero salvare vite umane

Secondo Richard Damania, coautore dello studio, c’è un enorme potenziale nel riformare la finanza climatica pubblica: “Ridestinando i sussidi inutili, possiamo liberare somme significative che potrebbero essere utilizzate per affrontare alcune delle sfide più urgenti”. Con meno di un quarto dei 2.400 miliardi di dollari di sostegno pubblico ai combustibili fossili del G20, IISD stima che si potrebbero destinare 33 miliardi di dollari all’anno per porre fine alla fame nel mondo, 36 miliardi annuali per l’accesso universale all’elettricità, 450 miliardi di dollari per colmare il gap di investimenti per la produzione di energia rinnovabile altri 17 per finanziare progetti di energia pulita nei Paesi in via di sviluppo.

L’eliminazione dei sussidi potrebbe anche salvare migliaia di vite riducendo l’inquinamento atmosferico legato ai combustibili fossili, responsabile di oltre 5 milioni di morti all’anno nei paesi del G20. Secondo la World Bank, la riforma ridurrebbe le morti legate all’inquinamento atmosferico di 235.000 entro il 2035 i nove paesi del G20.

I sussidi alle rinnovabili e la carbon tax

Nonostante il supporto pubblico alle energie rinnovabili abbia rappresentato nel 2022 solo un quarto dei sussidi totali, si prevede che, entro la fine del 2023, circa l’80% degli investimenti statali (1.700 miliardi) sarà destinato alla diffusione delle rinnovabili. Grazie al pacchetto dell’Inflation Reduction Act, sono gli Stati Uniti a guidare la classifica dei sussidi green con oltre 180 miliardi di dollari, con Germania e Cina a seguire. Tuttavia, negli ultimi anni il sostengo alle rinnovabili è cresciuto in modo insufficiente, passando da una media annua di 27 miliardi di dollari del 2018 a 29 miliardi del 2021.

Ma non ci sono solo gli incentivi come misura utile ad accelerare la transizione energetica e abbandonare i sussidi dannosi. 13 Paesi del G20 hanno adottato meccanismi fiscali come l’ETS per tassare le emissioni di gas serra. Insieme, le misure implementate hanno coperto il 49% di tutte le emissioni di CO2 legate all’energia dei Paesi G20, generando entrate per circa 100 miliardi di dollari nel 2021. L’Italia ha fissato il prezzo del carbonio più alto del mondo con 120 dollari per tonnellata di anidride carbonica equivalente (tCO₂e).

Per limitare l’aumento medio della temperatura globale a 1,5°C, entro il 2030 sarebbe necessario un prezzo medio del carbonio di 100 dollari per tCO₂e. I prezzi di Cina e Stati Uniti – che sono i più grandi emettitori – sono rispettivamente fermi a 5 e 15 dollari per tonnellata di C0₂. L’IISD calcola che, fissando una carbon tax più elevata pari a 25-75 dollari per tonnellata di gas serra, i governi del G20 potrebbero raccogliere 1.000 miliardi in più all’anno.

Considerando gli straordinari extraprofitti ottenuti dall’industria fossile durante la crisi energetica dello scorso anno, il prossimo G20 rappresenta una preziosa occasione per i governi. Una riforma dei sussidi porterebbe finalmente l’industria energetica sulla rotta della transizione ecologica.

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